È
passato un sacco di tempo dall'ultima recensione, i postumi di una
lieve influenza mi hanno saggiamente tenuta alla larga dalle
discussioni letterarie. È la consapevolezza che, quando mi viene
l'influenza, questa va a colpirmi nei luoghi che ho più cari, negli
organi preposti alla grammatica e alla coerenza dell'elaborazione
scrittoria, e quindi è bene che io eviti anche solo di aprire un
file di testo. Tremo al pensiero della mail che ho dovuto mandare al
relatore della mia tesi, che ho riscoperto piena di errori.
E
dunque, è passato un sacco di tempo, e in questo sacco di tempo non
ho avuto modo di chiacchierare degnamente di Codex Gilgamesh di
Uberto Ceretoli, edito da Dunwich Edizioni nel 2013, libro che mi
viene spontaneo etichettare come un'estrema figata. E volendo potrei
anche chiuderla qui.
Immagino
abbiate presente quanto e più di me cosa si intenda per “steampunk”.
In un'ambientazione storica, solitamente vittoriana, si immagina uno
sviluppo tecnologico assurdamente evoluto e a mio dire coreografico,
e ci si destreggia nell'immaginare in che modo scienza e storia
interagiscono in dato contesto. Arti meccanici e cappelli a cilindro,
diciamo.
Ecco,
questo è un libro steampunk, genere di cui sono colpevolmente
ignorante. Ma passiamo alla trama.
Siamo
nel 1890 e c'è Victor von Frankenstein che, col suo fidato
assistente Jack, uno schizofrenico che si trasforma in serial killer
quando indossa una maschera da pipistrello, depreda antichi cadaveri
per riportarne in vita i proprietari. E riporta in vita Da Vinci,
così come ha riportato in vita Cleopatra, per farne i suoi
collaboratori per un piano più ampio. E già qui potrei aver detto
abbastanza.
Ma
no, c'è Eudora, espertissima cacciatrice di Sua Maestà, che ha un
conto in sospeso con Frankenstein e che è incaricata di catturarlo.
E
poi c'è Kentigern, rampollo di un ramo cadetto della famiglia
Gordon, nobiltà scozzese, che vorrebbe studiare archeologia e
dimostrare che i micenei erano vichinghi, e invece l'ostinato padre
obbliga a studiare ingegneria per poter ridare lustro al nome della
famiglia, poiché l'archeologia è una scienza nuova e ancora poco
rispettata, mentre l'ingegneria è una materia “vera”.
E
c'è una spedizione archeologica capitanata da Sir Loftus, e in
qualche modo, per ovvi motivi che non sto a spiegare, la storia si
ripiegherà lì, con tutti i suoi personaggi. E tralasciando le
trovate scientifico-meccaniche, che ce ne sono certe di veramente
ganze, e tralasciando l'ambientazione vittoriano-steampunk che rende
davvero bene, i personaggi sono la parte migliore del libro. Un po'
perché hanno tutti un loro senso, sono ben caratterizzati, sono
coerenti con se stessi. Da Frankenstein a Eudora, da Jack a
Kentigern. Perfino da Leonardo a Cleopatra. Ma non è “solo”
questo, è che alcuni di loro sono personaggi con cui è fantastico
intrattenersi letterariamente, perché sono estremamente interessanti
e non vedi l'ora di vederli fare qualsiasi cosa, riuscirebbero a
entusiasmarti anche quando vanno, chessò, a prendersi un gelato, o a
comprarsi un cappello. Sono ganzi, e non semplicemente per fare
simpatia o in modo strumentale alla trama. Sono ganzi e basta.
Sto
togliendo spazio alla storia, me ne rendo conto, ma giuro che è una
storia davvero ben congegnata, che si prende sul serio.
E ci sono
degli interrogativi gestiti alla perfezione, con un paio di piste
sbagliate che si prendono alla leggera, e poi PEM.
Non
posso fare a meno di consigliarlo violentemente. Di brutto.
E spero
vivamente che la Dunwich sia al Salone di Torino, di modo che io
possa fare stage diving sul loro stand.