È
un po' che combatto con l'istinto di fuggire via da facebook per non
farvi più ritorno, creando giusto un profilo ad hoc per continuare a
gestire la pagina del blog, che quella delusioni non me ne ha mai
date, però rifuggendo l'interazione selvaggia con conoscenti di
conoscenti di conoscenti. Perché più si allarga la rete dei
contatti, più è facile trovarsi ad assistere a dibattiti che ti
segano via le braccia e ti lasciano a sanguinare senza riuscire a
proferire parola. Negli ultimi anni – o forse sono io che me ne
sono accorta dopo, chissà – è nata questa strana corrente di
pensiero, che mi verrebbe da chiamare “nichilismo a caso”. Cioè, ammeto che non è proprio la prima definizione che mi è sovvenuta, ma qui
sul blog cerco di mantenere il mio eloquio il più savio e pulito
possibile, quindi che “a caso” sia.
Dicevo,
nichilismo a caso. NAC, che non suona neanche male come sigla. Uno
svuotamento di significato del vivere che porta a una serie di regole
non scritte su come è bene comportarsi nelle varie situazioni
sociali, con occhio particolarmente aguzzo su un importantissimo
dettame: non credere.
Non
credere in niente, non sperare in niente, non immaginarti neanche di
poter cambiare le cose. E, soprattutto, disprezza chi osa farlo,
perché chi ancora si ostina a sperare/credere di poter fare la
differenza è non soltanto un illuso, ma un decerebrato ignorante,
calamita di sdegno e disistima. E non ha senso cercare di decidere
chi abbia ragione con l'ottusa discussione, la ragione non ha più
ragione d'essere. Augura morte, disperazione e tortura, invoca
malattie mentali al minimo cenno di pensiero propositivo. La speranza
lasciala a quegli psicopatici dei vegani. E usa più che puoi termini
storicamente disturbanti quali “negro” o “frocio”, perché dimostrano la
tua indipendenza dal pensiero collettivo. Sì, anche al di fuori
della scuola media. Provare per credere.
C'è
anche una specie di logica sotterranea in questo schema
comportamentale. Un po' di autoconservazione, la negazione della
funzione della proposta e dell'impegno. La ragione non ha nessuna
importanza, gli atti non hanno valore, l'esperienza non conta nulla.
E dove non c'è nulla, figuriamoci che fine fanno gli ideali e le
responsabilità individuali, immaginiamo l'etica che fa ciaociao con
la manina dopo che si è tirato lo sciacquone.
L'aspetto più assurdo della faccenda è
che non sia affatto necessario deficitare di capacità intellettive, per
unirsi al NAC, ed è questo che mi sconforta. Lo spreco
dell'intelligenza perché non credere è più comodo e meno doloroso,
non comporta rischi immediati. Che tristezza, eh?
E
dunque, cotanta pappardella per dire che io, in un social network in
cui basta svoltare l'angolo per trovarsi invischiati in un'interazione dominata dai metodi dei fieri esponenti del NAC,
non mi ci trovo proprio. Voglio dire, che il mondo non fosse
disegnato sugli insegnamenti dei My little pony lo sapevo già, ma
vedere propugnata l'indifferenza con orgoglio da ideale, ecco, quello
proprio mi urta. Mi deprime.
E
mentre faccio due conti su quanto mi convenga abbandonare facebook
per tutto ciò che non riguarda il blog, mi va di legare cotanto mio
sentire a ciò che ho di più caro, a ciò in cui credo di più al
mondo. I libri. Ovviamente. Sennò che lo scrivevo a fare, un post?
Parto
dalla gentilezza, dal suo valore. Tempo fa ho sentito una
ragazzina dire con orgoglio da filosofo navigato che la gentilezza è indice di debolezza, che bisogna
abbandonarla per non farsi calpestare. Lasciarla a quelli che non
riescono a disfarsene. Ora, in quel momento ho liquidato la cosa con
una risata, perché che la gentilezza sia roba da deboli è la favola
che si raccontano i deboli per non dover rinunciare alla propria
corazza da cinici tormentati. Quel fastidioso scudo borchiato di
battute (wannabe)sagaci miste a offese. Il disprezzo per la
gentilezza è una delle cose che non ho mai capito, la sua
svalutazione mi è d'ignota ragione. Io ho imparato ad apprezzarla
presto. Con Pollyanna
di Eleanor
Hodgman Porter ,
con Piccole
donne
di Louisa
May Alcott,
e poi con Stargirl
di Jerry
Spinelli, Un
ragazzo
di Nick
Hornby.
Ci si rende vulnerabili, a mostrare gentilezza. Si scopre il fianco,
si offre la guancia. E questo richiede molta più forza di quanta non
ne richieda nascondersi in un guscio irto di spine.
Sono
moltissimi i libri che mi hanno insegnato che è cosa buona e giusta
credere in qualcosa, e fare del proprio meglio per farla accadere.
Harry
Potter,
senza dubbio, in cui tanti personaggi perdono la vita e in certi casi
qualcosa di più, per combattere contro un cattivo disegnato
sull'ideologia nazista, rifiutando di abbassare la testa finché
questa non rotola.
E
Robin
dei boschi,
un libro che ho letto alle medie, che ha partecipato al Bancarellino,
e che avrei tanto voluto che vincesse. Una ragazza che si unisce alla
protesta per salvare un bosco, e lo fa perché pensa che sia
importante, a prescindere da tutto il resto.
Per
non parlare di Benni,
della sua Compagnia
dei Celestini
(Saluta la Signora!), del suo Baol
(Era una tranquilla notte di regime...), di Margherita
Dolcevita,
di Spiriti...
l'importanza di capire da che parte stare, e di non tacerlo per
misera convenienza, o perché “sta male”, o peggio, perché è
banale.
Tornatràs
di Bianca
Pitzorno,
con la sua decisa presa di posizione sul razzismo, tema che pavento
stia scomparendo dalla narrativa per l'infanzia. Ma sono problemi che
vanno affrontati presto, per vaccinare contro la forma di idiozia che
è la xenofobia. Non che ne avessi bisogno, quando l'ho letto, ma non
si può mai dire.
Certi
libri mi hanno insegnato che ci sono orrori che non potrò mai capire
del tutto, che non mi è impossibile indossare certi panni. Che di
fronte a esperienze così estreme e distanti, non posso che chinare
il capo e ascoltare, e fare del mio meglio per comprendere. Io
sono Judith di
Anke de Vries,
la storia di una bambina maltrattata dalla madre. I libri di Torey
L. Hayden,
psicologa infantile che ha fatto narrativa di alcuni dei casi che le
sono capitati. Che mi ha insegnato che dietro un comportamento
bizzarro o un carattere chiuso possono esserci degli incubi che
nemmeno mi posso immaginare.
E
poi ci sono i libri che mi hanno insegnato che tutti siamo deboli,
che a nessuno è dato d'essere perfetto e incrollabile. Da Il
tristo mietitore
di Terry
Pratchett,
in cui è la Morte ad avere un periodo di crisi esistenziale, alla
dolorosa fallibilità di Hap e Leo in Il
mambo degli orsi di
Joe R. Lansdale.
E
il fatto che non si potrà mai sapere tutto, ed è da lì che
dovrebbe partire ogni discussione, dalla consapevolezza dell'enorme
omissis. E i libri mi hanno insegnato che, come non sapevo della
schiavitù su suolo americano prima di leggere Lansdale,
come non sapevo delle rivolte religiose degli anabattisti prima di Q,
come non sapevo delle bande di coscrizione prima di leggere Gli
innamorati di Sylvia,
come ignoravo buona parte della storia d'Irlanda prima di leggere Una
stella di nome Henry,
è assai probabile che io non sappia di tante altre cose, e che ogni
nuova informazione potrebbe aprirmi gli occhi su aspetti mai
considerati e arrivare a farmi cambiare idea.
E
l'orrore per la crudeltà non necessaria, e il rispetto per l'altrui
sentire, che questo “altrui” sia o meno umano, che sia o meno
d'accordo con me. Il non poter dire a un'altra persona come dovrebbe
sentirsi, cosa dovrebbe o meno offenderla o ferirla. L'idiozia nella
presunzione di avere ragione, che se è vero che partiamo dalla
nostra esperienza per decifrare il mondo, dovremmo pure tener conto
della soggettività che ci portiamo dietro.
E
ci sono un sacco di ragioni, dicevo, che mi portano alla tentazione
di fuggire da facebook e dall'aberrante tendenza al NAC. In realtà
non ho ancora deciso come comportarmi. Per una volta non sono in
cerca di consigli, a meno che non vogliate offrirmene di vostra
sponte. Sempre bene accetti.
Vorrei
chiedervi, piuttosto, se ci sono dei libri che vi hanno insegnato
qualcosa di importante, che vi portate dietro ancora adesso e che non
ci pensate neanche ad abbandonare.
(Tanto per essere chiara con i miei contatti su fb, che non vorrei ci si sentisse presi in causa, non sto dando del NAC a nessuno in particolare, altrimenti avrei presto risolto col blocco. E' una questione più complessa, fatta di amici che interagiscono con amici che interagiscono con conoscenti. Si fa presto ad annegare nel NAC, pure se si sta attenti a chi si aggiunge. Senza contare le discussioni su pagine e gruppi.)