Penso
di aver espresso più che a sufficienza, negli ultimi mesi, la mia
sperticata adorazione per i Wu Ming. Ho letto L'armata dei sonnambuli senza neanche sperarci troppo, giusto un poco
incuriosita e puff, mi si sono innalzati subito all'Olimpo degli
scrittori preferiti. Non parliamo neanche di Q,
tra i miei libri preferiti in assoluto, che mi ascolto quasi tutti i
giorni La canzone del capitano Gert – è tutta uno spoiler, evitate
se non avete ancora letto Q. E sto leggendo 54, sono quasi a
metà ed è... quella parola che sfiora l'adorazione, però con una
vicinanza che non ha nulla del divino. E poi il loro blog Giap, così
immensamente utile e particolareggiato, e il loro prendere una
posizione netta senza chiedere scusa perché, si sa mai, può dare
fastidio. Ai Wu Ming voglio bene, punto. Qualcosa mi si spezzerà
dentro, quando avrò finito di leggere la loro bibliografia. E se
parliamo soltanto dei romanzi collettivi, mi manca giusto Manituana.
Soffro in anticipo.
E
dunque, quando ho trovato cotanto volume in biblioteca, non me lo
sono lasciato sfuggire. E l'ho divorato con pantagruelica voracia,
nonostante non si tratti affatto di narrativa, bensì di critica
letteraria. Più o meno.
New
Italian Epic, pubblicato da Einaudi nel 2009, riunisce due saggi
sulla letteratura italiana scritti da Wu Ming 1 e
da Wu Ming 2. Al primo si deve la parte dedicata
effettivamente al New Italian Epic che dà il titolo al libro. Cito
testualmente, giusto per non fare confusione, la definizione di NIE:
“Il
campo di forze che chiamo New Italian Epic è formato da un insieme
di opere letterarie, di ampio respiro tematico e narrativo, scritte
in Italia in lingua italiana a partire dalla fine della Guerra Fredda
– o meglio, dallo smottamento politico del 1993, conseguenza
domestica del crollo del socialismo reale.”
Più
avanti vengono elencate alcune caratteristiche tipiche dell'opera
NIE, dalla contaminazione dei generi all'uso di punti di vista
eccentrici, la complessità del linguaggio mista all'attitudine popolare, il mutare
la realtà – ucronia, storia alternativa – e la sovversione. E
altre caratteristiche che non sto neanche a citare perché,
dopotutto, non è il caso che mi metta a riassumerle in un post.
La
seconda metà del libro è composta da un saggio di Wu Ming 2, La
salvezza di Euridice, che è... molto più complesso. Parla di narrazione, della sua utilità,
della funzione della storia nella vita di tutti i giorni. Di come
crediamo, di come ci facciamo credere, di come ci fanno credere. Di
immaginario, di letteratura. Di un incontro con una classe delle
scuole medie cui ha dato il compito di scrivere una storia
specificando soltanto alcuni – bizzarri – elementi e quanto ne è
venuto fuori.
In
realtà, la seconda parte è assai più evanescente della prima, e
dovrei rileggermela daccapo per poterla capire di nuovo, per poterne
parlare con cognizione di causa. Ma non ho abbastanza tempo a
disposizione questa mattina, quindi ne lascio così la magra
descrizione. Che dopotutto non è neanche detto che riuscirei a
renderle giustizia pur rileggendola dieci, venti volte.
La
prima parte, invece, mi è rimasta abbastanza fresca in mente. Forse
perché parla di storia e di libri fisici, del loro indissolubile
legame. Di un genere che non è semplicemente genere, che nasce
dall'interazione tra scrittore e contesto storico-sociale. Il New
Italian Epic, una corrente di letteratura italiana che viene un po'
dalla confusione e un po' dalla menzogna, dalla delusione,
dall'insicurezza con cui ci si appoggia a ciò che si è sempre
saputo. Storia, politica e libri.
Immagino
che sia uno dei motivi per cui i Wu Ming sono così intensi, questo
accettare l'influenza del mondo attorno in tutta la sua schifezza
sulle loro storie, sul loro modo di scriverle. O forse è quel
barlume che da Q a L'armata dei sonnambuli, ancora non si è spento,
nonostante un “nonostante tutto” che basterebbe a fare implodere
più di un mondo. Non lo so.
Però
posso dirvi che, a prescindere dalla mia innegabile parzialità, New
Italian Epic è una lettura di incomparabile interesse e di potente
ricerca e impareggiabile ricostruzione. E, non dimentichiamolo, con
un punto di vista che non si nasconde.
Santoddio.