Guardo
la pila di libri che si erge a lato del mio computer, e mi chiedo che
diavolo sto aspettando. Che ci sono libri che se non li
recensisco subito, poi li perdo. Mi scivolano via le sensazioni evocate,
le riflessioni, i personaggi. Non ho una grande memoria, curiosamente
è limitata soltanto al posizionamento dei libri, e non al loro
contenuto. È tempo che io attacchi la pila, prima che mi scompaia dalla mente. Che smetta di
tergiversare. Io, sì. Proprio io.
I
romagnoli ammazzano al mercoledì di Davide Bacchilega,
edito da Las Vegas nel 2014. Ricordo che era stato il mio
regalo a me stessa per aver passato un esame, chissà quale.
L'ho letto quasi tutto a casa dei miei nonni, avvoltolata sulla
comodissima poltrona reclinabile, uno dei capricci inutilizzati di
nonna. Mi sarebbe dovuto bastare per due giorni, invece l'avevo
finito alla mattina del secondo, e sono dovuta uscire a prenderne un
altro. Per dire.
In
questo libro si intrecciano le storie di una manciata di personaggi.
Anzi, per un po' scorrono in parallelo, sfiorandosi ogni tanto. È
alla fine che confluiscono. Mi ha ricordato un po' i primi film di
Guy Ritchie, quelli in cui si seguono le vicende di tanti personaggi
che ben poco hanno a che fare l'uno con l'altro, e non vedi l'ora di scoprire come finiranno collegate. E qui ci sono
Stefano il giornalista depresso con l'hobby delle code, Raul il
pugile fallito, Ruben il gigolò truffatore, Irma la... beh, Irma. E
suo zio Ermes, un tipo burbero vecchio stampo che gestisce bische
clandestine. Ognuno di questi personaggi narra in prima persona i
propri capitoli, e ognuno ha una sua voce, un suo tono. Soprattutto
Ermes, un po' bilioso, e Irma che... beh. Come si fa a descrivere
Irma, con le sue poesie lesbomistiche, le sue rime assurde? E come
si rischia di sottovalutarla, all'inizio, la cara Irma, che vorrebbe
agguantare una recensione sul giornale su cui scrive Stefano per le sue poesie pubblicate a
pagamento. E poi c'è
Ruben, sempre in cerca di soldi, che salta da una truffa all'altra,
giocando coi cuori e coi portagioie di donne sole scovate in chat.
Ruben che si siede ai tavoli da gioco di Ermes, sperando di riuscire
a vincere quelle migliaia di euro che gli servono per. E Raul, che
pare più tumefatto dentro che fuori, che non è riuscito a fare il
salto quando poteva, e ora non riesce più a uscire dalla boxe né
dal matrimonio.
Sono
storie che si inseguono, si sfiorano, si allontanano di nuovo, che
volendo riesci a immaginarti l'inquadratura che passa da un
personaggio all'altro come un fluido cambio di testimone, che abbandona
l'uno per posarsi sull'altro. La struttura è tenuta davvero bene,
non risulta forzata. Le vicende di queste persone sono rimaste
annodate per una fortuita serie di eventi, punto. È la Romagna, mica
New York.
E
scivola, scorre come dovrebbe. È veloce, divertente, non si
impantana mai. Non che sia fatto solo di battute sagaci e momenti
allegri, però pure quelli melmosi passano presto. O meglio, ci si
aspetta un dopo, una rivalsa. È il libro che te lo promette, coi
suoi toni da “tutto può succedere”.
Dunque,
lo consiglio? Diamine, sì. Palesemente, e con giusta decisione.
Consiglissimo.