Io
a Culicchia voglio bene. “Ai miei tempi” Tutti giù per terra
era uno di quei libri che devi per forza leggere quando sei alle
superiori, tipo Il giovane Holden e Jack Frusciante è uscito dal
gruppo. Non so quali siano quei libri adesso, se i giovani lettori si
siano nel frattempo spaccati in gruppi divisi per genere, davvero non
ne ho idea. A voler essere sincera, “ai miei tempi” non sapevo,
leggendo Culicchia, che stavo facendo quello che faceva una larga
parte dei miei coetanei in tutta Italia, non avevo amici parimenti
lettori che potessero svelarmelo e Internet non era ancora in grado
di spararmi l'informazione. Ma comunque.
Dicevo
che io a Culicchia voglio bene. È stato uno degli scrittori cardine
della mia adolescenza, non tanto con Tutti giù per terra, quanto con
A spasso con Anselm, Liberi tutti e Il paese delle
meraviglie, un libro veramente stupendo, di quelli che ti ricordi
cosa stavi facendo mentre lo leggevi. Ho letto un buon quasi-tutti
dei suoi libri, e mi sono piaciuti tutti, questo più e quello meno.
Culicchia è un po' famiglia nella mia libreria.
E
dunque, quando ho visto il suo E così vorresti fare lo scrittore,
edito nel 2013 da Laterza, un po' mi è aumentata la
salivazione.
Che
ne penso a lettura ultimata? Onestamente... non lo so.
È
stata una lettura interessante, questo sì. Conoscevo già molti
degli avvenimenti che racconta – tipo le bagarre del premio Strega
– e degli usi e costumi della critica in rete e in foglio. O di
cosa succede durante le presentazioni degli autori, delle insidie dei
contratti, dei lettori folli. Culicchia racconta un po' di esperienze
personali in quello che non capisco bene se leggere come un diario un
po' scarno di esperienze editoriali o lista di cose da aspettarsi
quando-se passerai dallo stato di aspirante scrittore a scrittore
conclamato da pubblicazione. Divide il libro in tre parti, “Brillante
Promessa”, “Solito Stronzo” e “Venerato Maestro”, a seconda
del tempo passato e del successo acquisito sul campo. E giustamente
dipinge un quadro un po' tetro e sconsolante del mondo delle lettere.
Certo, un raggio di sole non guasterebbe, ma chi sono io per
questionare con Culicchia sulla vita dello scrittore?
È
stata in sostanza una lettura gradevole e veloce, cui però non posso
evitare di fare un paio di appunti.
C'è
una cosa che non ho gradito, e sono le eccessive ripetizioni. Va bene
fino a un certo punto, servono anche a ritmare, a “paradossare”,
però il troppo stroppia. Ecco.
E
l'altra cosa che stenta ad andarmi giù è che credo che Culicchia
avrebbe dovuto andare più a fondo, senza restare troppo a metà tra
l'ironico e il deluso, tra la confidenza e l'allerta. Scegliere se
schiacciare sul personale o virare sul tecnico, ecco. Avrei voluto
leggere qualcosa sul personaggio di Anselm, ad esempio. Come diavolo
gli è venuto in mente il formichiere un po' punk col dono della
parola che disquisisce e protesta con veemenza. Come è stato
scrivere Paso Doble, una storia cui mi trovo a pensare ancora oggi,
ogni tanto, nonostante siano passati dieci anni dalla lettura. E in
che stato d'animo ha scritto Il paese delle meraviglie.
Oppure,
al contrario, avrei gradito qualche consiglio tecnico, un taglio più
manualistico da “Ti sei mai trovato in questo spinoso stallo
narrativo? Io pure. Vedi...”, roba così.
È
stata una bella lettura, interessante, però l'ho sentito anche come
un libro a metà. Diciamo che spero che voglia ampliare il discorso,
prima o poi. Attendo.