Ieri
sono stata a scegliere le nuove decorazioni dell'albero insieme a mia
madre. Che magari non è proprio l'incipit più adatto per una
recensione, però volevo farvi partecipi della mia immensa gioia.
Inoltre, credo che La felicità delle piccole cose di Caroline
Vermalle, tradotto da Monica Pesetti e edito da
Feltrinelli, sia uno dei libri più natalizi che io abbia mai
letto in tutta la mia vita. Non che ne abbia letti poi molti, e di
questo mi rammarico, perché per me l'atmosfera natalizia è una
droga. Inizio ad ascoltare White Christmas da novembre, e se a
qualcuno venisse in mente di scoperchiarmi il cranio, vi troverebbe
un tripudio di cannella e luci colorate. Non che me lo auguri.
Dunque,
questo libro mi è stato gentilmente inviato dalla casa editrice,
cosa di cui sono assai grata, perché altrimenti dubito che l'avrei
scelto in libreria, anche se effettivamente è il tipo di libro di
cui a volte ho bisogno. Le volte in questione sono i periodi in cui
devo preparare degli esami, quelli in cui mi sento un po' giù, o
semplicemente tra un libro 'impegnato' e l'altro.
Per
me, La felicità delle piccole cose è un film di Natale. Ma
veramente. Ha l'atmosfera, il linguaggio, il calore di una pellicola
da Vigilia. E trovo che sia stata una scelta inconsueta, quella di
unire questa atmosfera e questo linguaggio svelto e leggero al
sottofondo della trama. Pensavo di avere tra le mani un libro molto
diverso, quando l'ho iniziato. La stessa storia si sarebbe potuta
raccontare con tono grave, lenti sospiri di rassegnazione, stanze
buie e stagnanti di rimorso. E invece è una favola.
Ma
magari inizio a parlare della trama.
Dunque,
ci sono due linee narrative, quella dell'avvocato di successo
Frédéric Solis e quella della sua segretaria, Dorothée. Il primo è
ricchissimo, ma indebitato a causa della sua passione per i paesaggi
innevati degli impressionisti, che lo porta a spendere centinaia di
migliaia di euro alle case d'asta. La seconda studia legge, lavora
troppo, adora la sorella maggiore e nonostante il percorso di studi
vorrebbe in realtà fare la pasticcera. Capita che Solis riceva una
strana eredità, una specie di percorso a tappe per poter ricevere
qualcosa che sembra presentarsi come un quadro. L'avvocato chiede a
Dorothée di fare ricerche sull'uomo, un totale sconosciuto, che gli
ha lasciato una scatola che racchiude una mappa e qualche biglietto
del treno, e così anche lei si ritrova invischiata con la faccenda.
Il
modo in cui gli eventi si mettono in moto ha un che di meccanico,
all'inizio, e mi è capitato di storcere la bocca per poi ricredermi.
La macchinazione interna è ben congegnata, e la storia svelata dalle
ricerche di Dorothée e dai ricordi di Solis non è esattamente la
zuccherosa favola di Natale tutta canditi e campanelli che si sarebbe
portati a credere.
Il
tono è... beh, quello di una favola di Natale. Allegro, veloce,
ingenuo. Molto francese. Un po' troppo leggero per i miei gusti, ma
beh, de gustibus. Anche se devo dire che ho apprezzato la discrepanza
tra ciò che viene raccontato e il modo in cui è stato raccontato.
Ordunque
sì, è un libro che consiglio a chi brama un po' di atmosfera
natalizia, un libro leggero senza che non sia anche tralasciabile.
(Ho
una voglia di fare l'albero che non riesco neanche a esprimerla a
parole.)