Maschio bianco etero di John Niven

Niven l'ho conosciuto grazie a quella storia religiosamente bizzarra che è A volte ritorno, ci cui ho chiacchierato qui. In Italia ha pubblicato solo questi due libri, già assai distanti l'uno dall'altro. Non tanto come tono, stile, rapporto col lettore, anzi. Niven rimane colloquiale, diretto, volgarotto come una chiacchierata al bar con amici che non trattengono il turpiloquio, ma dalla grammatica infallibilmente corretta. Distanti, piuttosto, come tematica, critica, protesta. A volte ritorno era indignato, questo libro è soltanto cinico.
Dunque, Maschio bianco etero, tradotto da Marco Rossari, edito da Einaudi nel 2014.
Kennedy Marr, scrittore di successo paragonabile, putiamo, a un McEwan o a un Auster. Che però non riesce a scrivere da anni, se non sceneggiature per le quali viene pagato più che profumatamente, nonostante abbia preso lo sforare i tempi di consegna per uno sport da tirare per le lunghe.
Kennedy è insopportabile. Si dirige svelto verso l'alcolismo, sex-addicted, insolente, maleducato e quant'altro. Nato in una famiglia relativamente povera in UK – chiedo venia, non ricordo in che zona, ma ipotizzo Scozia – ma si è trasferito a Hollywood poco dopo l'arrivo del successo. Ha un fratello cui vuole bene ma col quale cerca di evitare i contatti, la madre da qualche mese in ospedale, un buco nero familiare che è diventato un pungolo rovente. Un ex-moglie e una figlia diciassettenne dall'altra parte dell'Oceano.
Kennedy è un personaggio irritante e ormai un po' stereotipico. Vive alla giornata, circondandosi del lusso più inutile, spreca oltre ogni dire e si ritrova a dovere un sacco di soldi all'agenzia delle entrate. E si vede offrire una dolorosa soluzione che lo metterà a confronto col suo passato, con la persona che è, con le sue scelte e le sue mancanze. Di cui, perlomeno, è già più che consapevole, nonostante non voglia fare nulla per cambiare le cose.
È innegabile che sia ovvio sin dalla quarta di copertina, dove Niven voglia andare a parare con Kennedy. Le cose importanti, le priorità, cosa voglia dire 'successo'. Ma è pure innegabile che la prevedibilità del percorso di Kennedy non rende affatto la lettura noiosa o 'inutile'. Un po' perché è un libro leggero e divertente, e se la persona-Kennedy è insopportabile, passare il proprio tempo col personaggio-Kennedy è esilarante. L'ho iniziato al mattino e finito la sera stessa, e non è un libriccino breve. Fate voi quanto tiene agganciati.
E poi Kennedy è uno scrittore e sceneggiatore, e ha un sacco da raccontare sul mondo dell'editoria e su Hollywood, su premi letterari e la tensione tra regista e sceneggiatore.
Non vedo come potrei non consigliarlo, davvero. Mi è piaciuto un sacco. E ora che ve l'ho fatto sapere, mi sento molto meglio. Mi spiaceva vederlo impilato in fondo alla pila dei libri in attesa di recensione accanto al pc. Pila che spero di riuscire ad assottigliare nelle prossime settimane.
La vedo dura.