Niven
l'ho conosciuto grazie a quella storia religiosamente bizzarra che è A volte ritorno, ci cui ho chiacchierato qui.
In Italia ha pubblicato solo questi due libri, già assai distanti
l'uno dall'altro. Non tanto come tono, stile, rapporto col lettore,
anzi. Niven rimane colloquiale, diretto, volgarotto come una
chiacchierata al bar con amici che non trattengono il turpiloquio, ma
dalla grammatica infallibilmente corretta. Distanti, piuttosto, come
tematica, critica, protesta. A volte ritorno era indignato, questo
libro è soltanto cinico.
Dunque,
Maschio bianco etero, tradotto da Marco Rossari, edito
da Einaudi nel 2014.
Kennedy
Marr, scrittore di successo paragonabile, putiamo, a un McEwan o a un
Auster. Che però non riesce a scrivere da anni, se non sceneggiature
per le quali viene pagato più che profumatamente, nonostante abbia
preso lo sforare i tempi di consegna per uno sport da tirare per le
lunghe.
Kennedy
è insopportabile. Si dirige svelto verso l'alcolismo, sex-addicted,
insolente, maleducato e quant'altro. Nato in una famiglia
relativamente povera in UK – chiedo venia, non ricordo in che zona,
ma ipotizzo Scozia – ma si è trasferito a Hollywood poco dopo
l'arrivo del successo. Ha un fratello cui vuole bene ma col quale
cerca di evitare i contatti, la madre da qualche mese in ospedale, un
buco nero familiare che è diventato un pungolo rovente. Un ex-moglie
e una figlia diciassettenne dall'altra parte dell'Oceano.
Kennedy
è un personaggio irritante e ormai un po' stereotipico. Vive alla
giornata, circondandosi del lusso più inutile, spreca oltre ogni
dire e si ritrova a dovere un sacco di soldi all'agenzia delle
entrate. E si vede offrire una dolorosa soluzione che lo metterà a
confronto col suo passato, con la persona che è, con le sue scelte e
le sue mancanze. Di cui, perlomeno, è già più che consapevole,
nonostante non voglia fare nulla per cambiare le cose.
È
innegabile che sia ovvio sin dalla quarta di copertina, dove Niven
voglia andare a parare con Kennedy. Le cose importanti, le priorità,
cosa voglia dire 'successo'. Ma è pure innegabile che la
prevedibilità del percorso di Kennedy non rende affatto la lettura
noiosa o 'inutile'. Un po' perché è un libro leggero e divertente,
e se la persona-Kennedy è insopportabile, passare il proprio tempo
col personaggio-Kennedy è esilarante. L'ho iniziato al mattino e
finito la sera stessa, e non è un libriccino breve. Fate voi quanto
tiene agganciati.
E
poi Kennedy è uno scrittore e sceneggiatore, e ha un sacco da
raccontare sul mondo dell'editoria e su Hollywood, su premi letterari
e la tensione tra regista e sceneggiatore.
Non
vedo come potrei non consigliarlo, davvero. Mi è piaciuto un sacco.
E ora che ve l'ho fatto sapere, mi sento molto meglio. Mi spiaceva
vederlo impilato in fondo alla pila dei libri in attesa di recensione
accanto al pc. Pila che spero di riuscire ad assottigliare nelle
prossime settimane.
La
vedo dura.