Arduo
recensire un libro quando hai da un lato il libro di statistica che
ti ingiunge di raggiungerlo, e dall'altro la sorella che abita in
Germania cui vorresti restare appolipata per ogni secondo che resta
in patria. Ma questo libro ha dovuto attendere un sacco, per varie
peripezie. Cioè, in realtà una peripezia sola, dicasi il postino
del mio paese che ha deciso, bel bello, che suonare alla porta per i
pacchi è troppo mainstream, quindi li lascia sulla cassetta delle
lettere o per terra. Anche sotto la pioggia. Non sorprende che la
prima copia inviatami dalla casa editrice sia andata perduta. Proprio
no.
Dunque,
L'uomo di marmo di Miriam Ghezzi, edito da Book
Salad. Che, come si può facilmente evincere dalla copertina (che
proprio non mi... cioè... eh... beh... mah.) non rientra esattamente
nelle mie tipiche letture. Però l'autrice mi si è presentata in
modo 'sì cortese, e la casa editrice è da un po' che mi ispira,
quindi ho voluto provare comunque. Anche se non so fino a che punto
sia stata una scelta oculata, più l'autrice che per me, perché io
il rosa non lo sopporto manco indossato.
Dunque,
la storia è quella di Vera, una ragazza laureata da qualche anno in
Storia dell'arte. Lei e la sorella Iole, dopo la morte del padre, si
sono messe a commerciare in opere d'arte rubate, sfruttando la di lei
conoscenza dei luoghi in cui vengono custodite e dei metodi di
conservazione. D'altronde, spiega Vera – voce narrante – non è
che l'italico suolo offra tanti sbocchi lavorativi, per una laurea in
storia dell'arte. O per una laurea. O per un essere umano.
Dicevo.
Durante un furto messo in atto per trafugare la Venere del
Botticelli, Vera si ferma di fronte alla statua del David. È pur
sempre un'amante dell'arte, e non ha mai avuto la possibilità di
guardarlo così da vicino, in totale solitudine. Gli si avvicina,
posa le mani sul marmo, gli parla. E la statua prende vita. Lei cerca
di allontanarsi, che giustamente la cosa l'avrebbe un po' sbalordita,
ma il David non sa dove andare o come muoversi, e la segue. E lei si
lascia seguire. E se lo porta a casa.
All'inizio
il David ha ancora molto della statua e molto poco dell'uomo. Privo
di impronte digitali, freddo, troppo bianco per sembrare umano. La
coabitazione con Vera, però, sembra cambiarlo poco a poco. Vera
cerca di insegnargli cosa voglia dire essere una persona, cerca di
aggiornarlo ai nostri tempi, persevera pure quando si scontra contro
una testa davvero dura. Certo però che il 'furto' del David non è
passato inosservato, e il committente della Venere non è proprio
contento di non aver potuto aggiungere anche questo capolavoro alla
sua collezione. E più di così non posso dire.
L'idea
della statua che prende vita ai giorni nostri mi è piaciuta
parecchio, così come il back-ground della protagonista. È scritto
con uno stile leggero e colloquiale, ed è molto breve, pure troppo.
Avrei apprezzato, in realtà, una maggiore introspezione, qualche
stralcio della vita di Vera pre-David in più, anche perché si
tratta di una ladra di opere d'arte, sarebbe stato assai
interessante. Forse la trattazione delle vicende è stata un po'
troppo lineare, ma d'altronde il focus del romanzo è la relazione
tra Vera e David e non le vicissitudini cui vanno incontro.
Segnalo tra l'altro che il libro è stato scelto per rappresentare l'Italia durante la 'XIV della lingua italiana del mondo', iniziativa dell'Accademia della Crusca e del Ministero degli Esteri per la promozione della cultura e letteratura italiana.
Ed
ora è il caso che io torni a spalmarmi sul libro di statistica.
Anche se ho già deciso che dopo la laurea andrò a raccogliere mele
in Inghilterra.
(Mia
sorella mi ha fatto notare ieri che sono troppo bassa per raccogliere
le mele, quindi è possibile che io vada anzi a raccogliere
frutti/verdure più a contatto col suolo.)