Il
mese scorso ho dato un esame che mi ha fatto particolarmente penare.
Non so perché, visto che trattava di argomenti ormai familiari, ed
era pure parecchio interessante. Però, chissà come mai, lo studio
mi sfiancava più del solito.
Tranquilli,
non ho intenzione di lamentarmi dell'esame in sé, quello lo faccio
abbastanza ogni volta che devo darne uno – di solito frignando come
se lo studio fosse una tortura impostami da una malvagia popolazione
aliena, un atteggiamento molto maturo da parte mia. Ma soprassediamo
– bensì mi andava di chiacchierare di un racconto che ho scritto
un paio di giorni prima del suddetto esame.
Avevo passato la mattinata – e non sto scherzando, sarò rimasta
piallata sui divanetti all'ingresso intorno alle tre/quattro ore –
dalla parrucchiera. Avevo i capelli così rovinati che pareva mi
fosse riuscito male lo shatush. Ad ogni modo, mi si prospettava una
lunga attesa, meno male che mi ero portata dietro Cose fragili di
Gaiman, di cui ho chiacchierato giusto un paio di giorni fa.
Ora, Umberto
Eco ha parlato di un costrutto semiotico chiamato 'lettore ideale'.
Si tratta di un'istanza determinata dal testo stesso, del perfetto
insieme di aspettative e conoscenze atte a comprenderlo appieno.
No,
non sto tentando di ammorbarvi con nozioni studiate nell'ultimo
esame. Il fatto è che io sono il Lettore Ideale di Gaiman. Lui non
lo sa, ovviamente, ma io sì. Non penso di essere l'unica, ma la
questione rimane. Neil non lo sa, ma scrive per me. I suoi testi
continuano a disegnarmi inconsapevolmente come lettrice.
E
sì, detto così sa un po' di pre-stalker. Pare che io mi accinga a
concludere il post annunciando che andrò a cercare Gaiman per
imporgli la mia esistenza e nutrirmi del suo sangue.
Ma
no, voglio solo dire che leggere i libri di Gaiman mi immerge in un
liquido amniotico creativo, mi trasporta in una dimensione tra le
dimensioni e mi rende particolarmente ricettiva alle storie.
E
visto che ero dalla parrucchiera e stavo leggendo un libro di Gaiman,
puff, mi è nata una storia sulle Parche che aprono un salone di
bellezza. Carina, no? Me la sono ritrovata nella testa e poi tra le
mani, e infine nel computer.
Solo
che ci sono stati d'animo in cui non si dovrebbe mai scrivere, e per
me sono i giorni prima degli esami, in cui ogni mia molecola è tesa
verso i libri di testo. Purtroppo la storia non voleva saperne di
lasciarmi in pace, neanche per un paio d'ore, quindi mi è toccato
scriverla, almeno per poter studiare in pace. Solo che scriverla non
mi bastava per liberarmene del tutto, e l'ho pubblicata qui, sul
blog, dopo averla ricontrollata senza troppa cura, dando giusto una falciata agli errori di battitura.
Risultato?
Pessimo, ovviamente.
Infatti
il mio primo pensiero è stato di correggerla post-esame rigettando
la prima stesura come non fosse neanche mia. Ma poi, dopo aver
riscritto un paio di frasi, mi sono detta che dopotutto il racconto
poteva tornarmi assai utile così com'era. Nella terza puntata di
Scribacchiolando mi lamentavo di come avessi finito per perdere, in
una lunga processione di hard-disk bruciati e sanguinose
formattazioni, tutte le storie che scrivevo da ragazzina, cosa che mi
impedisce oggigiorno di andare a rivedere e
analizzare più chiaramente i miei errori.
Ora,
poiché Il salone delle Parche è rimasto una prima stesura
con una pessima revisione, indiscutibilmente indegno di vedere la
luce... beh, perché no?
Lo
analizzo adesso, insieme a voi.
Dunque,
vediamo.
E
noto anche che nel tentativo di evitare le descrizioni nette, cerco
grossolanamente di cucire insieme l'interazione dei personaggi con
l'ambiente, con le descrizioni stesse, rendendo le frasi confuse e
traboccanti di informazioni inutili.
E
mai che io vada dritta al punto. Avrei potuto evitare un sacco di
ghirigori dispersivi scrivendo chiaramente 'Moira e Norma avevano
aperto un Salone l'anno scorso, l'avevano arredato in questo modo,
ora stavano facendo quello'. Ma nooo, spezzettiamo l'ambiente in giro
per il racconto rendendolo il più evanescente possibile, che la
chiarezza è volgare.
Soprattutto
quando si tratta di racconti, è necessario essere chiari e concisi.
Non c'è tempo per mostrare come i rapporti tra i personaggi si
evolvono attraverso l'interazione, e non c'è spazio per troppi
flash-back o rievocazioni. Brevi e decisi. 'Da tot periodo Morrigan
aveva deciso di cambiare nome perché tot'. Punto. Eccheddiamine, Me
Stessa, quanto hai intenzione di sbrolodare su quella pagina?
Ed
è inutile ancorché dannoso che io mi ostini a scrivere al presente,
che tanto non mi riesce. È un tempo che non sopporto e nel quale non
mi sento a mio agio. E si vede.
Se
proprio dovessi trovare degli aspetti positivi, direi che i dialoghi
potevano riuscirmi peggio, e non nego che l'idea mi piace un sacco.
La rimetterò a posto presto, magari scribacchiolando qualcosa di più
lungo. Mi sono già germogliate in testa diverse scene, devo solo
riuscire a collegarle tra loro. Che, per quanto mi riguarda, è la
parte più difficile.
E
dunque, non so a voi, ma a me questo post è stato decisamente utile.
Se avete voglia di segnalarmi errori che mi sono sfuggiti, mi fate un
grande favore. Prometto che non verrò a suonarvi i bonghi sotto casa
alle tre di notte.