Mi chiamo Irma Voth di Miriam Towes – traduzione di Daniele Benati
– Marcos y Marcos, 2012
È
un libro di cui ho sentito parlare spesso, e sempre molto bene. E se
da un lato ha retto egregiamente alle aspettative, dall'altro non
riesco proprio a trovarmi d'accordo con quanto mi era stato
preannunciato. Perché sì, Mi chiamo Irma Voth è un libro
bellissimo, ma non è affatto il romanzo allegro e ridanciano che mi
avevano descritto. Certo, qualche sorriso viene strappato
dall'assurdità di un dialogo o di una situazione. E da quello che ne
pensa Irma, o dalle parole della sorellina Aggie, o per le bizzarre
credenze dei mennoniti tra i quali hanno sempre vissuto. Ma non sono
riuscita a leggerlo come un libro divertente o comico, neanche un
po'. Forse è il mio sistema umoristico che non funziona, non so. Mia
madre per convincermi a guardare Breaking Bad (grazie per esserci
riuscita, comunque, è la mia serie preferita in assoluto) ha
continuato a descrivermi una serie di situazioni tanto patetiche da
deprimermi solo a sentirle. Magari mi manca il senso del patetico,
chissà.
Ma
dicevo, questa storia è narrata in prima persona da Irma stessa. Ha
diciannove anni, è sposata a un messicano che l'ha appena lasciata
ed è per via di questo legame che il padre ha deciso di allontanarla
dalla famiglia, confinandola in una proprietà adiacente alla loro,
ma con qualche ettaro di nulla a separarli. Sono mennoniti, tipo
amish ma meno amish. E Irma si tiene per sé i suoi dubbi, è una
persona calma, bizzarra ma sensata. Poi un giorno arriva una troupe
cinematografica, e il regista chiede a Irma di farle da interprete
con la sua attrice tedesca e la trama inizia a scorrere, prima piano
e, da metà in poi, sempre più velocemente.
Non
mi va di entrare nei particolari, e consiglio di non leggere la quarta di
copertina perché rivela davvero troppo. Ma lo consiglio. Un sacco.
Bella la storia, belli i personaggi, belli i dialoghi, bello quel che
si è visto del Messico.
Shadow
Hunters – La città di ossa di Cassandra Clare – traduzione di
Fabio Paracchini – Mondadori, 2007
Mi
ci è voluto un sacco per finire questo libro, il primo volume della
celeberrima serie. Me l'ha prestato la ragazza che viene a dare una
mano in libreria e... beh, coi miei libri sono una bestia, ma con
quelli degli altri sono una restauratrice. Non potendomelo portare
dietro né quando esco né nella vasca né durante i pasti... beh,
tutto sommato ci ho messo anche poco.
La
trama è presto detta. Clarissa è una ragazza di sedici anni ed è
in discoteca con l'amico Simon, quando si trova ad essere testimone
di un attacco da parte di tre Shadow Hunters (i cari vecchi
Cacciatori) nei confronti di un demone che viene presto fatto fuori.
Il fatto che sia riuscita a vedere i Cacciatori quando loro non
intendevano farsi vedere è un bel mistero, quindi uno di loro fa in
modo di trascinarla nella loro base, per poterci capire qualcosa. Nel
frattempo la madre di Clarissa viene rapita e... demoni. Un po' di
demoni. E poi una parte decisamente troppo lunga nel ritrovo degli
Shadow Hunters. E poi il cattivo che ce l'ha coi mezzosangue. Coff.
Ci
sono due cose che mi hanno lasciata un po' 'meh' di questo primo
libro. Prima di tutto la traduzione. C'erano frasi che stridevano
tantissimo, si riusciva a vedere la forma sintattica originale sotto
lo scialbo adattamento italiano. A un certo punto ho ritrovato il mio
acerrimo nemico, 'situation' tradotto come 'situazione'. Google
Translate, ci incontriamo di nuovo.
L'altra
cosa che non mi è piaciuta è la semplicità con cui tutto pare filare liscissimo. A volte parlo del 'meccanismo' della
trama e di rotelle che iniziano a girare, si mettono in moto. Uso
parecchio questi sinonimi, perché nella mia testa la trama è un
intricato aggeggio meccanico che deve essere acceso al momento
giusto, e in cui i denti delle rotelle devono incastrarsi
perfettamente. Ecco, in questo caso più che un meccanismo mi è
sembrata una strada liscia e oliata. Tutto accade nel momento giusto
e questo non va bene. Non è plausibile, e a me dà fastidio. Va bene che
sono a un buon tot d'anni di distanza dal target di riferimento, ma
sono ben lungi anche dal target di Harry Potter e lì il meccanismo
c'è eccome. Ed è pure di quelli complessi.
Ci
sono, in La città di ossa, un po' troppe coincidenze e un paio di
momenti in cui veramente mi sono chiesta che razza di editor abbia
avuto la Clare. Intendiamoci, un editor non deve scrivere né
riscrivere, ma dovrebbe far notare le discordanze, i tempi morti, le
piccole distrazioni che si risolvono in due minuti. Ma perché
diavolo non sono state segnalate, certe incongruenze? O il fatto che
la parte centrale del libro sia di una noia mostruosa? L'inizio è
carino, e il terzo finale mi è piaciuto davvero, ma per arrivarci...
I
personaggi però mi piacciono. Ho letto un po' di critiche sul fatto
che sono troppo stereotipati, però... non saprei. Cioè, Clarissa mi
ha irritata in certi punti, perché la Clare ci teneva molto al fatto
che passasse per una tipa tosta con la risposta pronta, e per un po'
l'ha resa simpatica come una medusa nel costume. Però via, non è un
brutto personaggio, una volta che la Clare smette di farla
incacchiare a caso. E mi è piaciuto moltissimo Jace, lo Shadow
Hunter figo. Mi è piaciuto perché è stupido. Cioè, c'è sempre
questo tipo bello-e-dannato-forte-infallibile in qualsivoglia
declinazione di fantasy. In questo caso sì, Jace è bello e forte e
tutto, ma è talmente idiota che il suo essere power player non
infastidisce. Simon me le ha fatte un po' girare ma ha senso, Alec e
Isabella non si vedono moltissimo e spero di conoscerli meglio in
futuro.
Alla
fine... sì, non è male. Dopotutto è il primo di una serie, spero
che nei volumi successivi i difetti vengano smussati. Non è Harry
Potter, va bene, ma è interessante e piacevole.
Lo
consiglio con riserve, ecco.