Incontro con Monica Pareschi, e con la sua aria di vetro

Ho sempre preferito scrivere i miei post di mattina. Non so perché, forse è la breve distanza dal caffè appena bevuto o dal giusto riposo notturno. Sta di fatto che scrivere recensioni dopo le 12 mi irrita. Ne ignoro la causa come deploro il blocco.
Detto questo, lo stage universitario ha un po' impedito la mia presenza sul blog. Dev'essere passata più di una settimana dall'ultimo post, e dire che ho comunque letto abbastanza. Riuscirò a recuperare? Forse no. Magari dovrò condensare.
Ad ogni modo, qualche tempo fa sono stata alla presentazione in libreria di È di vetro quest'aria, opera prima di Monica Pareschi, edita da Italic Pequod quest'anno. Monica Pareschi, tra l'altro, è anche traduttrice e direttrice editoriale della collana Le grandi scrittrici della Neri Pozza. In realtà è in questa forma che mi si è presentata innanzi. Eravamo in libreria, si è voltata verso lo scaffale Neri Pozza e si è compiaciuta della rilevanza data all'edizione appena uscita di Jane Eyre, che aveva curato e tradotto lei stessa. Ho avuto una mezza sincope per l'entusiasmo, soprassediamo.
Dunque.
È una raccolta di racconti, e io temo di non aver mai imparato a recensirle, le raccolte di racconti. I tempi in cui si sviluppano le sue unità sono diversi, e l'importanza ai fini della trama di ogni singolo accadimento è troppo alta perché se ne possa parlare senza svelare. Il racconto breve finisce dove un romanzo ha l'incipit. Più che struttura, per me, è un filo. Ciò non toglie che possa essere un bel filo da seguire.
Ogni racconto in questa raccolta è fatto di corpi, di sensi, di odori. Soprattutto, per me, è fatto di tatto e di disagio. Di calore umano, di effluvi. Di mortalità. Non che siano il tema principale, beninteso, ma la scrittura di Monica libera questi fattori. Alla spiegazione degli stati d'animo preferisce sostituire il calore della pelle, lo spostamento del corpo su una superficie, un socchiudersi di palpebre. È pregna, questa scrittura, è il primo aggettivo che mi viene in mente. E visto che la Pareschi è già una traduttrice affermata, mi viene anche da chiedermi fino a che punto questa si sia sforzata di levigare le parole, o se queste si siano disposte tranquillamente sulla pagina, addomesticate. Sono racconti pieni di sensazioni senza filtro, in certi punti il disturbo è puro.
Ma dicevo, non so recensire i racconti. Mi va piuttosto di chiacchierare dell'incontro.
In realtà non so parlare benissimo neanche degli incontri. Finisco sempre per prendere troppi appunti, confusissimi, su piccoli bloc-notes che continuo a martoriare per tutto il tempo. Ogni volta che assisto a una presentazione, non riesco a produrne altro che un ammasso di frasi e sensazioni, di argomenti sfiorati e taciuti.
Quindi, beh, da qui in poi sarà un vortice.
Monica si è presentata come una logotrafficante, ha parlato della sua nascita come scrittrice come un processo lento, lungamente annunciato. Si è sempre percepita come 'scrittrice' nel senso inglese del termine di 'persona che scrive', scevra del connotato sociale maiuscolo di Scrittore.
Lo stato vicario del traduttore, nascosto tra le righe di quello che traduce. La condizione disgraziata del racconto breve in Italia, in netta contrapposizione col favore di cui gode all'estero.
L'affetto e la venerazione per Alice Munro, che in un'intervista ha detto di avere altro da fare che non scrivere romanzi. 'Questione di fiato', ha aggiunto la Pareschi. Ci sono persone adatte agli scatti, altre col fiato più lungo.
Editori che dicono 'scrivi un romanzo e poi ne parliamo'. Per la Pareschi il racconto è privilegiare una dimensione di dubbio e mistero che richiede al lettore di riempire dei vuoti. Le parti irrisolte che il romanzo risolve.
Gli editori che hanno poca fiducia nei lettori, il romanzo percepito come più semplice, mentre il racconto, più condensato, è vicino alla poesia.
Eros e thanatos, follia e normalità. I personaggi dei suoi racconti che sembrano sempre in bilico tra i due stati.
'La dimensione patologica esplorata e amplificata.'
(La Pareschi, mi appuntavo in questo punto, ha sempre usato parole lunghe e belle, e una sintassi esperta da traduttrice.)
È labile il confine tra normalità e follia. Anche in situazioni consuete, è il come a essere speciale.
Poi hanno avuto luogo alcune letture, stralci sparsi dai racconti. Di solito non amo le letture ad alta voce, mi infastidiscono. È come se la voce di un altro lettore rubasse la mia. Però lì, non lo so, è riuscita ad avere senso, anche se non so spiegarmi perché.
Il rapporto col corpo, conflittuale. Usato, subito o ignorato.
I finali suggeriti. ''La vita rimane confusa, e mi interessa così.''
Il filo che lega le persone attraverso il non detto. Qui ha riso, la Pareschi. Appare come una donna insolitamente allegra, per quello che scrive. ''Ci sono cose che sappiamo, ma non possiamo dire. Infatti poi andiamo dallo psicanalista.''
Compassione per i personaggi attraverso una scrittura spietata, perché c'è la compassione, ma c'è anche tutto il resto.