Del criticare, del recensire, ma fino a dove?

Sono molto indecisa sul tema di questo post. In realtà perfino adesso mi si dibattono dentro la bellezza di due argomenti. Primo fra tutti, i libri che ho letto, un paio di recensioni brevi che attendono da settimane. Sarebbero su Wienna di Christian Mascheroni e La casa della gioia di Edith Wharton. Oppure Miss Julia dice la sua di Ann B. Ross, o ancora Stabat Mater di Tiziano Scarpa, che ho finito ieri sera. Ne ho, di libri di cui chiacchierare.
Però c'è anche quell'altro tema, quello che non ho nemmeno il tempo di sviluppare decentemente perché nel giro di mezzora dovrebbero giungere a trovarmi degli amici da nordiche lande, e non è proprio carinissimo stare a ticchettare al computer quando ci sono ospiti. Tra l'altro la loro presenza – e la loro esistenza, e il loro essere e tutto ciò che sono stati e che sono ancora – deporrebbe a favore di una bella discussione sull'amicizia, e quindi su Wienna di Mascheroni.
Ma visto che i miei neuroni sono ostinati e irritanti, mi arrendo all'altro tema.
Alla critica.
A quanto si può criticare, come, perché, chi, fino a che punto.
Perché posto che uno scrittore debba scrivere come ama scrivere, un lettore deve pur gradire quello che legge.
Mesi fa ho letto Il soccombente di Thomas Bernhard, ne ho pure chiacchierato qui. Ecco, non è stata proprio una lettura entusiasmante. È un bel libro, è scritto bene, e ben congegnato, questo nessuno può toglierglielo. Eppure mi ha infilzato in testa un dubbio. Ovvero, fino a che punto si può parlare di scelte stilistiche e dove inizia la pesantezza intesa come difetto? Dov'è che, a prescindere da quello che vorrebbe effettivamente trasmettere l'autore, la mancanza di scorrevolezza – o l'eccessiva semplificazione – diventano i 'malus' di un libro?
Sto leggendo Shadow Hunters, il celeberrimo Shadow Hunters. Se ne è parlato tanto, e la ragazza – simpaticissima – che viene a dare una mano in libreria lo adora. Me l'ha prestato senza remore, come io le ho passato L'età sottile di Dimitri (che ha finito e adorato, con mia somma soddisfazione). Però... non so. Per quanto io possa comprendere il bene che fa la velocità a un urban fantasy per ragazzi, non riesco a sopportarne la mancanza di dettagli, o quelle piccole pecche risolvibili in pochi minuti. Come un personaggio che resta svenuto per giorni e che non si vede offrire nessun rifocillamento al proprio risveglio, e che tuttavia non accusa particolare debolezza. Reazioni poco comprensibili di alcuni personaggi rispetto agli accadimenti, questo genere di cose che mi fa storcere il naso, e che tuttavia al target della serie pare andare benissimo.
E giusto ieri chiacchieravo di Battle Royale, insieme ad alcuni degli amici che sto attendendo trepidante. Se c'è una cosa che non ho sopportato di Battle Royale è la presentazione stereotipica all'estremo e orrendamente schematica dei personaggi. Un capitolo d'azione dei protagonisti, un capitolo dedicato a uno studente, alternati con una certa regolarità. E gli studenti sono tutti i classici tipi che si trovano negli shonen manga, quelli che basta il ruolo per definirli. Per me, non c'è niente da fare, è un difetto. A uno può piacere, non dico di no. Ma a prescindere da quello che voleva l'autore, è indice di una struttura troppo semplice e poco curata. Non è così che si presentano i personaggi, ma coi gesti, con le azioni, con quello che pensano. Non con dei 'X è fatto così, gli piace questo e quindi vuole questo'.
Accarezzo il sogno di diventare editor, un giorno. E altre cose, tutte legate ai libri. Per questo mi domando spesso fino a che punto sia lecito intervenire su un testo. Genericamente, penso che il compito dell'editor sia aiutare lo scrittore a scrivere esattamente quello che vuole, a non farsi fraintendere dal lettore.
Ma se lo scrittore, putiamo caso, intende scrivere tutto un libro con toni colloquiali e volgarotti da chiacchierata al bar, rendendolo poco comprensibile e stancante? Certo, è quello che voleva l'autore, che magari è in grado di scrivere ben altro. Eppure quel libro potrebbe risultare pesantissimo.
Esistono libri sgradevoli, e lo sono che l'autore lo voglia o meno. È giusto criticarli, ma fino a che punto? E cos'è maggiormente criticabile, che uno scrittore si renda volontariamente pesante e poco chiaro, o che inciampi in involontari errori di giudizio?
Tra l'altro, e so che sono in netta minoranza ma non posso farci nulla, sono convinta che ci siano criteri oggettivi e verificabili perché si possa distinguere la qualità formale di un libro, a prescindere dalla sua gradevolezza. Ne ho parlato qui, diversi mesi fa. Quindi... beh.
Tra poco arriveranno i miei amici, e io sto ancora qui bloccata a farmi di queste domande. Spero di essermi spiegata al meglio, ma non avendo che pochi minuti per correggere i refusi più evidenti, non mi è dato di esserne certa.
Mi farebbe piacere poter aggiungere altrui pareri alle mie opinioni confuse, che cambiano di ora in ora. Troppi se, troppi ma, decisamente troppe variabili. E punti di vista.
Quindi, beh... passate una buona giornata. Io lo farò di sicuro.
(Tra l'altro consiglierei di dare un'occhiata anche a questo post di Start from Scratch. Non nascondo che molto probabilmente il titolo di questo è influenzato dal suo. Sfortunatamente non me ne vengono in mente altri, quindi lo lascerò così almeno per adesso.)