Ieri
mattina mi si sono rotti gli occhiali. Li stavo pulendo, concentrata
su un'importante conversazione facebookiana, e mi è rimasta una
stanghetta in mano. Il che è per me un dramma in qualsiasi momento,
visto che sono presbite e astigmatica. Figuriamoci poi se mi si rompono il giorno stesso in
cui mi capita di dover presentare Giorgio Caponetti,
autore per Marcos y Marcos
di Due belle sfere di vetro ambrato,
Venivano da lontano e
– quest'ultimo non l'ho ancora letto, ma giace in attesa sul
comodino – Quando l'automobile uccise la cavalleria.
Ultimamente
le cose mi sono andate piuttosto bene, quindi mi pare giusto che il
karma torni a reclamare una rata di sfiga.
Non
l'ho presa così bene ieri mattina, però. Anche perché avevo deciso
di passare la giornata a ripassare ben bene la successione temporale
e i nomi dei personaggi. E invece, yeee, sorpresa!, niente occhiali o sfigata blogger con gli occhi di talpa.
Rimane
il fatto che la presentazione è andata bene. Sorprendentemente bene.
Anche perché Caponetti è una delle persone più simpatiche che io
abbia mai conosciuto, la giovialità fatta essere umano, l'allegria
incarnata. Ed è giunto con la simpaticissima moglie Laura e il cane
Beppe che... beh, era simpatico pure lui, quando non abbaiava agli
altri cani a cento metri di distanza.
Dunque.
Come al solito straparlo – o strascrivo – senza neanche
avvicinarmi al tema del post. Dovrei parlare dello scrittore
Caponetti, dei suoi libri, del protagonista che si muove in mezzo,
delle risposte che ha dato alle domande durante l'incontro. So che
stasera farà una presentazione a Empoli, e spero che vada nel
migliore dei modi, ormai ci tengo.
Caponetti
ha una cultura che mi fa sentire rimpicciolito il cervello. Ho idea
che la storia italiana, antica, medievale o moderna che sia, se la
sia pressata nel cervello in comodi fascicoli. Si definisce un
outsider dell'editoria, dice di non capirne poi molto del lato
imprenditoriale del fare libri. In compenso – e qui mi danno per
non avergli chiesto il procedimento grazie al quale le sue storie
prendono vita – ha rivangato con piacere il suo affetto per
Hemingway e Steinbeck.
Ha
ammesso la presenza, nei suoi libri, di una diretta critica alla
penuria di fondi in cui versano i musei e le meraviglie
architettoniche italiane, ha parlato del suo personaggio Alvise come
fosse suo fratello, ha accennato alle infinite ricerche in una
celebre biblioteca veneziana – di cui non ricordo il nome perché
Caponetti avrà la cultura di un Nobel, ma io rimango una capra – e
ha riso pensando a quanti hanno preso sul serio i suoi scherzi
narrativi. Tipo la clonazione da testicolo centenario.
So
che sto parlando poco e nulla dei suoi libri, quello lo riserverò a
un prossimo post. È che quella di ieri è stata la mia prima
presentazione, e sono... come dire, sono contenta che sia stata con
un personaggio amabile come Caponetti.
E
non lo dico solo perché mi ha offerto il caffè.
… ok,
due caffè.
Tra
l'altro, mentre eravamo al bar, più o meno dieci minuti dopo che ci
eravamo presentati, è stato chiamato al telefono da Stefano di
Marcos y Marcos. Ecco. Me
l'ha passato al telefono. Credo di essere riuscita a dire qualcosa
come 'Adoro la Marcos y Marcos' con voce querula da fan dei
Backstreet Boys. Mancava solo gli chiedessi di adottarmi.
Beh,
gli occhi mi bruciano da lacrimare, e finalmente ha aperto l'ottico.
Vado
a farmi riparare gli occhiali, che leggere così mi è tremendo e
doloroso.
In
sostanza, è stato bello presentare Caponetti. Anche leggerlo, ma di
quello chiacchiererò poi.