Beh,
buongiorno. Immagino sappiate che oggi è la Giornata Internazionale
della Donna. Quante belle cose da festeggiare. Proprio tante. Siam
qui che pulluliamo di liete novelle e cambiamenti epocali, che non
inizio a contarli perché poi non saprei come fermarmi in mezzo a
tutto 'sto entusiasmo.
A voler
essere sinceri il tema per questo post mi è venuto in mente poche
ore fa, mentre ero ancora avvoltolata nel piumone in stile burrito.
Avrei voluto pensarci un po' prima, metterlo bene a punto, ampliarlo
e rivederlo, ma l'asfissiante nebbia di febbre che mi ha incasinato
le sinapsi per una settimana mi ha abbandonato soltanto ieri. E
neanche tutto il giorno.
Dunque,
Scrittrici e Pseudonimi.
Iniziamo da
Jane Austen, che mi pare sempre e comunque un ottimo punto di
partenza. Zia Jane era solita firmarsi 'A Lady', oppure 'Autrice di
Orgoglio e Pregiudizio'. Mi va di specificare che l'adorata Jane non
ha mai sofferto per mancanza di supporto familiare: genitori,
fratelli e sorelle non le hanno mai fatto mancare il loro appoggio e
la loro stima, per quanto concerne la sua attività di scrittrice. Il
padre è stato il primo a tentare – fallendo – l'approccio con un
editore, il secondo il fratello. Al quale dobbiamo tanti
ringraziamenti, visto che è riuscito nell'intento.
George Eliot
è un caso emblematico, visto che continuiamo ancora a chiamarla col
suo pseudonimo nonostante sappiamo che il suo vero nome era Mary Ann
Evans. Tuttavia la sua vera identità era nota al pubblico e,
nonostante all'epoca le scrittrici di professione fossero piuttosto
rare, non si può dire che fossero anche malviste, soprattutto se di
estrazione sociale alta come la Evans. Lo pseudonimo, in questo caso,
è stato soprattutto un vezzo.
Le sorelle
Bronte per anni si sono spacciate per i fratelli Bell. Dietro Currel,
Ellis e Acton, si celavano Charlotte, Emily ed Anne. Nel 1850, dopo
la morte delle sorelle, è Charlotte a svelare la realtà dietro gli
pseudonimi, motivando la scelta col timore di possibili pregiudizi
del pubblico verso autrici donne.
Decenni
prima, nel 1818, le prime edizioni di Frankenstein di Mary Shelley
vengono pubblicate in forma anonima. Non si tratta esattamente di uno
pseudonimo, ma neanche di un nome.
A fare uso
di un nome fittizio è stata anche Louisa May Alcott, che aveva
firmato il suo Piccole Donne e seguiti con A. M. Barnard. Mi verrebbe
anche da chiedermi chi mai abbia potuto cascarci, ma facciamo finta
di nulla.
Anche
Elizabeth Gaskell, autrice di Nord e Sud, scelse di pubblicare sotto
un nome maschile, Cotton Mather Mills.
E con un
discreto salto in avanti, c'è J. K. Rowling, che ancora nel 1997 ha
nascosto il proprio genere dietro due larghe lettere puntate. Nel
'97.
Ora, se per
alcune delle scrittrici cui ho fatto cenno si è trattato di vezzo
giocoso, non credo si possa dire lo stesso dell'epoca moderna. Il
pregiudizio c'è, ma non è tanto nel mondo editoriale, quanto
radicato nei meccanismi di scelta dei lettori. Dopo mesi in
biblioteca e in libreria, posso dire che i bambini maschi non
scelgono libri con bambine come protagonisti. Non si tratta di una
scelta consapevole, ma diventerà tale. Un giorno si appoggeranno al
bancone col gomito, si daranno una rassettata al naso strizzandolo
tra il pollice e l'indice piegato e si lasceranno andare a
riflessioni dal tono pomposo su come uomini e donne scrivano
diversamente, su come una donna sia meno incisiva, troppo sensibile,
per nulla avvezza alla violenza e via dicendo. Lo dirà dopo aver
preso letto un'emerita boiata, qualcosa come 'A letto col mio capo',
uno squallido volume di una squallida collana che definire rosa
sarebbe volerla stingere.
Non voglio
suonare amara, questo post era cominciato bene. Era cominciato con
Jane Austen, che è anche un ottimo punto di chiusura. Jane che si
firmava con 'A Lady' per ragioni di decoro personale, e pur essendo
donna era ben più che apprezzata, anche dal sovrano Re George IV, al
quale dedicò Emma.
Intendiamoci, non sto dicendo che all'epoca non ci fossero pregiudizi, né ne sto cantando l'elogio funebre in anticipo. Viviamo ancora in un brutto, brutto mondo. Però il mondo dei Libri, da qualsiasi parte lo si guardi, ha sempre fornito una via di fuga, un'isola felice, perché chi legge è già salvo. E per 'salvo' intendo dire 'vaccinato contro l'idiozia'. E il pregiudizio è la forma massima di idiozia.
Ora, la realtà è
che viviamo in un mondo storto, ma è anche vero che è un mondo
facilissimo da raddrizzare con una cosa chiamata 'educazione'.
'Cultura', se proprio vogliamo. Basta poco. Se ogni maestra
elementare, se ogni bibliotecaria, se ogni
zia-zio-fratello-sorella-parente regalasse un libro di Bianca
Pitzorno o di Margaret Mahy ai bambini, il passo più lungo sarebbe
già fatto. Ci vorrà un po' per raccogliere i frutti, ma il seme
sarebbe piantato. Ai bambini frega assai, è a lasciarli affondare
nella sozzura che si rovinano.