Butcher's
Crossing di John Williams – traduzione di Stefano Tummolini –
Fazi Editore, 2013
John
Williams lo conosciamo tutti per via di Stoner, di cui avevo
entusiasticamente chiacchierato qui. Ammetto che questo libro
mi ha colta alla sprovvista, non mi aspettavo una simile tematica, né
una trattazione così fredda o un finale così cinematografico.
Inizia
col protagonista, Will Andrews, che arriva in uno sparuto e polveroso
villaggio del vecchio West. Trova una stanza, si dà una rinfrescata
e va a cercare un tizio che, secondo le indicazioni del padre, gli
darà una mano.
Will
è un personaggio strano, che non si capisce mai del tutto. Non so
decidermi se l'effetto sia voluto, o se Will faccia parte di quella
rara tipologia di persone impossibili da comprendere, che guardano avanti e non ti vedono, che pensano sempre ad
altro, che inseguono miraggi come enormi punti interrogativi.
Poche
settimane dopo il suo arrivo a Butcher's Crossing, Will riparte alla volta del Colorado,
questa volta in compagnia di tre uomini. Un cacciatore, uno
scuoiatore e un... beh, un Charley Hoge. Che beve whiskey, guida il
carro e legge la Bibbia. Il cacciatore, Miller, è gelidamente
ossessionato dalla visione che ha avuto anni prima di un enorme
branco di bufali e intende raggiungerli di nuovo, per farli fuori
tutti. Schneider, lo scuoiatore è... non lo so. Non credo che
Williams abbia fatto un grande lavoro di caratterizzazione. Non sento
di aver conosciuto bene nessuno dei personaggi, men che meno ho
potuto provare simpatia per uno di loro. La narrazione è calma e
delicata come quella di Stoner, solo che questa volta è meno
profonda, più distante. Che l'effetto sia voluto o meno, avrei
preferito diversamente.
E
dunque, caccia ai bufali. E vita selvaggia. Uomo vs Natura. Domande
inespresse.
Non
posso dire che non sia un bel libro, anzi. E al traduttore vanno i miei complimenti più sentiti. Eppure...
Black
Friars – L'ordine della Penna di Virginia de Winter – Fazi
Editore, 2012
Ho
già chiacchierato di Black Friars un paio di volte, qui
e qui. Ora. Senza nulla togliere ai precedenti volumi, che mi
sono piaciuti un fracco... ecco, con L'ordine della Penna mi
viene da dire che la de Winter è sbocciata. È diventata quel tipo
di scrittrice che ti fa a pezzi le velleità letterarie a colpi di
prosa. C'era una piccola e amareggiata parte di me che, mentre
leggevo gioiosa e soddisfatta, continuava a ripetermi che forse
sarebbe il caso di darsi alla coltivazione della soia, perché tanto
'fin lì' non potrò mai arrivarci.
Continuano
le vicende di Axel ed Eloise e della Vecchia Capitale tutta. Da
qualche tempo il Patto che trattiene le creature del Presidio sembra
essersi incrinato, gli spiriti dei morti spuntano come funghi dopo un
temporale. E poi si aggiunge Sophia come personaggio principale, la
figlia ritrovata di... no, beh, a pensarci bene sarebbe uno spoiler
per chi non ha ancora letto i primi volumi, quindi taccio.
Mi
limito a dire che l'ambientazione è ancora più completa e convincente, che i personaggi sono sempre meglio delineati, che
Bryce e Stephen sono meravigliosi e fanno schiantare dalle risate, mentre a
Gareth mi sento tristemente vicina. E Gabriel... ecco, Gabriel è
quel tipo di personaggio cui terrei giù la testa in una vasca di
liquame. E scrivo 'liquame' per ostentare raffinatezza. Lo ammetto, non
mi è piaciuta granché la storia d'amore, ma qui trattasi di
gusti. Funziona, e questo è quello che conta.
È
inutile che io stia a ripetere quanto ho adorato questo libro. Mi ha
tenuta sveglia fino a notte fonda, finché gli occhi non hanno
iniziato a lacrimare dal bruciore. Ho già parlato in abbondanza
della suddetta saga in precedenti recensioni, quindi non avrebbe
senso ripetere tutto. Dico solo che scrivere in modo 'sì raffinato
senza inficiare la scorrevolezza non è cosa da tutti. Punto. Non
dico altro.