Non
sapevo granché di questo libro, quando l'ho ordinato. Non ho letto
recensioni, non mi sono informata sull'autrice – meglio così,
perché il suo primo libro non mi aveva entusiasmata, se avessi
saputo che anche questo è figlio suo forse non l'avrei preso – e
non ho neanche sguardicchiato granché il retro di copertina una
volta avutolo tra le mani. L'avevo solo visto segnalato nel Meleto.
Cosa che comporta un 'Uelà, grazie!' ad Andrea.
Dopodiché,
il libro. I piatti più piccanti della cucina tatara di Alina
Bronsky, edito in edizione economica dalla E/O nel 2012.
E, per quanto io non conosca il tedesco, sento di poter dire che la
traduzione di Monica Pesetti è davvero buona.
La
storia è narrata in prima persona da Rosalinda, e copre più o meno
una trentina d'anni, sebbene gli ultimi dieci prendano poche, brevi
pagine. Non saprei dire in che periodo siamo, all'inizio. Forse ci
sono riferimenti che aiuteranno altri a capirlo. Inizialmente, visto che non è
scritto chiaramente da nessuna parte, mi ero immaginata gli anni '50. Poi però si parla di euro, si vedono computer, ci si riunisce a
guardare programmi tipo X-Factor. Quindi dovrebbe iniziare intorno
agli '80... credo. Non saprei proprio.
Ad
ogni modo, siamo in Russia e nella testa di Rosa. Rosa è un
personaggio meraviglioso. Malvagia fino ad essere grottesca, una
donna bellissima e maestosa, pratica ed energica quando si tratta di
tiranneggiare gli altri, cosa che fa con una sicurezza disarmante.
Muove le persone come fossero pedine, si fa un piano in testa e poi
fa in modo che gli altri lo seguano. È insensibile, dura, diretta. E
io l'ho adorata. So di essere in netta minoranza, ma a me Rosa ha
fatto quasi simpatia. Durante la lettura mi capitava di strabuzzare
gli occhi incredula di fronte alla facilità con cui calpestava i
sentimenti altrui. E non è che lei non ne avesse, solo che non
vedeva motivo di starci a indugiare. Se il mondo è crudele, educalo
a ceffoni.
Succede
che Sulfia, la figlia diciassettenne di Rosa – e dell'inutile
marito – rimane incinta. Non si sa di chi, ma Rosa sceglie di
credere alla possibilità che la figlia sia rimasta fecondata in
sogno. Inizialmente l'amorevole madre cerca di farla abortire in ogni
modo, finché dopo i continui insuccessi, non le rimane che
desistere. E nasce Aminat, una bambina bellissima che diventa tutto
il suo mondo. Aminat è il suo fine ultimo, è 'sua'. Le somiglia
come Sulfia, tonta e bruttina, non le era mai somigliata. Ha gli
occhi vispi, intelligenti. E Rosa vuole tenerla con sé.
Da
qui in poi accadono un sacco di cose. Accadono a Rosa, a Sulfia, ad
Aminat. Il loro piccolo mondo che si allarga e poi si restringe,
Sulfia che si fida del mondo come se la gioia non avesse spine, Rosa
che stringe le labbra, disapprova, comanda e bacchetta. Aminat che
cresce e cambia.
La
caratterizzazione dei personaggi è eccellente. Nonostante siamo
costretti a vedere tutto dal punto di vista di Rosa, riusciamo a
farci una chiara idea di come stiano realmente le cose. E i
personaggi cambiano in maniera davvero realistica, gli avvenimenti
lasciano segni evidenti e comprensibili sulla loro pelle e sui
rapporti che intercorrono tra loro. Lo stile poi è fluido e
scorrevole, la storia corre leggera anche quando di leggero non ha
nulla.
Una
sola cosa mi ha fatto storcere il naso. Il finale. Mi è scattato
l'impulso di raggiungere la Bronsky e rincorrerla per tutto il suo
appartamento, armata di un cucchiaio di legno da picchiare
ripetutamente contro ogni superficie dura, così da diventare
l'elemento di disturbo supremo, mentre le ripeto 'Allora? Sei sicura
che sia andata così? Sei proprio sicura? Ma ne sei certa? Controlla
meglio!'.
Il
che ha un vago sentore di Rosa, ma facciamo finta di nulla.
È
un libro che ho adorato. Tanto. Inquietante e divertente. Più che
consigliato.