Cristo,
Stoner.
Questa
è stata più o meno la mia reazione a lettura terminata. E a inizio
lettura. E a metà lettura. È un libro meraviglioso, che merita in
pieno tutto quanto di buono se ne dice. È 'il giusto', non c'è
niente di troppo, e non manca nulla. L'equilibrio tra lato emotivo e
narrazione. Una pacca sulla spalla sentita, sincera, ma non
invadente.
Potrei
andare avanti per pagine e pagine a ripetere quanto l'ho adorato, a
cercare metafore per poterlo esprimere al meglio. Ma dunque, vediamo
di soprassedere.
L'autore
è John Williams, nato in Texas nel 1922, nato in una famiglia
di contadini e divenuto professore universitario proprio come William
Stoner. Non so se le analogie proseguano, se Williams veda se stesso
nel suo personaggio. Però so che Stoner l'ho sentito vicino, gli
sono entrata negli occhi, ho scoperto i libri e l'insegnamento con
lui.
È
un libro di cui si è parlato un sacco, quasi universalmente bene.
L'ho letto con aspettative altissime, con una consapevolezza che ha
finito per smorzare lo stupore che altrimenti mi avrebbe colpita.
Sapevo già che sarebbe stata una lettura meravigliosa e che avrei
adorato Stoner. E che avrei adorato la sua vita, nonostante si
sarebbe trattato di una vita comune, normalissima, priva di eventi
assoluti e rivoluzionari. L'unico momento davvero rivoluzionario
della sua vita è quello in cui, durante una lezione di letteratura
inglese, viene investito dalle parole di William Shakespeare. E dalla
laurea in Agraria, passa a Letteratura. Eppure si rimane avvinti ad
ogni pagina, ad ogni piccolo e normalissimo passo, dalla sua vita di
studente al matrimonio, dalla nascita della figlia fino al rapporto
col professor Lomax. Le piccole vittorie, i piccoli screzi, le grandi
difficoltà come i momenti di decisione. Una vita che rischia di
essere definita mediocre, che però è stata così intensa per
Stoner...
È
difficile dire che cosa ci sia poi di tanto speciale in questo libro.
Eppure lo è. Mi ha ricordato molto Ogni cuore umano di
William Boyd, che avevo divorato e recensito poche settimane
fa. Eppure, mentre nel libro di Boyd il protagonista è anche
narratore e la narrazione procede in forma diaristica, in Stoner il
racconto è in mano a un narratore esterno e onnisciente. E mentre
nel libro di Boyd il protagonista vive un'esistenza avventurosa,
piena e cangiante, arrivando spesso a conoscere personaggi realmente
esistiti e famosi, Stoner rimane immobile. Non esce mai dall'America,
viaggia una volta soltanto. Il suo unico spostamento è stato dalla
casa dei genitori fino all'Università di Columbia. Non conosce
persone famose, anzi, conosce pochissime persone e basta. È
riservato, freddo, cortese. Un uomo giusto, se non fosse tanto
pavido. C'è un lato di lui che non ho potuto fare a meno di odiare,
ma evito di svelare quale.
Quindi...
beh, è inutile stare a fare tanti giri di parole. Stoner è un libro
stupendo, che merita di essere letto e adorato. Mi unisco all'immenso
coro di coloro che l'hanno amato. E tenete pure alte le vostre
aspettative, questo non cambierà l'intensità della lettura. Tra
l'altro la Fazi ha pubblicato anche un altro libro di John Williams –
che a pensarci bene, come ha fatto a rimanere sconosciuto così a
lungo? - e non vedo l'ora di metterci le manacce.
Quindi...
vabé, superfluo concludere con 'lo consiglio un sacco', no?