Eh,
lo so, ultimamente latito un po'. D'altronde blabla libreria, blabla
studio. Non sto a ripetere le solite cose, via.
Allora,
La verità sul caso Harry Quebert di Joel Dicker,
tradotto da Vincenzo Vega (Tarantino, sei tu?) pubblicato a
maggio e più o meno uno dei casi letterari estivi.
Vediamo.
Chi ha seguito la mia travagliata lettura su Facebook si aspetterà
un post altamente critico, forse addirittura una stroncatura. Eppure,
non lo so. Ho atteso un paio di giorni dopo aver finito la lettura
prima di iniziare a scrivere questo post, nella speranza che i
pensieri su questo libro smettessero di vorticare e si
solidificassero in una vera e propria opinione. Precisa, magari.
Univoca.
E
invece, non lo so.
Dunque, la
storia. Il protagonista è Marcus Goldman, un tizio di circa
trent'anni diventato ricco e famoso dopo la pubblicazione del suo
primo romanzo. Vive a New York e fa la classica bella vita dello
scrittore. O almeno, vive lo stereotipo della vita fiammante degli
scrittori famosi. Donne, alcol, feste. Il problema è che non riesce
più a scrivere. Zero, niente di niente, neanche uno squallido
abbozzo di trama. Il giorno della consegna si avvicina
inesorabilmente e Marcus chiede aiuto al suo amico e mentore dai
tempi dell'università, Harry Quebert, scrittore affermatissimo e
famosissimo, ultra-rispettato. Volendogli un gran bene, Harry lo
accoglie felicemente nella sua villa in un paesino in riva al mare.
Solo che, durante la sua vacanzuccia in casa dell'amico, Marcus
scopre – non vi dico come, ma tanto non è importante - che Harry
ha avuto una storia con una quindicenne decenni prima, quando lui ne
aveva trentaquattro. La ragazzina, Nola, è scomparsa lo stesso anno
in cui si erano conosciuti. Ne parlano, ne discutono e poi è finita
lì.
Peccato
che pochi mesi dopo ne venga scoperto il giovine cadavere sepolto nel
giardino di Harry. E la trama nel vero senso della parola inizierà a
mettersi in moto da lì, dal ritrovamento di Nola. Ovviamente Harry è
il primo sospettato, ma Marcus crede in lui e non si dà pace, si
trasferisce nella sua villa e inizia a indagare. Vuole scoprire chi
sia il vero assassino di Nola, così da poter scagionare l'amico.
E
più o meno questo è tutto. Il problema è che sono 770 pagine.
Io
di solito adoro i libri lunghi, dalla forma e dal peso di un mattone.
Però in questo caso ho trovato che 770 pagine fossero davvero
troppe, ingiustificate. Ci sono stati punti in cui mi sono annoiata
parecchio, devo dire. Mi è piaciuto molto l'inizio, quello scorcio
di vita di Marcus e poi ho adorato il finale. Le ultime 150/200
pagine sono assurde, una vera corsa, non ci si sente neanche voltare
pagina. Però il resto, ecco...
Un
altro problema che ho avuto col libro è che Nola ha quindici anni.
QUINDICI. Ergo, è una ragazzina. Ergo, il tizio che l'autore
descrive con tanto affetto, come un signore gentile e tormentato,
quasi accusando di isteria e moralismo qua e là i personaggi che si
scandalizzano, ha dei seri problemi. Punto. Non ci sono mezze misure,
non ci sono se e ma. Il mio problema non è il tema, quanto il modo
in cui è affrontato. Ci sono vari personaggi che difendono Quebert e
credo che l'autore abbia dato loro il compito di diffondere il suo
pensiero. E questo cristoddio mi dà fastidio.
Un
altro problema è il modo in cui la vivono, questa grande storia
d'ammmore. Perché non è 'amore', è proprio 'ammmore'. Non parlano
d'altro, i loro dialoghi sono insopportabili e improponibili, una
sequela di 'Mi ami?', 'Ti amo!', 'Un giorno saremo felici!',
'Stobbène solo con tè!' e via dicendo. Davvero, mai una volta che
si sognino di cambiare argomento. Ora, io ammetto di essere romantica
quanto un triceratopo, ma santoddio, non li si può leggere.
C'è
anche da dire che un certo punto mi sono chiesta se anzi Dicker non
avesse fatto uso del mio fastidio consapevolmente e volontariamente,
per spostare la mia attenzione da altri elementi. Alla fine mi sono
chiesta quanto Dicker avesse giocato con la mia testa, fino a che
punto sia riuscito a manovrare i miei ingranaggi, quanto abbia
instradato i miei tentativi di risolvere il mistero... e sinceramente
non lo so. Però mi viene da pensare che sia stato molto, molto
abile.
Il
lato giallo invece è stato, secondo me, gestito proprio bene. Certo,
l'assassino l'ho indovinato subito, alla sua seconda apparizione.
Però credo che avrei potuto dirlo per quasi metà dei personaggi. Il
libro inizia quasi con una certezza, poi è un fiume di moventi, al
punto che abbiamo l'imbarazzo della scelta. E fino all'ultimo non
siamo sicuri di chi sia stato né del perché l'abbia fatto. Ecco, da
questo punto di vista Dicker è stato proprio bravo. Anche se ho
ancora un appunto da fare alle indagini di Marcus. Cioè, è troppo
facile, filano troppo lisce. Non esiste che gli si spiattelli tutto
davanti così, dai.
Quindi
concludo dicendovi che sì, è un libro che sono lieta di aver letto
e terminato, almeno per il lato 'giallo' e per come Dicker mi ha
sconquassato il cervello. Perché il finale è davvero una sorpresa.
Però allo stesso tempo non posso negare la noia provata in certi
punti. E ammetto che i personaggi non mi sono proprio piaciuti, anzi.
Beh,
non so che altro aggiungere. Però se l'avete letto mi dite cosa ne
pensate? Visto che è chiaro che nemmeno io dopotutto so cosa
pensarne...