Gli artisti della traduzione

Quello del traduttore è un lavoro ingrato e bastardo, soprattutto in Italia, dove è pure malpagato. Ci si danna su un testo altrui, si suda sulla sintassi, si sanguina sulle sfumature di quel doppio senso così difficili da rendere, si inciampa sui giochi di parole per settimane, mesi. Anni, qualche volta. E tristemente, di rado si viene ricordati.
In realtà neanch'io mi ricordo di tutti i traduttori che incontro sulla mia strada di lettrice. Certo, li cito sempre nelle recensioni, ma di rado mi restano in testa. Però oggi ero in libreria e, mentre mettevo a posto alcuni nuovi arrivi – due me li sono accuratamente messi da parte, coff – ho visto che uno era tradotto da Massimo Ortelio e mi sono accorta di come, dopo aver letto il nome del traduttore, la mia considerazione per quel libro, di cui comunque non avevo mai sentito parlare, fosse salita considerevolmente. Magari non ci se ne accorge, di quanto può fare una traduzione, di quanto può massacrare o giovare a un testo. Giusto un paio di giorni fa ho abbandonato alle prime pagine la lettura di Il grande Gatsby, che tra l'altro mi stava piacendo, perché l'edizione – Newton Compton '89 – faceva orrore. Dopo un 'Ti piace saperlo?' mi son detta che era il caso di attendere di potermi permettere la traduzione della Minimum Fax, che ha vinto pure dei premi.
Ordunque, tutta questa manfrina perché oggi mi va di dedicare un post a quei pochi traduttori che mi hanno colpita così tanto che, a distanza di mesi dalla lettura, ancora mi ricordo di quanto siano stati abili. Che sarà anche vero che la traduzione migliore è quella che non si nota, ma al tempo stesso, a mio avviso, tanta mirabile abilità ogni tanto va anche omaggiata e ringraziata. Eccheddiamine.
Vediamo.
Massimo Ortelio, appunto, che la Neri Pozza sembra volersi – saggiamente – tenere ben stretto. Traduttore di Tracy Chevalier, della mia adorata Susan Vreeland, di David Benioff – e qui si dimostra estremamente adattabile, vista la differenza di genere.
Anna Martini, di cui non riesco a dimenticare l'inimitabile performance in Gli inganni di Locke Lamora e nel suo seguito, I pirati dell'Oceano Rosso. È stata magistrale, ha trasposto alla perfezione la stessa atmosfera scherzosa, la stessa ironia di Locke e dei suoi amici in italiano. Impareggiabile.
Luciana Bianciardi, che con la sua trasposizione di Una banda di idioti si è portata a casa un meritatissimo Premio Monselice nell'83. Non oso immaginare quanto sia stato difficile adattare le lunghe lamentazioni di Ignatius all'italiano.
Matteo Codignola, editor e traduttore per Adelphi, per la quale ha sapientemente curato sia La versione di Barney che Zia Mame, riuscendo a trovare una voce diversa e adattissima per ognuno dei due libri.
Anna Luisa Zazo, la 'doppiatrice' italiana di Georgette Heyer. Non dico nulla, se avete assaggiato uno di quei libri capirete da voi quanto sia stata abile, le frasi scorrono così leggere che sembra quasi che la Zazo si sia divertita quanto la Heyer.
Alberto Bracci Testasecca, traduttore per la E/O di Jane Gardam. Che poi ha tradotto anche un sacco di altre cose, ma io non le ho lette, quindi lo cito solo per la Gardam. Così british che pare annegato nel tè.
Lia Sezzi, traduttrice di L'ombra del vento di Zafòn. Credo che sia stata lei la prima a farmi capire l'importanza dei traduttori. Voglio dire, non che da prima osassi negarla, però non ci pensavo poi molto. Poi ho trovato la meraviglia nel suo adattamento e, beh, la traduzione è diventata per me una componente decisamente importante. Per bellezza, dico.
Ce ne sono anche altri di traduttori bravi, che ammiro e apprezzo. Però in questo post ho voluto citare soltanto quelli che hanno raggiunto e superato la perfezione, facendo della traduzione una vera arte. I 'maestri', ecco.
Voi avete dei traduttori 'preferiti'? Qualcuno da segnalarmi?