Ho
appena finito di leggere La verità sul caso Harry Quebert e al
momento il mio unico pensiero è 'Well played, Dicker', visto che non
riesco a trovare un corrispettivo italiano. Sono rimasta scettica a
lungo su questo libro e poi alla fine mi sono – in parte –
ricreduta. Il problema è che non so come parlarne. Non ho ancora ben
chiaro come se ne possa disquisire senza lasciarsi sfuggire un
esercito di spoiler.
Ma
comunque non ne parlerò oggi.
Oggi
mi andava di disquisire di un tema di cui ciacolo spesso ma cui non
ho mai dedicato un post, nonostante, ho notato, mi ritrovi spesso a
parlarne.
Ora,
io ho sempre pensato – o almeno, lo penso da quando ho iniziato a
pensarci – che ci fossero diversi modi di guardare ad un prodotto
culturale. Anzi, diciamo direttamente 'libro', va', che tanto è lì
che voglio andare a parare. Un modo oggettivo e uno soggettivo. Il
primo è organizzato in diversi parametri che possono essere trama,
sviluppo, personaggi, originalità, stile... cose così. Un po' i
tipici aspetti che possono figurare in una scheda di lettura.
Misurabili, osservabili, a prescindere dalle nostre interpretazioni.
E
poi c'è l'altro 'modo', quello soggettivo, che è quello che io
chiamo del 'gradimento'. Ovvero, il piacere o non piacere. Che ci
sono anche quelli che, nonostante riconoscano la totale schifiltudine
formale di un libro, non possono negare di averlo trovato divertente,
stimolante o quello che è. Il brutto che piace, magari. Che poi c'è
anche il bello che non piace, ma eviterò di andarmi a impelagare
oltre che, domineddio, devo studiare.
E non è che voglio dire che è sbagliato gradire un libro oggettivamente brutto, ai gusti non si comanda. Sarebbe anzi ipocrita negare quanto ci si è emozionati/divertiti con un libro che è piaciuto. Ma mi fa strano che si tenti di difenderlo a tutti i costi, pure quando è visibilmente di bassa lega.
Quello
che voglio dire è che secondo me è possibilissimo 'misurare' la
qualità di un libro. Se è scritto bene o male, se i personaggi sono
credibili e come si relazionano tra loro e con la trama, se la storia
è solida o piena di buchi... credo che siano elementi visibilissimi,
alla portata di ogni lettore che voglia analizzarli. Non parlo del
lato soggettivo, che 'piace quel che piace'. Però non è neanche
vero che 'Non è bello quel che è bello, è bello quel che piace'.
Cioè, no. Può anche darsi che a piacere sia una boiata.
Eppure,
con mio discreto – non grande, ma discreto sì, dai – sconcerto,
sono tantissimi a pensarla diversamente. Non che io dia normalmente
per scontato di avere ragione, però ammetto che in questo specifico
caso non mi è facile avvicinarmi all'altrui punto di vista. Cioè,
secondo me è quasi matematico constatare se qualcosa è scritto bene
o è scritto male. Ritmo, grammatica, scelta dei termini... sono lì,
espliciti, verificabili, fruibili per chiunque. Altrimenti sarebbe
impossibile anche solo pensare di dare voti ai temi durante le
scuole, o compilare schede di lettura per i manoscritti che arrivano
alle case editrici. Voglio dire, se si trattasse solo di 'gusti' non
ci sarebbero differenze tra le 50 Sfumature e Orgoglio e Pregiudizio,
tra il 'Oggi ho pensato che volevo andare là' e il 'Mi bruciava
dentro il desiderio di tornare dove ero stata felice', tra lo
stereotipo del bad boy oscuro e figaccione e un Mr. Rochester.
Tra
Mozart e Avril Lavigne.
Tra
Leonardo e i miei scarabocchi delle elementari.
Non
so se la pensiate come me o meno, in ogni caso mi sareste d'immenso
aiuto se mi aiutaste a concepire il pensiero opposto, quello secondo
cui non è possibile determinare la qualità oggettiva di un'opera.
No,
perché io ci sto uscendo scema.