E
dunque, miei prodi, non so se ne ho già ciacolato anche qui ma da
qualche giorno ho iniziato un allegro stage in libreria. Ovviamente
all'AltroLuogo. Quando sono lì mi diverto un sacco a cambiare la
disposizione dei libri, scegliere quali esporre all'entrata, seguire
i clienti con gli occhi senza che se ne accorgano.
Ad
ogni modo direi che il diradarsi della mia presenza su Internet sta
dimostrando quanto ero solita rispondere quando mi si chiedeva come
facessi a leggere tanto e a tenere dietro a tante cose: non avevo
altro da fare. Punto. Indi chiedo perdono, mi abituerò ad avere
impegni e magari riuscirò a gestirmi decentemente.
Comunque.
L'altro
giorno la ragazza dell'ufficio-stampa della Tunué mi ha mandato una
cortesissima richiesta di recensione per Tutta la vita in un
abbraccio, ideato da Luca Amitrano, sceneggiato da
Cristiano Silvi e disegnato da Marco Pugliese. Ammetto
che la storia non mi ispirava granché, perché parla di qualcosa di
cui non so assolutamente nulla, ovvero la danza. Però parla
soprattutto di Amira, che danza. Una ragazza cui sono state amputate
le braccia per volere del marito, per punirla o per educarla quando
era solo una ragazzina. Amira è turca e la famiglia l'ha venduta a
un uomo che a malapena si può chiamare uomo. Ogni pagina in cui
compare è intrisa di disgusto. Fortunatamente non compare spesso, ma
solo nei suoi ricordi. Brevi retrospettive di un inferno.
La
storia inizia con Amira che viene accolta in una missione in Turchia.
Fa amicizia con don Luigi, che chiede a Italo, maresciallo dei
carabinieri, di portarla in Italia, per evitare che venga
rintracciata dalla famiglia del marito, che ancora dopo tanti anni
continua a cercarla. E Italo la porta a Roma, a casa degli anziani
genitori, dove c'è anche la figlia Caterina. E il fatto che Caterina
faccia danza moderna, beh, mette in moto tutto il resto.
Mi
piace il fatto che questa storia sia raccontata a stralci, con
ellissi frequenti che a volte coprono un arco di tempo piuttosto
lungo. Mi piace il modo in cui mostra senza spiegare troppo. Mi
piacciono i nonni di Caterina. Mi piace il fatto che abbiano
semplicemente deciso di usare un carattere particolare e
orientaleggiante per far capire quando i personaggi stanno parlando
turco, per distinguere i momenti in cui parlano italiano. Mi piace il
fatto che abbiano raccontato questa storia senza sconti o carezze. E
anche solo che abbiano scelto di raccontarla.
Anche
se parlarne è difficile. È di una cattiveria che massacra, ma
splende anche di una speranza che confonde. Ieri sera non avevo idea
di come ne avrei scritto, poi mi sono lasciata rubare qualche lacrima
e ho potuto iniziare a digerirla. È straziante anche per la sua
bellezza.
E
sinceramente non so che altro dirne. Non sono esperta né di
linguaggio fumettistico né tantomeno di danza, perciò preferirei
chiudere prima di lanciarmi in cavolate.