Dire
che negli ultimi tempi me la prendo comoda col blog sarebbe dire
poco. D'altronde, beh, ho sorprendentemente da fare, quindi... che
poi il fatto che io mi trovi a sottolinearlo quasi con meraviglia
ogni volta che inizio un post ha anche un che di irritante, no? Mi
immagino quelli che lavorano 'sul serio' che leggono le mie
lamentazioni sul poco tempo, quando tutto ciò che faccio è entrare
in libreria chiedendo se c'è qualcosa da fare. Di solito girello per
un po' alla ricerca di libri da mettere a posto. E di solito sono in
ordine. Fate voi... però domani c'è un evento carino con qualche
autore, aperitivi, musica, cose belle. Mi sa che mi divertirò. Tra
l'altro sono anni che non faccio qualcosa di sabato sera.
Madonna
quanto sono anziana dentro.
Il
libro delle illusioni di Paul Auster – traduzione di Massimo
Bocchiola – Einaudi, 2013
La
prima cosa che mi viene da dire su questo libro è che ne avevo
davvero bisogno. Negli ultimi tempi – e anche adesso, a dire il
vero – mi sono data soprattutto a letture piuttosto leggere,
fantastico e dintorni, fughe dalla realtà. Che poi di solito per me
la lettura è questo, una fuga meravigliosa, una scappata oltre la
tana del Bianconiglio, a vedere quello che potrebbe essere e invece
non è. Poi si torna a bestemmiare e sudare fuori dalle pagine, però
una gitarella in un mondo 'altro' ci vuole. Almeno un paio d'ore al
giorno.
Il
libro delle illusioni non è affatto una fuga dalla realtà. È
piuttosto una scarpa affondata nel catrame appiccicoso, una giornata
torrida, la macchina che si ferma in autostrada sotto il sole
cocente. Non perché non sia un bel libro, anzi, ma perché è uno
schiaffo di realtà dritto in faccia. Resa, discesa, brutture. Tanta
sofferenza. Di quella che non riesco a concepire neanche lontanamente
come ci si possa rialzare.
Il
protagonista e voce narrante è David Zimmer, che ripercorre quanto
gli è accaduto alla vigilia dei quarant'anni, undici anni prima del
momento in cui inizia a scrivere. Ha perso da poco la moglie e i due
figli in un incidente aereo, è appena uscito dall'obbligatorio
percorso di autodistruzione fatto di alcol e vita reclusa. È
riuscito a uscirne quasi miracolosamente grazie a Hector Mann, un
regista degli anni '20 di cui ha per caso visto un filmato in
televisione. E durante la visione, dopo mesi di lacrime e sbronze, ha riso. Diventa così quasi
ossessionato da quel regista, comincia a cercare tutti i suoi film
per poterli visionare e nel frattempo gli viene in mente di
dedicargli un libro.
Poi,
dopo la pubblicazione del libro, riceve una lettera dalla moglie di
Mann, che gli comunica che il marito ha gradito quanto ha scritto e
dice di volerlo incontrare. Il che è a dir poco spiazzante per
Zimmer, visto che di Mann si sono perse le tracce una sessantina
d'anni prima, nessuno ha mai scoperto né come né perché.
E
poi la storia si srotola, in un modo o nell'altro Zimmer sembra
affidare il ruolo di protagonista a Mann, la sua storia narrata a
ritroso da un'altra persona.
E
poi magari evito di aggiungere altro, che ve lo rovino.
Certo
che ve lo consiglio. Senza ombra di dubbio.
La
briscola in cinque – Marco Malvaldi – Sellerio Editore 2007
Mi
ci sono voluti anni per decidermi a leggere qualcosa di Malvaldi. E
davvero non so perché, visto che tutti i suoi libri sono in
biblioteca e mi è stato consigliato ripetutamente da più parti,
tutte entusiaste. Perciò, beh, non so perché non l'avessi letto
prima. A volte mi gira così.
Malvaldi
scrive pisano, comunque. Così pisano che senti tutta la pronuncia
toscana nel pieno del suo splendore. Così pisano che viene da
chiedersi se a Livorno non brucino i suoi libri in piazza.
La
storia è molto semplice. In questo paesino pisano c'è Massimo, un
barista, che si ritrova suo malgrado – oddio, non troppo 'suo
malgrado' – invischiato in un caso di omicidio. Una ragazza viene
trovata morta in un cassonetto da un pischello ubriaco, che alla
ricerca di un telefono incappa appunto nel bar di Massimo, il quale
lo segue al cassonetto e... e via così. Diciamocelo, la parte
'gialla' di per sé non è gestita benissimo. Ci sono anche un paio
di aspetti che sono stati taciuti fino alla fine e che secondo me
sarebbero stati ben risolutivi. Ed ecco, secondo me il giallista
dovrebbe essere in grado di darti tutti gli elementi del caso, però
nascondendoteli di modo che tu non te ne renda conto. È un lavoro da
illusionisti, mostri senza far vedere. Invece Malvaldi ha proprio
omesso un paio di cose e, beh, la cosa non mi è piaciuta.
Però
mi è piaciuto tutto il resto. Massimo e suo nonno, il paesello, le
chiacchiere da bar, la leggerezza della narrazione, quel modo tutto
toscano di dire il peggio infiocchettandolo con un linguaggio
forbito.
Perciò
sì, lo consiglio, soprattutto come lettura estiva.
Boia,
deh.