Piccoli scorci di libri, ovvero recensioni assai brevi e poco impegnative #25

Dire che negli ultimi tempi me la prendo comoda col blog sarebbe dire poco. D'altronde, beh, ho sorprendentemente da fare, quindi... che poi il fatto che io mi trovi a sottolinearlo quasi con meraviglia ogni volta che inizio un post ha anche un che di irritante, no? Mi immagino quelli che lavorano 'sul serio' che leggono le mie lamentazioni sul poco tempo, quando tutto ciò che faccio è entrare in libreria chiedendo se c'è qualcosa da fare. Di solito girello per un po' alla ricerca di libri da mettere a posto. E di solito sono in ordine. Fate voi... però domani c'è un evento carino con qualche autore, aperitivi, musica, cose belle. Mi sa che mi divertirò. Tra l'altro sono anni che non faccio qualcosa di sabato sera.
Madonna quanto sono anziana dentro.

Il libro delle illusioni di Paul Auster – traduzione di Massimo Bocchiola – Einaudi, 2013

La prima cosa che mi viene da dire su questo libro è che ne avevo davvero bisogno. Negli ultimi tempi – e anche adesso, a dire il vero – mi sono data soprattutto a letture piuttosto leggere, fantastico e dintorni, fughe dalla realtà. Che poi di solito per me la lettura è questo, una fuga meravigliosa, una scappata oltre la tana del Bianconiglio, a vedere quello che potrebbe essere e invece non è. Poi si torna a bestemmiare e sudare fuori dalle pagine, però una gitarella in un mondo 'altro' ci vuole. Almeno un paio d'ore al giorno.
Il libro delle illusioni non è affatto una fuga dalla realtà. È piuttosto una scarpa affondata nel catrame appiccicoso, una giornata torrida, la macchina che si ferma in autostrada sotto il sole cocente. Non perché non sia un bel libro, anzi, ma perché è uno schiaffo di realtà dritto in faccia. Resa, discesa, brutture. Tanta sofferenza. Di quella che non riesco a concepire neanche lontanamente come ci si possa rialzare.
Il protagonista e voce narrante è David Zimmer, che ripercorre quanto gli è accaduto alla vigilia dei quarant'anni, undici anni prima del momento in cui inizia a scrivere. Ha perso da poco la moglie e i due figli in un incidente aereo, è appena uscito dall'obbligatorio percorso di autodistruzione fatto di alcol e vita reclusa. È riuscito a uscirne quasi miracolosamente grazie a Hector Mann, un regista degli anni '20 di cui ha per caso visto un filmato in televisione. E durante la visione, dopo mesi di lacrime e sbronze, ha riso. Diventa così quasi ossessionato da quel regista, comincia a cercare tutti i suoi film per poterli visionare e nel frattempo gli viene in mente di dedicargli un libro.
Poi, dopo la pubblicazione del libro, riceve una lettera dalla moglie di Mann, che gli comunica che il marito ha gradito quanto ha scritto e dice di volerlo incontrare. Il che è a dir poco spiazzante per Zimmer, visto che di Mann si sono perse le tracce una sessantina d'anni prima, nessuno ha mai scoperto né come né perché.
E poi la storia si srotola, in un modo o nell'altro Zimmer sembra affidare il ruolo di protagonista a Mann, la sua storia narrata a ritroso da un'altra persona.
E poi magari evito di aggiungere altro, che ve lo rovino.
Certo che ve lo consiglio. Senza ombra di dubbio.

La briscola in cinque – Marco Malvaldi – Sellerio Editore 2007

Mi ci sono voluti anni per decidermi a leggere qualcosa di Malvaldi. E davvero non so perché, visto che tutti i suoi libri sono in biblioteca e mi è stato consigliato ripetutamente da più parti, tutte entusiaste. Perciò, beh, non so perché non l'avessi letto prima. A volte mi gira così.
Malvaldi scrive pisano, comunque. Così pisano che senti tutta la pronuncia toscana nel pieno del suo splendore. Così pisano che viene da chiedersi se a Livorno non brucino i suoi libri in piazza.
La storia è molto semplice. In questo paesino pisano c'è Massimo, un barista, che si ritrova suo malgrado – oddio, non troppo 'suo malgrado' – invischiato in un caso di omicidio. Una ragazza viene trovata morta in un cassonetto da un pischello ubriaco, che alla ricerca di un telefono incappa appunto nel bar di Massimo, il quale lo segue al cassonetto e... e via così. Diciamocelo, la parte 'gialla' di per sé non è gestita benissimo. Ci sono anche un paio di aspetti che sono stati taciuti fino alla fine e che secondo me sarebbero stati ben risolutivi. Ed ecco, secondo me il giallista dovrebbe essere in grado di darti tutti gli elementi del caso, però nascondendoteli di modo che tu non te ne renda conto. È un lavoro da illusionisti, mostri senza far vedere. Invece Malvaldi ha proprio omesso un paio di cose e, beh, la cosa non mi è piaciuta.
Però mi è piaciuto tutto il resto. Massimo e suo nonno, il paesello, le chiacchiere da bar, la leggerezza della narrazione, quel modo tutto toscano di dire il peggio infiocchettandolo con un linguaggio forbito.
Perciò sì, lo consiglio, soprattutto come lettura estiva.

Boia, deh.