E dunque,
buongiorno. Finalmente un po' di pioggia, sono giorni che mi sciolgo
in pozze di sudore, sembro un ectoplasma esorcizzato.
Allora,
il primo volume di Black Friars, L'ordine della Spada
di Virginia De Winter edito da Fazi Editore nel 2010.
L'ho finito ieri pomeriggio, chinata sul tavolo di cucina a
trangugiare bicchieri d'acqua gelida e a mangiarmi le unghie. Il mio
parere sul libro è abbastanza uniforme, ma ammetto che un paio di
appunti da fare ce li ho.
All'epoca
in cui è uscito – e a dire la verità fino a pochi mesi fa – non
credevo che l'avrei mai letto. Non so bene perché, pensavo si
trattasse della solita insipida storia d'amore in ambientazione
goticheggiante. E non è che la storia d'amore non ci sia, anzi. Però
non è preminente. Certo, è importante, ma se non ci fosse il libro
avrebbe un suo senso ugualmente, la trama non ne sarebbe intaccata.
Togliete Axel ed Eloise e rimane un gran bel romanzo gotico. Togliete
Bella ed Edward e vi ritrovate un paesello in cui piove molto.
Capite?
E
dunque, dicevo, inizialmente non ero molto attirata da Black Friars.
Presuntuoso da parte mia giudicare libri dalla copertina o dall'idea
che mi sono fatta della copertina o dall'idea dell'idea che... ok,
basta così. Solo che dopo qualche tempo ho letto alcuni commenti
dell'autrice in giro e, come dire, l'ho trovata simpatica. E poi ho
scoperto che uno dei miei migliori amici la conosce. E che quando lei
gli ha detto di aver scritto un libro e lui si è detto deciso a
leggerlo, lei ha riso, avvertendolo che decisamente non faceva per
lui e che non gli sarebbe piaciuto. E ha ragione, non è
assolutamente il suo genere. Però detto da me e detto dall'autrice è
tutta un'altra cosa. Mi ha fatto ulteriormente simpatia e, boh, mi
sono detta che forse era il caso di leggerlo.
E
mi è piaciuto. Un sacco.
Tanto
per cominciare l'ambientazione e il modo in cui è descritta. Credo
si sia ispirata a Roma – anche perché viene chiamata la Vecchia
Capitale e ci sono molti nomi in latino, ma anche tanti altri in
inglese, quindi non saprei – e riesci a sentire il rumore degli
zoccoli dei cavalli per le strade, il cicaleccio della folla, l'odore
di pietra umida. In certi punti ho trovato si dilungasse un po'
troppo, ma non sempre. Diciamo che questo è uno di quei casi in cui
lo 'show don't tell' non ha troppo valore. Per me se uno è bravo nel
'tell', che telli pure. E la De Winter è brava. Talvolta un po'
esagera, ma brava.
Tra
l'altro ho apprezzato veramente un sacco il fatto che l'ambientazione
venisse spiegata poco a poco, man mano che la trama andava avanti.
Niente urfidissimi info-dump iniziali, niente incipit di venti pagine
sul panorama. La narrazione inizia con Christabel ed Eloise, facciamo
subito la loro conoscenza e attraverso il loro dialogo cominciamo a
farci un'idea del luogo in cui siamo capitati.
Due
paroline sulla trama, ma non troppe che sennò spoilero. Siamo in una
città simil-rinascimentale, in cui hanno luogo silenziose lotte di
potere tra fazione religiosa – Cardinale – e fazione laica,
primariamente rappresentata dagli scholares, spesso costretti a
combattere dalla guardia cittadina, vicina al Cardinale. Eloise,
nonostante le origini altolocate, decide di diventare studentessa lei
stessa e si trasferisce alla Vecchia Capitale per diventare medico.
Quando inizia la storia, lei presta già servizio in ospedale. Sedici
anni prima ci sono state delle rivolte, ma solo ad un certo punto se
ne scopre l'entità e l'orrore. Comunque sia, è la vigilia di
Ognissanti e Eloise sta facendo ritorno allo studentato, quando viene
scambiata per una vampira da un'orda di flagellanti che tentano di
ucciderla. In suo soccorso arriva Ashton, un vampiro, che
fortunatamente la salva e trova che in qualche modo – ma non vi
dico quale – gli possa tornare utile. Poi c'è il Presidio, con le
sue creature inquietanti. Poi c'è... beh, c'è un'ambientazione
bella variegata che adesso non vi sto a spiegare.
Allora,
i personaggi. Certi non sono molto caratterizzati, alcuni si portano
dietro un'unica caratteristica e vengono riconosciuti soltanto
attraverso quella, tipo Gil e Ross. Però ce ne sono altri, tipo
Bryce – che è il mio preferito in assoluto, mi ha fatta schiantare
dalle risate – che si svelano un pochino per volta e riservano
delle sorprese. Eloise, poi, mi piace. E mi è piaciuto il suo
rapporto con Axel, dopotutto. Certo, Axel è un irritante maniaco del
controllo, ma è in quei momenti che Eloise lo manda a stendere
facendogli fare la figura del pirla. Tra l'altro mi è piaciuto il modo in cui è stata raccontata poco a poco, un 'Ma perché questo?' cui seguiva un 'Oh, capisco', cui seguiva un ulteriore 'Ma perché allora..?' con un successivo 'Ah, ecco! Ma allora..?' e via così.
I
difetti... come dicevo prima, talvolta un po' esagera con le
descrizioni e ci sono dei punti in cui avrebbe potuto limitarsi a
lanciare un indizio piuttosto che spiegare tutto per filo e per
segno. Però ho letto che lei stessa se ne è resa conto e che ha
cercato di evitare di compiere lo stesso errore in seguito, perciò
tanto di cappello per l'autocritica.
E
ammetto che ho delle riserve sul finale, secondo me un po' forzato.
Ovviamente non posso dirvi in come e in cosa.
Quindi,
vediamo. Lo consiglio a chi adora il gotico. Perché di gotico si
tratta, con le sue reazioni spropositate e i suoi dialoghi non sempre
credibilissimi. Gotico e vampiri credibili. Era dai tempi dei Diari
della famiglia Dracula della Kalogridis, davvero. Mi
mancavano vampiri decenti. Che non brillano né si dimostrano
ultra-sessuati. Tra l'altro mi piace il loro sguardo verso gli umani
e verso l'eternità.
Questi
sono vampiri. Eccheddiamine.