Vediamo.
Chiedi alla Luna di Nathan Filer, edito da Feltrinelli nel 2013,
traduzione di Aglae Pizzone. Nonché il primo libro che ricevo
direttamente dalla casa editrice a scopo recensione. Ero molto
indecisa, quando mi è arrivata la proposta. Ho tentennato parecchio
prima di accettare, sbrodolando interrogativi morali su Facebook e
tornando più volte a riguardare la trama del libro. Perché cavolo, mi
interessava parecchio.
E
allora, dunque. La storia inizia quando Matthew aveva nove anni, coi suoi ricordi. Giocava a nascondino con degli amici in un villaggio
vacanze, quando si imbatte in una bambina che seppellisce una
bambola. Una scena che gli rimane fissa in testa, quasi a spodestare
come importanza quello che segue. Matthew arriva al villaggio vacanze
con i genitori e un fratello maggiore, Simon, che ha 12 anni e la
sindrome di Down, più varie complicazioni legate alla sindrome. E mi
è difficile persino scrivere questa parte, perché di una tragedia
così non riesco neanche a immaginare o a concepire le ripercussioni.
Al villaggio vacanze, Simon muore. Non ci viene detto come, non
all'inizio. Solo alla fine.
È
una morte che aleggia sulla storia, sui personaggi, sulla narrazione.
La voce è quella di Matthew, che ripercorre i suoi anni post-Simon,
forse cercando di mettere ordine tra i propri ricordi, forse cercando
di liberarsene. La madre – bipolare? - che lo ritira da scuola e lo
fa studiare a casa con sé per il resto delle elementari.
L'allontanamento che sembra inarrestabile tra lui e i genitori. La
meravigliosa nonna Noo. Ricordi, spezzoni strazianti di Simon che si
conficcano nelle pagine, cosicché devi mettere in pausa la lettura
per non scoppiare a piangere.
La
morte di Simon ha come deviato la vita di Matthew. Prima di allora,
racconta, era sempre stato un bambino allegro, socievole, normale. Di
quelli che fanno amicizia subito e con tanti altri bambini, senza
problemi. Poi è stato come cadere e non riuscire più ad alzarsi. E
sono cominciati i problemi, forse esasperati dalla madre. Una parte
di Matthew va in tilt. Non voglio parlare di 'follia' o 'pazzia'. A
questi termini non si dà mai il giusto peso. Potenzialmente siamo
tutti pazzi o matti o psicopatici, solo che ci vuole la spinta
giusta, un dolore così forte da strizzare fuori tutti i costrutti
sociali che accettiamo così facilmente. Follia è confusione.
E
dunque, questo libro è la storia di Matthew, di quello che gli ha
fatto la morte del fratello. È l'esordio di Filer, che tra l'altro è
infermiere specializzato nella cura di malati mentali. E si vede. È
bello quando qualcuno capisce di ciò di cui parla. Ed è bello che
ne parli 'bene'. Perché è scritto davvero bene, sembra davvero che
Matthew stia dialogando coi propri ricordi, analizzandoli o
ricostruendoli poco a poco. Bello com'è costruito, perfetti i
personaggi e le loro reazioni. Perfetto il fatto che non sia perfetto
come una storia, ma zoppicante come la realtà. Ho adorato l'uso del courier new quando Matthew scriveva alla macchina da scrivere.
Mi
è piaciuto un sacco. Lo consiglio un sacco.
Cristo,
ho di nuovo le lacrime agli occhi. Andrò ad ascoltare canzoni
allegre, va'.