E
dunque, dopo tanto tempo, eccomi di nuovo a parlare di libri. Che poi
sarebbe il fine primo e ultimo di questo blog, ma lasciamo stare.
D'altronde non è che mi potessi zittire su tutti gli accadimenti del
Salone, no? Tra l'altro questi libri li ho presi proprio lì,
entrambi gioiosamente scontati. Al momento sto invece leggendo
Sinistri dei Tersite Rossi – che fino a poco fa
ignoravo fossero due autori e non uno, infatti mi domandavo che razza
di nome fosse – che mi sta piacendo un sacco, e che tuttavia sto
leggendo a sprazzi perché mi alimenta dentro una rabbia cocente che
devo spegnere ogni tot di pagine, con abbondanti dosi di canzoncine
sceme, tra cui segnalo la cara vecchia 'Canzone della Felicità'
della Melevisione. Che, mi rendo conto solo ora, si ricollega al
Partito della Felicità che semina turpitudine per il già citato
libro. La cosa si fa inquietante.
Ritratto
di famiglia con superpoteri di Steven Amsterdam – traduzione di
Anna Mioni – Isbn Edizioni, 2012
E
questo è stato il mio secondo acquisto al Salone, agguantato subito
dopo la corsa alla Jo March. Innanzitutto è diverso, molto diverso
da quanto mi aspettassi. Non che sia stata una delusione, anzi, solo
che mi ero figurata tutto un altro genere, nonostante le recensioni
lette in precedenza.
Vediamo,
un libro diviso in sette racconti, uno per ogni membro della
famiglia. Ognuno è ambientato diversi anni dopo quello che lo
precede, di modo che ci si possa fare un'idea di quello che sta
accadendo un po' a tutti i personaggi. Ogni racconto ha al suo centro
il momento in cui il protagonista di turno sviluppa il suo
superpotere. Giordana che scopre di poter diventare invisibile, il
fratello Ben che scopre di poter volare e così via. Ed è curioso il
modo in cui lo accettano, quasi naturalmente, senza starsi a fare
troppe domande o innalzare troppi problemi. Si chiedono come funziona
o cosa possono farci, ma non sono divorati dal potere stesso. Non ci
sono epifanie Marveliane o vedette sui palazzi in attesa di sentire
un grido d'aiuto. Ci sono persone che vanno avanti con le loro vite,
che sentono tirare i fili che li ricollegano agli altri membri della
famiglia, che si chiedono che fine avrà fatto Alek.
Di
più non posso dire, se non che lo consiglio un sacco.
Agatha
Raisin e la quiche letale di M. C. Beaton – traduzione di Marina
Morpurgo – Astoria, 2011
Ok,
adesso mi vedrete andare in brodo di giuggiole. Perché io di questa
protagonista e di quest'autrice mi sono seriamente innamorata. Una
commedia inglese, così inglese che le pagine potrebbero sputare
fuori pezzi di Regina e bustine di tè. Ironicissima, leggerissima,
divertentissima. Si legge col sorriso, è proprio quella lettura che
riscalda quando ce n'è bisogno. E io, in periodo d'esami, ne ho
decisamente bisogno.
Dunque,
la trama.
Agatha
Raisin ha 50 anni, è una donna di successo, ha fondato la sua
agenzia di PR, l'ha fatta fiorire e prosperare e poi, una volta
raggiunto il proprio obiettivo, ovvero una certa ricchezza, ha deciso
di venderla, per potersi permettere il sogno di una vita, ovvero una
cascina in un paesino di campagna inglese, nei suoi ricordi da sempre
collegato all'unico momento di felicità della sua infanzia.
Dunque,
questa Agatha, dura come l'acciaio e acuta come un ago, decide di
farsi accettare dalla chiusissima società di Carsely, vincendo un
concorso di quiche. E io da qui non vi dico più niente, anche perché
mi sa che ci pensa già il titolo.
Mi
è piaciuto un sacco. Un sacco. Se la commedia inglese è il vostro
genere, abbiatelo assolutamente.