Avevo
appena aperto il foglio di testo, quando mia sorella mi ha urlato di
raggiungerla davanti alla tv che davano Gilmore Girls. Certe
abitudini... tra l'altro era la puntata in cui Rory ed Emily sono in Italia e per fare capire quanto fossero in Italia hanno piazzato
due vespe davanti ad un bar e un paio di bandiere tricolore. E il
cameriere era di una marpionaggine tremenda.
Comunque!
Tra
pochi giorni partirò – gioiosamente – per il Salone del Libro
(Wiiiii!) e mi scoccia lasciare questo blog senza aggiornamenti
troppo a lungo, perciò vedrò di strizzare velocemente un paio di
considerazioni su un paio di libri letti da poco.
Dunque!
La
famiglia Fang di Kevin Wilson – traduzione di Silvia Castoldi –
Fazi Editore, 2012
Tanto
per cominciare mi è piaciuto un sacco. E so che non si inizia così
una recensione, ma mi premeva di sottolinearlo stavolta. Non so
perché. Anche
questo, come Il bello della vita di Dan Rhodes, presenta riflessioni
sull'arte contemporanea e su ciò che è effettivamente definibile
'arte'. E poi ci sono i legami familiari, fino a che punto l'arte
intesa come scopo di vita deve infiltrarsi nella famiglia e nella
vita dei bambini e... e beh, è interessante, oltre che bello.
Vediamo,
la trama. C'è questa famiglia Fang, formata dai genitori Caleb e
Camilla e i due figli, Annie e Buster. O Bambina A e Bambino B, come
vengono chiamati durante le loro performance e nell'ambito artistico.
La missione di questa famiglia – o meglio, dei genitori – è
creare il caos partendo dalla messa in scena di una situazione
assurda e dagli esiti imprevedibili. Gli attori – a parte loro –
sono coloro che assistono e reagiscono, del tutto inconsapevoli.
Seconda
pausa Gilmore Girls, che c'è un'altra puntata. Dannazione.
Dicevo,
la famiglia Fang è famosa per quello che fa e quello che fa implica
la partecipazione di due bambini, pressati in personaggi caustici o
maleducati, comunque sempre al centro dell'attenzione. Forzati a
fingere. Prima l'una e poi l'altro si allontaneranno dai genitori per
perseguire una forma d'arte personale, Annie diventando attrice e
Buster scrivendo.
La
storia segue due filoni narrativi, quello del presente viene
intervallato con capitoli sul passato, sulle performance che vedono
Annie e Buster ancora bambini e poi sul loro allontanamento dei
genitori.
A
un certo punto fratello e sorella si trovano a doversi rivolgere
nuovamente ai genitori, a dover tornare da loro. Periodi di crisi in
contemporanea. Però poi...
Però
leggetelo, perché è bellissimo. E perché i personaggi sono vivi e
le riflessioni sull'arte... insomma, leggetelo.
Exit
di Alicia Gimenéz-Bartlett – traduzione di Maria Nicola –
Sellerio Editore, 2012
Di
solito non mi approccio mai ad un autore iniziando dal suo primo
libro. Ho scelto Exit perché sapevo che la sua pubblicazione era
recente e solo a lettura terminata ho scoperto che si tratta
dell'opera prima della Gimenéz-Bartlett, la cui prima edizione
spagnola risale al 1984. Effettivamente l'avevo trovata un poco
acerba, anche se non in modo fastidioso. Più che altro arrivata a
metà libro non riuscivo a capire se mi piacesse davvero. Ho fatto la
prova, non leggendolo più per un giorno intero, iniziando
Generazione A di Coupland e la sera mi sono trovata a chiedermi cosa
succedesse ai personaggi di Exit. E allora l'ho ripreso in mano e
finito in un paio di giorni.
La
trama è piuttosto semplice e non particolarmente originale, anche se
non ho mai visto l'argomento trattato in questo modo. Berset, il
dottor Eugenius e l'infermiera-psicologa Matea decidono di rendere
una villa lussuosa una specie di... come dire, un'ultima spiaggia. Un
luogo di ritrovo meraviglioso per persone che hanno deciso di
uccidersi e preferiscono farlo in compagnia o di essere aiutati nel
farlo. Da parte loro, i fondatori di Exit – che è il nome
dell'organizzazione – si impegnano a rispettare totalmente le
volontà degli aspiranti trapassati e ad assisterli nella messa in
scena della loro morte. Si riuniscono sotto il loro tetto diversi
personaggi, normali o strampalati, la cui caratterizzazione – e
questo non ho ancora deciso se vederlo come pregio o come difetto –
è portata all'estremo. Un ex-finanziere, una vedova allegrissima,
due ragazze stupende, un ex-ferroviere, un irritantissimo poeta...
insomma, si trovano a convivere per il tempo massimo di una stagione
e possono decidere di morire in qualunque momento. Ma nel frattempo
stringono legami che sembrano quasi posticci, inutili visto che
dopotutto sono tutti destinati a scomparire.
Ecco,
mi è piaciuto. È scritto bene, la trama scorre dapprima un po'
faticosamente per poi iniziare a correre dopo la prima dipartita.
Alcuni dialoghi sono un po' esagerati e poco realistici, ma in un
certo senso funzionano comunque, perché si addicono ai personaggi
esasperati.
Diciamo
che il mio giudizio è prevalentemente positivo, ma non lo consiglio
col consueto entusiasmo, ecco. Sicuramente vedrò di reperire altro
della stessa autrice, visto che questo dopotutto è il suo esordio.