Piccoli scorci di libri, ovvero recensioni assai brevi e poco impegnative #17


Prima di iniziare a ciacolare dei seguenti libri, volevo avvertirvi del fatto che... beh, avete presente le 'Cose strane da fare'? Quelle nella pagina lassù? Ecco, sto cercando di organizzare la numero 8. Sono un po' indecisa tra Milano e Bologna, ma in realtà mi sa che andrà a finire che la farò in entrambi i luoghi. Nei prossimi giorni vedrò di creare una pagina apposta per organizzare al meglio la cosa, ma nel frattempo... beh, se vi va date un'occhiata, che io non vedo l'ora di sdraiarmi comodamente su un plaid nel mio bel pigiama e mettermi a leggere. In mezzo ad una qualche piazza. Con voi.

We are family di Fabio Bartolomei – Edizioni E/O, 2013

Di questo autore avevo già parlato qui qualche settimana fa e... beh, mi è difficile parlarne di nuovo. In
realtà mi sarebbe piaciuto dedicare a questo libro un post tutto per sé, perché è semplicemente perfetto. Un viaggio di risate e occhi lucidi con picchi di dolcezza imbarazzanti. Senza menzogne, senza tirare troppo la corda. Al (Almerico) Santamaria, la sua amatissima famiglia alla ricerca della 'loro' casa, le piccole bugie che gli vengono raccontate e che ristagnano nella sua mente fino all'età adulta, la sua indiscussa genialità la cui portata viene appena smorzata da un cieco attaccamento all'infanzia, con l'amico immaginario Casimiro e le battaglie coi soldatini nei bagni della scuola.
È un libro perfetto. Intenso e leggero allo stesso tempo. Quel pizzico d'improbabilità, quel sapore amaro, quei legami così intensi, quella lealtà così potente alla ricerca della felicità... Cioè, io fossi nella e/o lo spammerei molto di più. Perché, ribadisco, è perfetto. E sì, ve lo sto consigliando con tutta me stessa. Senza dubbi né tentennamenti. 
Ammetto anche che è un po' irritante non poterne dire granché. Lo spoiler occhieggia minaccioso da dietro l'angolo. Però mi è piaciuto veramente troppo, non potevo limitarmi ad un 'Toh, mi è piaciuto'.
Quindi complimenti a Fabio, con tutti gli organi che possiedo. Complimenti e, se possibile, ne vorrei ancora.

Sacré Bleu di Christopher Moore – traduzione di Luca Fusari – Elliot Edizioni, 2012

Ne avevo sentito parlare benissimo, eppure ho tentennato per un po' all'idea di prenderlo, finché non me lo sono proprio trovato davanti in biblioteca. Non so bene perché non ne fossi convinta, forse perché non ero certa che Moore sarebbe stato in grado di trattare con la sua consueta ironia un tema tanto complesso e rispettabile come l'arte. C'è riuscito? Eccome. Anzi, ha fatto di meglio. Una delle cose che più mi hanno colpito è che non sembra scritto da lui. L'ironia scorre a fiumi, è sarcastico e volgare quanto basta, ma c'è di più rispetto all'allegra minchionaggine di Tutta colpa dell'angelo. C'è quella ponderatezza che avevo trovato solo in Il Vangelo secondo Biff, però... ecco, non posso dire che c'è di più, perché Biff rimane per me il suo capolavoro. Però devo anche ammettere che questo è più studiato, calcolato. Non in modo artificioso che si vedono gli ingranaggi sotto la trama, anzi. Il mio è un complimento. Sono piena di ammirazione.
Ma tipo, ho detto qualcosa sulla trama? No. Perché divago. Dannazione.
C'è un mistero che ruota attorno alla follia che coglie alcuni famosissimi pittori del periodo impressionista/espressionista francese, alla loro foga ossessiva nel ritrarre certe modelle, poi si sposta sulle modelle stesse e sul Colorista, un ometto inquietante che fornisce ad alcuni pittori un particolare colore Blu. C'è Lucien, pittore e panettiere, grande amico di Henri Tolouse-Lautrec – che ho sempre adorato e che nella versione creata dalla penna di Moore mi ricorda un sacco Tyrion Lannister.
Bello. Ho trovato che si dilungasse un po' troppo nel finale, ma comunque bellissimo. Abile, soprattutto. Capace. E ho apprezzato moltissimo che Moore sia riuscito a fare di pittori così famosi dei veri e propri personaggi.