Prima
di iniziare a ciacolare dei seguenti libri, volevo avvertirvi del
fatto che... beh, avete presente le 'Cose strane da fare'? Quelle
nella pagina lassù? Ecco, sto cercando di organizzare la numero 8.
Sono un po' indecisa tra Milano e Bologna, ma in realtà mi sa che
andrà a finire che la farò in entrambi i luoghi. Nei prossimi
giorni vedrò di creare una pagina apposta per organizzare al meglio
la cosa, ma nel frattempo... beh, se vi va date un'occhiata, che io
non vedo l'ora di sdraiarmi comodamente su un plaid nel mio bel
pigiama e mettermi a leggere. In mezzo ad una qualche piazza. Con
voi.
We are family di Fabio Bartolomei –
Edizioni E/O, 2013
Di
questo autore avevo già parlato qui qualche settimana fa e... beh,
mi è difficile parlarne di nuovo. In
realtà mi sarebbe piaciuto
dedicare a questo libro un post tutto per sé, perché è
semplicemente perfetto. Un viaggio di risate e occhi lucidi con
picchi di dolcezza imbarazzanti. Senza menzogne, senza tirare troppo
la corda. Al (Almerico) Santamaria, la sua amatissima famiglia alla
ricerca della 'loro' casa, le piccole bugie che gli vengono
raccontate e che ristagnano nella sua mente fino all'età adulta, la
sua indiscussa genialità la cui portata viene appena smorzata da un
cieco attaccamento all'infanzia, con l'amico immaginario Casimiro e
le battaglie coi soldatini nei bagni della scuola.
È
un libro perfetto. Intenso e leggero allo stesso tempo. Quel pizzico
d'improbabilità, quel sapore amaro, quei legami così intensi,
quella lealtà così potente alla ricerca della felicità... Cioè, io fossi nella e/o lo spammerei molto di più. Perché, ribadisco, è perfetto. E sì, ve lo sto consigliando con tutta me stessa. Senza dubbi né tentennamenti.
Ammetto anche che è un po' irritante non poterne dire granché. Lo spoiler occhieggia minaccioso da dietro l'angolo. Però mi
è piaciuto veramente troppo, non potevo limitarmi ad un 'Toh, mi è piaciuto'.
Quindi complimenti a Fabio, con tutti gli organi che possiedo. Complimenti
e, se possibile, ne vorrei ancora.
Sacré Bleu di
Christopher Moore – traduzione di Luca Fusari – Elliot Edizioni,
2012
Ne
avevo sentito parlare benissimo, eppure ho tentennato per un po'
all'idea di prenderlo, finché non me lo sono proprio trovato davanti
in biblioteca. Non so bene perché non ne fossi convinta, forse
perché non ero certa che Moore sarebbe stato in grado di trattare
con la sua consueta ironia un tema tanto complesso e rispettabile
come l'arte. C'è riuscito? Eccome. Anzi, ha fatto di meglio. Una
delle cose che più mi hanno colpito è che non sembra scritto da lui.
L'ironia scorre a fiumi, è sarcastico e volgare quanto basta, ma c'è
di più rispetto all'allegra minchionaggine di Tutta colpa
dell'angelo. C'è quella ponderatezza che avevo trovato solo in Il
Vangelo secondo Biff, però... ecco, non posso dire che c'è di più,
perché Biff rimane per me il suo capolavoro. Però devo anche
ammettere che questo è più studiato, calcolato. Non in modo
artificioso che si vedono gli ingranaggi sotto la trama, anzi. Il mio
è un complimento. Sono piena di ammirazione.
Ma
tipo, ho detto qualcosa sulla trama? No. Perché divago. Dannazione.
C'è
un mistero che ruota attorno alla follia che coglie alcuni
famosissimi pittori del periodo impressionista/espressionista
francese, alla loro foga ossessiva nel ritrarre certe modelle, poi si
sposta sulle modelle stesse e sul Colorista, un ometto inquietante
che fornisce ad alcuni pittori un particolare colore Blu. C'è
Lucien, pittore e panettiere, grande amico di Henri Tolouse-Lautrec –
che ho sempre adorato e che nella versione creata dalla penna di
Moore mi ricorda un sacco Tyrion Lannister.
Bello.
Ho trovato che si dilungasse un po' troppo nel finale, ma comunque
bellissimo. Abile, soprattutto. Capace. E ho apprezzato moltissimo
che Moore sia riuscito a fare di pittori così famosi dei veri e
propri personaggi.