E buongiorno! Dai,
stavolta invece di stare a nicchiare mi limito a invitarvi a leggere
il precedente post, quello sul Salone del Libro, se ancora non
l'avete fatto. Poi basta, che sennò mi metto a sproloquiare per
mezza pagina. Mi limito ad un compiaciuto 'Aha!' innanzi alla pioggia
che ha debitamente abbassato le temperature, con mia grande
soddisfazione. Peccato che avessi appena tolto il piumone.
Guardami di Jennifer
Egan – traduzione di Matteo Colombo e Martina Testa – MinimumFax,
2012
Vediamo. Ammetto che
questa lettura mi ha lasciata un po' incerta sulla valutazione, alla
fine. Mi ha catturata subito, la lettura è stata inizialmente quasi
esaltante. Mi sono piaciuti i personaggi, il modo in cui sono stati
costruiti e presentati, le loro ambizioni, la loro confusione, il
modo in cui i filoni narrativi si alternano e si amalgamano. E poi la
trama è bella. Interessante, un po' maledetta. Ci sono due
protagoniste, queste due Charlotte intimamente e inconsapevolmente
legate. La prima è una modella trentacinquenne il cui volto rimane
sfigurato da un incidente in macchina e che si trova a doversi
riabituare a un nuovo viso, a una nuova vita. Non vuole lasciare la
carriera di modella, eppure è mutata troppo per poter rientrare nel
giro. Parla della piccola, limitatissima cittadina in cui è
cresciuta e dalla quale è fuggita. Scorriamo impotenti l'angosciante
disperazione in cui il cambiamento l'ha gettata. I suoi capitoli sono
gli unici in prima persona.
Poi c'è l'altra
Charlotte, la cui madre è stata la migliore amica della prima
Charlotte. È una ragazzina di sedici anni, un po' outcast e un
po'... beh, non so come descriverla. È strana, questo sì. Ma forse
è strana come lo sono tutte le sedicenni. È vero che quando si
cresce si dimentica. E insomma, c'è questa ragazzina che inizia a
prendere lezioni private dallo zio Moose, che è un personaggio
semplicemente meraviglioso, geniale e confuso, tremendamente fragile.
Un uomo che è passato dall'essere il grande pesce nella boccia fino
a trasformarsi in una specie di professore-reietto, spaventato
all'idea di ammettere quello che gli è accaduto. È straziante,
Moose.
Ma dicevo, Charlotte2. Un
giorno incontra un tizio sulla sponda del fiume e si ferma a
parlargli. Ha un braccio ferito, le parla con schiettezza. E a lei
rimane impresso in mente come una cicatrice, fino a quando non lo
incontra di nuovo nella sua vecchia scuola, quando va a prendere
delle amiche alla fine delle lezioni.
E via così. Stralci del
fratellino di Charlotte2, giovanissimo reduce del cancro. Un
investigatore privato ex-alcolista che contatta Charlotte1 per avere
informazioni su un certo Z. Una strana prospettiva sul futuro che
preannuncia FB o la potenza schiacciante del social-network, una
specie di Grande Fratello. È stato scritto all'inizio del 2001,
prima dell'11 Settembre e prima di Facebook. Non si può dire che la
Egan non abbia intuito.
Ma veniamo a quello che
non mi ha convinta. Mentre fino a un certo punto – piuttosto
avanzato, anche – la storia fila a meraviglia, verso la fine la
trama comincia a diventare inconsistente, sfilacciata, allungata.
Sarebbe facile dire che è 'tirata troppo per le lunghe', ma non è
esattamente così. In realtà non ho ben chiaro nemmeno io di cosa si
sia trattato, so solo che poco a poco la narrazione si è fatta un
po' noiosa e confusa. Come se ci fosse stato un improvviso cambio di
prospettiva non annunciato né necessario. E il finale mi ha lasciato
con un 'Ok. Perché?' non proprio grande, però nemmeno piccino.
A parte questo, mi è
piaciuto. È scritto bene, questo è innegabile. E costruito bene.
Perciò non lo sconsiglio, però neanche lo consiglio con sommo
entusiasmo.
Divorzio all'islamica
a Viale Marconi di Amara Lakhous – Edizioni E/O, 2010, edizione
tascabile 2010
Ok, io questo libro l'ho
adorato. È breve, dura una giornata, fa ridere e poi chinare la
testa con un sentimento di colpa e vergogna tipicamente italiano.
L'autore sarà al Salone del Libro ed è uno degli incontri che mi
preme di più.
La trama è suddivisa in
due narrazioni, entrambe in prima persona, quella di Issa e quella di
Safia. Issa è un giovane siciliano nato da tunisini che lavora come
interprete in tribunale, quando viene convocato dalla Polizia, che
gli proporrà un lavoro come infiltrato in un quartiere arabo a Roma,
dove si teme la nascita di una cellula terrorista islamica avente
come centro un call-center chiamato Little Cairo. Issa – in realtà
Christian, Issa è il nome di copertura – accetta per amor patrio e
si trasferisce a Roma, entrando facilmente a far parte della
variegata comunità islamica del luogo.
E poi c'è Safia. Una
donna egiziana che ha sempre sognato di diventare parrucchiera e che
ha sposato il marito Said – detto Felice – soprattutto per poter
venire ad abitare in Italia. Hanno una figlia piccola, Aida e
Felice/Said lavora come pizzaiolo.
Adoro Safia. È così
ironica, ottimista, sorridente anche quando si lamenta. È luminosa.
Racconta delle sue giornate attentamente organizzate tra i lavori di
casa, la cura della figlia, le visite al call-center per chiamare la
famiglia. Parla della sua vita in Egitto, dell'ovvia e
conosciutissima ingiustizia in tante interpretazioni del Corano,
lamenta di come siano soltanto quelle più estremiste a passare in
Occidente.
Cosa posso aggiungere? È
un libro che consiglio e straconsiglio, se poi avete bisogno di
tirarvi su di morale è perfetto. Anche per farvi un'idea –
generica e confusa – di come vivono gli extra-comunitari in Italia.
Che non fa mai male sostituirsi gli occhi per un po'.