La principessa sposa
di William Goldman – traduzione di Massimiliana Brioschi – Marcos
y Marcos, 2007
Non
so se avete presente il film La storia fantastica. Io sì,
l'avevo visto anni fa, che andavo ancora alle superiori e mi era
piaciucchiato abbastanza. Invece il libro da cui è tratto – che poi sarebbe
questo – l'ho adorato oltre misura. Tanto per cominciare perché è
ironico e parodistico a livelli Pratchettiani. E poi perché racconta
una storia assurda, inframezzata dalle considerazioni di chi la
racconta, popolata da personaggi estremizzati ma incredibilmente
coerenti. E soprattutto, interessanti.
Inizia
con un prologo di cui sinceramente avrei anche fatto a meno, una
cornice in cui l'autore racconta di un libro che il padre gli aveva
letto quando aveva dieci anni e che adesso vorrebbe regalare al
proprio figlio. Solo che, una volta trovato il suddetto libro, lo
scopre diverso, decisamente più lungo, non improntato
all'intrattenimento di un ragazzino ma una specie di accozzaglia di
considerazioni caricaturali sulla nobiltà dell'epoca, che il padre
del tizio aveva accuratamente saltato durante la lettura, tagliando pagine
su pagine a beneficio del figlio.
Ora,
io questa cornice non l'ho gradita moltissimo. C'è qualche
riflessione interessante sulla lettura, su quello che rende
divertente un libro etc, ma non è proprio essenziale. Tra l'altro il
narratore è simpatico come un callo.
Poi
arriva finalmente la storia vera e propria, quella della principessa
sposa, accuratamente tagliata dal narratore. E qui parte la
presentazione della giovane e vivace Buttercup, dei litigiosi
genitori, del garzone Westley... e, ecco, non è che posso andare
troppo avanti con la trama, perché fila spedita e incontrollata, un
parossismo di favola. È leggera, divertente e crudele allo stesso
tempo, ma non di una crudeltà cupa e reale. È quella delle favole
per bambini, che non si sofferma sulla cruda sofferenza, ma piuttosto
sulla fantasia di un piano malvagio.
E la
fantasia qui scorre a fiumi. È una parodia e uno scherzo, eppure
anche una storia meravigliosa.
E
l'ho adorata. È un libro che si legge col sorriso.
La banda degli
invisibili di Fabio Bartolomei – Edizioni E/O, 2012
Io
adoro Bartolomei e il modo in cui si mette a dipingere la nostra
Italia ruvida e allegra, tesa tra risate e disperazione. Questo libro
è particolarmente amaro, perché tratta di una situazione che non ha alcuna speranza di rivalsa, nel mondo reale. E punge la consapevolezza di
cosa succede al di fuori delle pagine. E fanno rabbrividire di rabbia
certi ricordi, che ho ancora il groppo in gola e voglia di urlare.
Questo
libro è fortemente politicizzato. Non in senso lato, che qualunque
cosa è intimamente politicizzata. Questo libro ha una precisa
coscienza di sinistra. Che io condivido e approvo. Ogni capitolo
inizia con una boiata detta dall'esimio ex-premier nel corso dei suoi
squallidissimi e inconcepibili anni di operato. Un paio mi mancavano,
devo dire. Tipo 'Perché pagare gli scienziati quando facciamo le
scarpe più belle del mondo?'. Ma cosa si può rispondere a una
minchiata di queste proporzioni?
Noterete
un cenno d'irritazione. C'è. Non ve lo state immaginando, è proprio
lì, a fare da sottotesto a questo scampolo di recensione.
Politicamente parlando, sono incacchiata come una iena. E se mai
aveste votato quell'orrido omuncolo, sappiate che vi denigro e
disdegno.
Ma
andiamo al libro, va'.
Il
narratore e protagonista è l'ottantacinquenne Angelo, vedovo ed
ex-partigiano. Grazie al centro anziani è riuscito a farsi qualche
amico, Osvaldo, Ettore e Filippo. È innamorato di Lauretta, coetanea
che tuttora si sforza d'imparare il francese, l'uso del computer,
legge e sorride. Sono tutti poveri, chi più e chi meno, con le
arci-note pensioni da fame, amareggiati dal mondo che li circonda e
dimenticati dalle famiglie, a parte Filippo che ha un nipote d'oro.
Un
giorno a questi quattro vecchietti – non troppo – arzilli viene
in mente di rapire Berlusconi. La storia si dispiega nella narrazione
delle loro giornate, dei loro discorsi, dei ricordi di Angelo. Il suo pensiero che corre al tedesco ucciso durante la Resistenza mi fa pensare a MIO NONNO - lo metto maiuscolo perché di solito, quando ne parlo mi sale la voce di un'ottava, mi ergo in tutta la mia altezza e butto il petto in fuori dall'orgoglio - e ai suoi racconti partigiani.
È un
libro che fa male, questo sì. Ci si dibatte tra un tonfo al cuore e
un sorriso. È un bel libro e basta e io ve lo consiglio, ma ve lo prescrivo lontano dai momenti brutti.