Scrivo questo post in
anticipo, così quando lo leggerete sarà già domani, la giornata
internazionale della donna. Non parliamo di feste, per favore.
L'anno scorso avevo
scritto di un paio di libri, alternando la loro descrizione a
riflessioni sulla condizione generale della donna. Quest'anno non ne
sento il bisogno. Sarebbe ridondante, visto che questo piccolo spazio
virtuale è finora riuscito a tenere lontani gli idioti che 'le
bionde non sanno guidare' e 'vai a farmi un sandwich'. Non è che sia
cambiato granché, nel frattempo. Oserei dire che non è cambiato
nulla. E quando sarà passato un altro anno, potremo dirci di nuovo
che sarà ancora tutto uguale.
Però quest'anno, anziché
deprimervi – e deprimermi – sciorinando le cifre di un lento
massacro, vorrei anzi dire due parole sulle donne di carta che hanno
fatto parte del mio passato. Perché credo che mi abbiano creata così
come loro stessi sono stati creati dalla penna di qualcuno, e che
questo renda alcuni scrittori degli eroi e altri delle serpi.
Pollyanna è stata una
delle prime a infondermi qualcosa di ancora tangibile. Il suo
ottimismo, la sua allegria a dispetto di tutto, quel sorriso che
voleva ricoprire il mondo intero e che non si arrende mai. Ricordo la
copertina rigida, il suo viso troppo scuro, i denti bianchissimi. Lo
lessi in soffitta, seduta su un vecchio materasso polveroso, sotto la
luce fioca e calda di una lampadina nuda.
E poi? Poi c'è stata
Ronja, la mia adorata Ronja. Ne avevo parlato qui, se avete
voglia di saperne di più. Quant'era viva e sfacciata e
incredibilmente forte. Sfidava suo padre, i briganti, il vuoto e la
notte. La sua immagine di bambina coraggiosa e spettinata mi si era
conficcata nel cervello, proprio al momento giusto, quando ero ancora
tutta da formare, la mente di gelatina pronta a prendere una
qualsiasi forma.
E Diana, Polissena e
Lavinia, scaturite dalla penna di Bianca Pitzorno. Tre bambine, tre
vulcani, tre guide allegre, forti e disgraziate. Tre bambine che
avrei voluto come amiche, e che forse in un certo senso lo sono
state.
E poi è arrivata Laura,
da La Figlia della Luna, di cui ho parlato e straparlato qui.
Laura che è una ragazza così normale, che aiuta la madre e bada al
fratello, frequenta una scuola come tutti i coetanei eppure, di
fronte al bisogno, diventa donna e tigre spietata. La sua crescita
repentina, la sua decisione, il suo freddo agire di fronte alla
minaccia.
E più tardi, Verena coi
suoi capelli blu e un corpo pieno di ostinazione, da Robin dei boschi
di Patrizia Rossi. L'inadeguatezza che mi ha tolto di dosso, come un
buffetto e un 'Vai bene così'. Ero ancora alle medie, quando Verena
mi ha fatto capire che c'era un qualcosa in cui credere che non
fossero i Backstreet Boys, anche se nessun altro sembrava rendersene
conto all'infuori di me.
E Lyra. Meravigliosa
Lyra, acuta, fredda e agile Lyra. La trilogia Queste oscure materie
vinta ad un concorso di racconti per ragazzi in seconda media, la
scoperta di un mondo che forse non avrei conosciuto se non molto più
tardi.
E Guia Esperia e Dorotea,
da Strega come me, come non parlare di loro? Guia, così allegra e
curiosa e ribelle, piena di domande e allo stesso tempo sicura di ciò
che distingue bene e male, giusto e sbagliato. Una distinzione che
rimane immutata, anche quando il resto del mondo si rivoluziona,
inghiottito da magia e modernità.
Poi, alle superiori, sono
arrivate Nihal, Dubhe e Rekla, dal bistrattato Mondo Emerso della
Troisi. Due eroine e una malvagia assassina, tre donne di una forza
ferrea e bruciante, pronte a combattere e a sanguinare. Il fastidio
provato verso quello che all'epoca era un amico, che ha deriso
sbuffando la sola idea di una guerriera femmina, il pensiero di Nihal
a dargli una ginocchiata tra le gambe a consolarmi.
E Stargirl di Jerry
Spinelli, così assurda e bizzarra, forte abbastanza da non impedirsi
di dimostrarlo, da non trattenere la propria gentilezza. Un'unica
mente ch splende allegra e colorata contro un esercito di studenti
grigi e impettiti, colori così fiammanti che non si possono
spegnere.
E poi Hermione, Luna,
Tonks, la professoressa McGranitt (o McGonagall, che dir si voglia) e
la signora Weasley, così diverse e così potenti, come esempi e come
personaggi, come a sputare con disprezzo su chiunque tenti di
generalizzare parlando di una fantomatica donna-entità-astratta.
Grazie a zia Rowling, che ha urlato alle sue lettrici che non
esistono modelli predefiniti per essere donne, ma che il nostro corpo
è un guscio da riempire con quello che siamo.
E Anita Blake, fulgido
esempio di tutto ciò che è tipicamente maschile infilato a forza in
una tappa incazzosa. Una Leo lansdaliana con le tette, una
sterminatrice con lo sguardo torvo e la bocca madre di mille
volgarità. Ho voluto bene ad Anita, che forse è tuttora il
personaggio in cui mi ritrovo di più. Forse perché ci siamo trovate
che ero proprio al culmine dell'adolescenza, brufoli e tutto e avevo
bisogno di qualcuno che mi dicesse che andava bene avere le palle
girate una volta tanto.
Che poi scoccia anche vedere come le trasposizioni fumettistiche di Anita e Nihal risultino alla fine le solite bambolone sexy, a prescindere dalla descrizione che ne avevano dato le creatrici. Armate e minacciose, ma sempre ultra-piacenti. Non che questo 'incantesimo' che fa infighettire i personaggi appena usciti dai libri per approdare su altri media colpisca solo le donne, eh. Ma basta pensare alla differenza tra Hulk e She-Hulk, che a me un po' le scatole ritrovano vigore. Vabé, passiamo oltre.
Ora, potreste domandarvi
– oppure no – per quale motivo io non abbia citato Tiffany e
Nonna Wetherwax dal Mondo Disco di Terry Pratchett o Kitty dalla
Trilogia di Bartimeus di Jonathan Stroud o Lisbeth Salander o Jane
Eyre o Arya Stark o mille altri personaggi. Il fatto è che sono
arrivati troppo tardi, quando ero troppo formata per poterci
rimettere mano. Certo, sarebbe stato interessante conoscerle prima e
vedere quale segno mi avrebbero lasciato, specialmente Lisbeth.
Purtroppo posso soltanto chiedermelo.
Non ho ben chiaro quale
sia l'intento di questo post. A pensarci bene, da un po' ho smesso di
scriverne con un intento ben preciso e chiaro in mente. Forse volevo
soltanto sottolineare quanto i prodotti culturali con cui veniamo
nutriti finiscono per influenzarci in modo visibile e innegabile, a
prescindere da quello che contengono le nostre mutande. Forse per
consigliare l'influsso benefico di alcuni personaggi, o magari
soltanto per ringraziarli di quello che hanno fatto per me.
In ogni caso, spero che
almeno per oggi tutto vada bene.
Mi basterebbe questo. È
l'unico augurio che mi sento di fare.