Il bello della vita di Dan Rhodes –
traduzione di Daria Restani – Newton Compton 2012
Io e Dan la pensiamo allo
stesso modo sull'arte. E non so quanti siamo a pensarla così, però
fa piacere vedere di non essere soli. Importanza al messaggio e alla
sua realizzazione, odio verso chi infanga l'arte con cavolatine
pretenziose che non vogliono dire nulla, amore verso chi ci crede e
s'impegna, a prescindere dalla 'bellezza' dell'opera finale. Qualche
giorno fa mia sorella mi ha raccontato come si sono conosciuti Yoko
Ono e John Lennon. Lui era andato a questa mostra e si è trovato al
centro di un'opera, un'installazione. C'era una scala che puntava
verso una boccia trasparente appesa al soffitto, con un foglietto di
carta piegato al suo interno. John ha tentennato, chiedendosi cosa ci
fosse scritto, ripromettendosi di incavolarsi se si fosse trattato di
volgarità. Allora ha salito la scala, ha aperto il foglietto e ha
trovato la scritta 'YES'. Nient'altro. Mi sarei innamorata di Yoko Ono pure io.
So che sono molti i
seguaci dell'arte figurativa sempre e comunque. Ne prendo atto, anche
se non sono d'accordo. È difficile definire cosa sia arte e cosa non
lo sia, specie dopo che le imitazioni stesse hanno cominciato a
somigliare agli originali. Siamo post-Duchamp, post-Warhol,
post-qualsiasi cosa. L'arte è andata troppo oltre per poterne
seguire il filo e questo filo ha finito per spezzarsi.
Scusate, non ho ancora
iniziato a parlare del libro. Mea culpa. Il fatto è che Il bello
della vita è impregnato di questo dubbio e finora forse solo Dan
Rhodes si è mostrato d'accordo con il mio punto di vista sulla
questione. Perdonate lo sproloquio, che è figlio dell'entusiasmo.
Allora, c'è Aurèlie,
una ragazza che studia in un Istituto d'Arte a Parigi. Deve
presentare un progetto artistico e, dopo vari tentennamenti, decide
di scegliere un soggetto a caso tra la folla in una piazza parigina,
lanciando un piccolo sasso in mezzo ad una piazza. La persona colpita
dal sasso sarà il suo progetto, lo seguirà per una settimana e...
eccetera. Peccato che il 'prescelto' sarà un bambino di pochi mesi in
una culla. Peccato che la donna che lo accompagna non sia esattamente una
persona normalissima e finisca per affidarlo ad Aurélie per la
suddetta settimana.
Poi c'è Sylvie, migliore
amica di Aurèlie, una donna meravigliosa che cerca l'amore sulla
scia di centinaia di cuori infranti. E c'è Le Machine, un artista la
cui opera – che poi sarebbe il fulcro di tutte le varie discussioni
sull'arte – apparentemente più che discutibile cela un motivo che
non posso spiegarvi. E c'è Lucien, un interprete fissato con le
ragazze giapponesi. E il proprietario di un cinema porno a Parigi.
E... e beh, altri personaggi.
Ora, è difficile parlare
di questo libro. Io adoro Rhodes e ho adorato questo libro, ma
mentirei se dicessi che si è rivelato perfetto. D'altronde, Rhodes è
Rhodes, quindi non posso non concedergli il beneficio del dubbio e
ipotizzare che certi difetti siano voluti.
I suoi personaggi si
muovono in modo troppo fluido rispetto alle problematiche che vengono
loro imposte. Assurdi fino al parossismo, purché la storia vada
avanti, come se venissero spinti da una forza invisibile verso un
dato comportamento, come accecati da un incantesimo. Non credo che
Rhodes cerchi il realismo, ma effettivamente non ci si può 'fidare'
del tutto del libro. Comunque, se voleste provare l'autore, vi
consiglio prima di tutto Il bizzarro museo degli orrori, che
dovrebbe essere uscito in economica per la Newton Compton. E che
figura tra i miei libri preferiti in assoluto.
Un giorno di David
Nicholls – traduzione di Marco Rossari e Lucio Trevisan – Neri
Pozza, 2010
Questo
l'ho scelto in un momento di leggero sconforto. Cercavo una lettura
leggera, divertente, che mi rischiarasse un po' la giornata. E mi
sono ritrovata in mano qualcosa che, in un certo senso, mi dava
esattamente quanto cercavo, però andava anche oltre.
Oh,
quant'è difficile parlarne senza rivelare nulla. Dannazione.
Allora,
la trama è semplicissima. Ci sono Emma e Dexter, due ventitreenni
che frequentano la stessa università e finiscono per conoscersi e
fare sesso la sera della laurea. È la prima volta che parlano sul
serio, chiacchierano, si prendono in giro a vicenda. E da lì nasce
un'amicizia splendida, che questo libro racconta di anno in anno, per
un giorno soltanto. Il 15 Luglio. Un capitolo che racconta i loro
progressi in ogni ambito, come crescita personale, sentimentale,
lavorativa. Emma e Dexter cambiano un sacco, in tutto questo tempo.
Si rivoluzionano in maniera estrema. Dexter parte brillante, allegro,
affascinante. Superficiale, ma buono. Emma, al contrario, parte con
arguzia, idealismo sfrenato e invidia verso le infinite possibilità dell'amico.
Per
un bel po' mi sono domandata da dove venissero i paragoni a Hornby e
a Coe. All'incirca a metà lettura ho visto il primo, verso la fine
anche il secondo. È difficile dire di più senza dire troppo. Ma ho
adorato questo libro e, considerando che non corrisponde minimamente
al mio genere (o ai miei generi?) direi che non è poco.
Ho
apprezzato moltissimo i dialoghi e le lettere tra Emma e Dexter. Li
ho trovati credibili, vivi, realistici. Ho letto critiche sulle
lettere su Anobii (ovviamente) ma non mi stupirei di trovare quelle
stesse frasi su una normalissima cartolina. Le persone dialogano in
questo modo, con sottolineature, battute squallide etc.
E
anche la crescita dei personaggi, il loro affondare e risalire, è
stata, a mio avviso, gestita in maniera perfetta.
Non
posso dire altro, davvero. Però, ribadisco, mi è piaciuto un sacco.