Cara insonnia da esame,
devo dire che non avevo minimamente sentito la tua mancanza. Ma
veramente per nulla. Al momento mi trovo in quel limbo d'incertezza
di chi non sa se farsi un'endovena di caffè o trangugiare litri di
camomilla. Occhi sbarrati e mani tremanti ma funzionalità di studio
oppure sonno e funzionalità rimandata senza però l'impaccio dello stress?
Amleto, pensaci tu.
Frattanto...
La banda delle casse
da morto di Nick Laird – traduzione di Federica Aceto - Mimimum
Fax, 2007
Una
storia irlandese. Pub, scazzottate, ubriacature e l'eco dell'IRA in
sottofondo, in agguato nel passato dei personaggi. Complimenti alla
traduttrice Federica Aceto, per aver saputo mantenere l'aria
'irlandese' nei dialoghi – e ovviamente anche per tutto il resto.
Opera prima di Nick Laird, La banda delle casse da morto –
in originale Utterly Monkey – racconta dell'Ulster
attraverso i suoi personaggi. Le tracce che quel paesino nell'Irlanda
del Nord ha lasciato indelebili nelle loro vene, anche in Danny, che
se n'era allontanato anni prima per diventare un avvocato londinese.
E ci riesce anche, a nascondere quello strato d'Irlanda sotto la
pelle, finché non viene raggiunto da Geordie, amico d'infanzia,
fuggito dal paesino per evitare di farsi ammazzare dai fratelli
criminali della sua ragazza Janice. Non si tratta soltanto di una
questione di 'protezionismo familiare', ma anche di soldi trafugati.
E a cosa servivano quei soldi?
Un'opera
ironica, divertente, quasi allegra dalla quale a mio avviso potrebbe
uscire perfettamente un film di Guy Ritchie.
Mi
facevano spesso sorridere gli incontri di Danny e Geordie coi
compaesani. 'Ah, ma tu di chi sei figlio? Ma certo, conosco tuo
padre. E tuo zio. E quella ragazza, hai presente, la figlia della
tizia delle poste...'. Beh, mi fanno sorridere. Ricordo di quando,
anni fa, avevo lasciato il mio ligure paesello per andare a studiare
a Milano. Le mie compagne di università, milanesi, hanno riso quando
ho chiesto loro se conoscevano tale o talaltra persona. Nelle grandi
città tutto si perde, è un marasma confuso di volti e nomi che non
significano nulla. Invece ero capitata in stanza con una ragazza
della mia città e praticamente conoscevamo le stesse persone, anche
se non ci eravamo mai viste. Un po' l'ho sentito mio, questo libro.
IRA a parte, s'intende.
L'assassino
ipocondriaco di Juan Jacinto Munoz Rengel – traduzione di Pierpaolo
Marchetti – Castelvecchi, 2012
Questo
libro è stato un po' una delusione, ma, ammetto, in modo assai
personale. Chi apprezza le divagazioni aneddotiche e il racconto di
fatti curiosi, sicuramente avrebbe potuto apprezzarlo molto più di
quanto non l'abbia apprezzato io. Non che sia scritto male, anzi. E
non è che la storia non fosse interessante, anzi. Il problema è
l'ipocondria del protagonista, il signor Y, che fagocita la
narrazione in un vortice di acciacchi e malanni improbabili. Spuntano
qua e là stralci del passato del signor Y, che ci aiutano a
comprendere come abbia fatto a diventare la persona che è, ma che
non fanno molta luce su come abbia potuto diventare un assassino a
pagamento. E soprattutto, i capitoli della storia del signor Y
vengono troppo spesso intervallati – o meglio, troppo spesso per un
libro tanto breve – dalle storie di personaggi famosi ipocondriaci
o malandati. Una quasi totalità di geniali orfani, tra cui Kant,
Swift, Edgar Allan Poe... E non dico che questi capitoli non siano di
per sé interessanti, ma avrei preferito saperne di più sul signor
Y. Dopotutto, se passate di qua abbastanza spesso, forse saprete
quanto io adori caratterizzazioni estreme e puntigliose,
introspezioni psicologiche precise che non lascino alcun dubbio su
chi sia o cosa voglia quel personaggio. E, soprattutto, perché.
Per
quanto scritto bene – e molto ben tradotto – e con un soggetto
tanto interessante, L'assassino ipocondriaco è stato per me una
lettura un po' incompleta. Piacevole, ma incompleta. La mia delusione
è anche figlia delle altissime aspettative che avevo. Il signor Juan
Jacinto Munoz Rengel aveva per le mani un'ottima storia, un bel
protagonista e uno stile stupendo, raffinato, alto e chiarissimo.
Avrebbe potuto dare vita a un capolavoro. Peccato. Ma attenderò il
prossimo libro fiduciosa.