Quest'oggi ho voglia di
cincischiare su quel sottile confine tra poco e nulla che si chiama
'riflessione notturna'. In questo caso, una disquisizione interiore
su un argomento che mi sta piuttosto a cuore, come lettrice. Ovvero,
come da titolo, le cosiddette saghe. Che si tratti di trilogia,
quadrilogia, septilogia e e via dicendo. Lunghe narrazioni che
necessitano di diverse migliaia di pagine per essere articolate a
dovere e che vengono suddivise in più libri, magari distinti da
impronte diverse.
Parliamoci chiaro, so
bene che certe 'saghe' sono ascrivibili nell'infinita lista delle
immani boiate. Storie semplici, elementari, povere di avvenimenti e
scadenti nello stile, che però vengono tirate fino a sfilacciarne i
fili. Un lifting malriuscito, che non riesce a nascondere la pochezza
della storia, ma anzi lo mette in evidenza. Dicesi, in questi casi,
'allungare il brodo'. Una pratica tristemente diffusa, visto che
perfino le imitazioni delle imitazioni dello sterco riempiono interi
scaffali in libreria.
Non è strano che si sia
diffuso un certo malanimo nei confronti delle saghe in genere. È
anzi normale, una reazione fisica normalissima. Leggo e sento
spessissimo commenti sprezzanti nei lettori, quando vengono a sapere
che un certo libro comporterà uno o più seguiti. Come se una
continuazione implicasse matematicamente la schifezza di una storia.
E non dico che le statistiche non possano portare in qualche modo in
quella direzione, mi trovo anzi ad allargare le braccia impotente
innanzi alla moltitudine di brodi tanto annacquati da aver perso ogni
sapore.
Però non posso dirmi del
tutto d'accordo.
Io adoro le saghe. Non
posso farci niente. Quando mi viene detto che una certa storia è
composta da più libri, magari tutti belli spessi, il mio cuore
sfarfalla. Sono una che si affeziona facilmente ai personaggi e anche
tanto. Vederli scomparire all'ultima pagina è sempre doloroso e mi
sento divorare dal bisogno di sapere cosa accadrà poi. Nel dopo.
Sarà un 'vivranno tutti felici e contenti' o si ripresenteranno
altri problemi? Se poi mi si lascia con interrogativi in sospeso, lì
mi irrito, mi inalbero, mi bolle il sangue.
Credo sia un bisogno
gemello della mia ossessione per le introspezioni psicologiche
pignole. Conoscere tutto dei personaggi e delle loro vite.
Dall'inizio alla fine. Saperne soltanto fino alla conclusione della
storia mi fa storcere le labbra con un po' di rimpianto. Non posso
farci nulla, sono fatta così. Per questo mi hanno fatto piacere gli
epiloghi di Harry Potter o di Hunger Games, che a tanti amici hanno
fatto letteralmente schifo.
E poi ci sono così tante
opere meritevoli che posso citare per sostenere la causa delle
'saghe'. Prendiamo Harry Potter, che considero un esempio di
saga perfetta. Sette anni in sette libri, ricchi di personaggi, di
avvenimenti, di colpi di scena. Progettata nel minimo dettaglio fin
dal primo capitolo, caratterizzazioni precise e certosine,
un'ambientazione vivace, studiatissima e allo stesso tempo spiegata
ai lettori con entusiasmo.
Oppure la Trilogia di
Bartimeus, di Jonathan Stroud, che secondo me meriterebbe
le stesse lodi e la stessa fama del già citato Harry Potter. La
crescita del protagonista, il primo libro una perfetta presentazione
del contesto e dei personaggi principali, nel secondo una svolta, una
crisi e l'ampliamento della situazione storica e politica e infine il
terzo, di cui non dirò nulla se non che, come i volumi che lo
precedevano, è un capolavoro.
La saga di Chrestomanci
e la trilogia del Castello Errante di Howl di Diana Wynne
Jones. Geniali. Una filo sottile ma resistente di continuità
nell'ambientazione e nella comparsa di alcuni personaggi che
diventano da protagonisti a secondari a seconda del libro, una
fantasia così luminosa ed estrema che sembra nutrirsi della linfa
stessa del genere fantastico.
E i capolavori di Terry
Pratchett? No, per dire, Terry Pratchett. Quella che da noi è
chiamata Trilogia della Guardia ma che in realtà sarebbe
composta da otto libri – cosa diavolo aspettano a pubblicare gli
altri volumi? Che odio profondo. - e il Ciclo di Tiffany, il
Ciclo di Morte e quello delle Streghe... così geniali,
così divertenti, così profondi e vividi, con quei personaggi così
goffi, imperfetti, macchiati con l'inchiostro della creazione...
Di quello che ha creato
George R. R. Martin non voglio neanche parlarne. Il realismo
nei suoi personaggi e straziante. Li conosci tutti e in un certo
senso vorresti che tutti potessero vincere. Riunirsi attorno ad uno
stesso tavolo e spiegarsi, una guerra finita a tarallucci e vino. Ma
sai che si ammazzeranno, che il sangue scorrerà a fiumi e sarà un
immane lutto letterario.
Volendo poi spostarci
verso un altro genere, quello del gotico-horror, Anne Rice. Le
sue Cronache dei Vampiri, la Saga delle Streghe Mayfair.
Vero che negli ultimi volumi è andata un po' troppo oltre, ma per
questo dovremmo forse negarle la somma ammirazione cui ha diritto?
Una concezione originale ed efficacissima di 'saga', la narrazione
che passa da un personaggio all'altro a seconda del libro. Intervista
col Vampiro raccontava della vita di Louis, da Scelti dalle
Tenebre in poi di Lestat. E poi Il vampiro Armand, Il
vampiro Marius, Pandora... il racconto che va avanti con
voci diverse.
Citerei in questo genere
anche I diari della famiglia Dracula di Jeanne Kalogridis,
una trilogia ricca nello stile e negli avvenimenti, corposa, intensa,
che non avrebbe mai potuto limitarsi a poche centinaia di pagine.
E saltando di palo in
frasca, James Ellroy. La quadrilogia di Los Angeles. La
Dalia Nera, Il Grande Nulla, L.A Confidential,
White Jazz. E la trilogia di Lloyd Hopkins. Crimini,
indagini, collegamenti di sangue, protagonisti che cambiano sullo
stesso sfondo di un'America corrotta.
E Jeffery Deaver,
coi suoi thriller che hanno per protagonista Lincoln Rhyme, il
geniale detective tetraplegico. Tutta quell'attenzione puntigliosa ai
sospetti, ai dettagli, agli indizi più impensabili, quella sfida che
si rinnova ad ogni libro, rivolta al lettore. Riuscirai a scoprire il
colpevole? Un gioco e la vita di Lincoln che si muove e si rinnova,
da un libro all'altro.
E come non citare Joe
R. Lansdale. L'esimio, il geniale, l'assoluto Lansdale? Hap
Collins e Leonard Pine, il duo più riuscito della storia
dei noir-pulp-quello-che-è. Dinamici, violenti, ironici. Un po'
tristi e un po' allegri, malinconici e ridanciani. Sfidare il mondo a
cazzotti, ideali mascherati da sangue e proiettili. Battute stupide e
battute sagaci. Come fai a non volergli bene?
Quello che volevo dire è
che io conosco tutti questi personaggi, li conosco davvero. Come
fossero amici di vecchia data, come potessi sporgermi dalla finestra
e invitarli per un caffè. Ho avuto occasione di sapere così tanto
su di loro e sulle loro vite, e questo grazie alla struttura che è
stata data alle loro storie. La nostra è un'amicizia più profonda,
più solida rispetto a quella che ho con tanti protagonisti di
romanzi singoli. Più tempo passi con una persona, meglio la conosci,
più ti affezioni. Non è normale?
Di Chocolat di
Joanne Harris, di
Hunger Games di Suzanne Collins o dei Bastardi
Gentiluomini di Scott Lynch evito di parlare, perché ne
ho già disquisito abbastanza negli ultimi tempi. Sapete già quanto
bene io ne pensi, no?
Non ho ben chiaro nemmeno
io quello che voglio dire con questo post. Solo che mi fa piacere
quando uno scrittore decide di prendersi tutto il tempo e le pagine
del mondo per potermi presentare storie e personaggi con quanta più
attenzione e accuratezza possibile. Mi piace perché riesco a
intravedere l'affetto che anche l'autore prova per i suoi personaggi,
man mano che scorrono le pagine. E l'affetto dell'autore nutre e
ricalca il mio.
Beh, quello che volevo
dire, l'ho detto. Forse non vuole dire nulla, probabilmente potevo
anche fare a meno di scriverlo.
Però, onorati lettori,
non odiate le saghe in quanto tali. In caso, detestate autore e casa
editrice in quanto incompetenti. La struttura seriale non è il male
assoluto, è solo un viaggio più lungo. E se l'autore sa dove
andare, io lo preferisco ad una fuggevole scampagnata.