Non avevo in mente niente
in particolare, quando ho preso questo libro dagli scaffali della
biblioteca. Passeggiavo, estraevo titoli, una sbirciatina alle prime
pagine, li rimettevo a posto e così via. È una cosa che faccio per
rilassarmi, andare a curiosare in biblioteca. Ci vado anche quando non posso più
prendere libri perché ho superato il limite massimo, quando le pile
che ho sul letto minacciano di crollare e devo dividerle in tante
pile più basse. Forse è l'odore della carta – lo so, sono una
maledetta sniffapagine – o magari quel silenzio interrotto appena
da educati sussurri o dalle sporadiche risate dei bambini nella sala-ragazzi.
Ad ogni modo, ero lì a
passeggiare curiosando tra gli scaffali e non pensavo neanche di
prendere un libro, quando mi sono imbattuta in questo. Figlio
dell'Impero Britannico di Jane Gardam, eccellente
traduzione di Alberto Bracci Testasecca, pubblicato nel 2009
da E/O. Una sfogliatina veloce alle pagine, un leggero
tentennamento e infine la decisione. Mio.
Ho apprezzato molto la
breve spiegazione di alcuni termini e di certe usanze all'inizio del
libro. Il termine Filth (Failed In London Try Hong Kong), cosa
s'intendesse per 'Orfani del Raj', la differenza tra barrister e
solicitor... sono quel genere di note che di solito si trovano alla
fine del libro, dopo che per tutta la lettura hai continuato a
chiederti 'Ma che cavolo..?'. Comodo trovarsele all'inizio, una volta
tanto.
Per 'orfani del Raj'
s'intendono quei figli di burocrati britannici nati nelle varie
zone dell'allora Impero che vengono allontanati dalla famiglia in tenera età per essere spediti in Inghilterra e crescere come 'veri inglesi'. Finiscono spesso per dimenticarsi della
famiglia d'origine e attaccarsi a quella cui vengono affidati, la
quale talvolta ricambia ma spesso rifiuta. Orfani coi genitori in
vita, orfani del 'Raj', termine che indica ''l'insieme di domini
diretti e protettorati dell'Impero Britannico nel subcontinente
indiano''.
Il protagonista di questo
libro, Edward Feathers, è uno di questi bambini sfortunati. La madre
morta durante il parto, il fugace amore della balia Ada, la misurata
freddezza del padre, un lungo viaggio con una zia sconosciuta al
raggiungimento dei quattro anni. Una pausa buia, ghiacciata,
nebulosa, quella dell'affido a 'Mamma Didds', la scuola con Sir e con
Pat, la famiglia Ingoldby... la storia del leggendario giudice Eddie
'Old Filth' Feathers, raccontata con calma, lentamente, senza
correre, senza sbalzi. Con flemma. Il suo presente di anziano
neo-vedovo, il caparbio rifiuto della fragilità, la barriera
costruita per proteggersi dal passato che comincia a sgretolarsi. I
suoi confusionari viaggi in macchina verso cugine dimenticate da
decenni, alla ricerca di risposte o forse di domande.
E, parallelo al suo
presente, il suo passato. La sua infanzia, la sua gioventù, uno
scorcio di età adulta appena prima della fine, capitoli che si
intervallano e riflessioni postume. Uno spaccato di un Impero
Britannico che non conoscevo e delle ferite che ha saputo provocare e
nascondere.
La storia è narrata in
terza persona, lo stile è lento e pacato, assolutamente mai volgare
o sopra le righe. Un libro avvolto nella nebbiolina londinese, una
trama che si srotola senza intoppi su una tovaglia candida,
punteggiata da piccole macchie di tè. Senza latte né zucchero, che
i veri inglesi lo bevono così. Il personaggio di Edward è bizzarro
e convenzionale al tempo stesso. La testardaggine con cui si aggrappa
a certi manierismi, che già ai suoi tempi stavano decadendo, è
ammirevole. L'infrangibile durezza della sua corazza contro la
confusa bufera che ha dentro.
La caratterizzazione dei
personaggi funziona, qualche svelto tratto di pennello qua e là che
riesce a darci un'idea piuttosto chiara di chi siano e cosa facciano,
anche se alla fine non hanno una propria importanza di per sé, ma
soltanto in funzione del loro rapporto con Edward. Eppure certi sono
davvero ben costruiti e possiamo immaginarceli con una certa
chiarezza anche lontani dal protagonista, nelle loro giornate di buio –
per Babs – e di luce – per Claire.
Quindi, che dire? Lo
consiglio spassionaramente, il classico 'Mi è piaciuto un sacco'
risulta debole e riduttivo. Segnalo brevemente che Jane Gardam
è l'unica scrittrice ad aver ricevuto per due volte il Whitbread
Prize per il miglior romanzo dell'anno. Per dire, non dovesse
bastarvi la mia parola...