Era un po' che non mi
arrovellavo su questo genere di questioni. Non so bene che cosa me
l'abbia instillata dentro, se le ripetute discussioni
cinematografiche – cui raramente prendo parte ma che spesso
ascolto, visto che di cinema capisco poco e nulla – o il ricordo di
una vecchia discussione riportatomi alla mente da un'amica mentre
eravamo a Lucca.
La differenza tra
'autore' e 'scrittore' e la forma che la lettura dovrebbe prendere
sotto i nostri occhi. Tempo fa avevo espresso la mia personalissima
opinione in questo post riguardo
alla questione di quale tipo di piacere dovrebbe smuovere la
lettura. E devo dire che questo problema ancora non ha trovato una
risposta specifica, nella mia mente. Il dilemma si arricchisce con la
differenza tra 'scrittore' e 'autore'. Quella tra artista e
scribacchino, diciamo. E onestamente devo ammettere di non avere
ancora ben chiari i parametri che li separano, nonostante in certi
casi mi appaia perfettamente chiaro chi sia cosa. Ad esempio, per
quanto io abbia adorato Laurell K. Hamilton
nelle sue prime opere sulle gesta di Anita Blake, non mi sentirei di
definirla 'scrittrice' nel senso più artistico del termine, laddove
invece mi sentirei di appiccicare tale etichetta su Philip
Roth o su Chaim
Potok. Non mi sentirei di
definire 'artisti' neanche una moltitudine di altri autori che adoro,
come Christopher Moore,
Martin Millar, Joe
R. Lansdale...
E
poi ci sono le zone grigie, quelle che mi tormentano con più forza
gli ingranaggi del cervello. La prima persona con cui ho discusso
della questione sosteneva, pur avendo gradito diverse sue opere, di
non considerare Neil Gaiman
uno scrittore, bensì un 'narratore'. Lì per lì non avevo ben
presente come rispondere, poiché evito di leggere spesso i libri di
Gaiman. È una prevenzione che ho preso per evitare di sradicare via
la gioia della sorpresa da ogni pagina, così come ho fatto
continuando a leggere ripetutamente la saga di Harry
Potter, La figlia
della Luna e una larga fetta
dei miei libri preferiti. E al commento dell'amica, ho pensato che
dopotutto poteva anche avere ragione. Dopotutto Gaiman è un grande
narratore e uno sceneggiatore. La sua grandezza poteva essere nelle
storie, nel loro colore, nella loro originalità e, per quanto mi
concerne, nella vita che riesce a iniettare senza difficoltà nei
suoi personaggi. Poco tempo fa, però, ho ripreso in mano Il
figlio del cimitero, per
parlarvene in questo post
di matrice halloweeniana. E ritrovandomelo davanti, mi sono detta che
non posso considerarlo meno che uno Scrittore.
Di
norma non sono una che sta ad arrovellarsi su questioni prettamente
teoriche, su tesi e definizioni che non hanno alcun riscontro
pratico. Che lo si chiami 'scrittore' o 'autore', Gaiman continua a
vendere e a regnare nell'Olimpo letterario che ho in testa. Eppure
continuo a mordicchiare penne e tormentare pagine, domandandomi quali
possano essere dei parametri fissi, oggettivi. Perché io lo
considero Scrittore e la mia amica no?
Andando
un poco più oltre, o forse tornando appena indietro, la gradevolezza
della lettura. La discussione che ho linkato più in alto era nata da
un blogger che aveva dedicato un post alla sua personale visione del
piacere dato della lettura, portando ad esempio la soddisfazione
provata nel riuscire a leggere l'Ulisse
di Joyce. Sapete una
cosa? Poco tempo dopo aver letto il suo post, ho preso in biblioteca
l'Ulisse. E l'ho rimesso a posto dopo neanche una cinquantina di
pagine. La noia. Una mancanza d'interesse e di coinvolgimento che
m'apriva dentro una voragine. Perché dovrei leggerlo?, mi sono
chiesta dopo tanti tentativi. Per poter dire di aver speso ore e ore
della mia vita a leggere qualcosa che non mi attirava per nulla, che
mi annoiava, che rischiava di farmi cadere addormentata e m'ingrigiva
lo sguardo?
E
se io mi fossi trovata, ai giorni nostri ad essere l'agente
letterario cui Joyce ha inviato il proprio manoscritto, cos'avrei
fatto? Mi sarei detta 'Questo è un artista, merita la
pubblicazione!' o l'avrei respinto con un sospiro, trovandolo troppo
pesante per i miei gusti e per quelli dei possibili lettori?
Dove
sono i parametri? Arte,
scrittura,
mestiere... Non credo
che ci sia la necessità di etichettare le nostre letture, ma se
proprio dobbiamo farlo, personalmente sento il bisogno di punti fermi
e regole chiare. Quand'è che un autore diventa 'scrittore'? È una
questione di stile o
di contenuto? Oppure
andiamo ancora oltre, ad una difficile comprensione
del contenuto?
Credo
che continuerò a chiedermelo ancora per un po', prima di prendere in
mano il manuale di statistica. Spero di ricevere ragguagli, ma
ammetto di dubitare dell'esistenza di una qualche risposta
definitiva. Credo che sia uno di quei dilemmi che non hanno mai fine,
troppo incagliati su opinioni soggettive per avere la grazia di una
soluzione.