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Ad ogni modo, essendo
dominata dall'ansia e da una cospicua voglia di sangue inetto, mi
sono recata tosto nella libreria dell'usato di cui ogni tanto favello
e in cui spesso cerco rifugio. Mentre vagheggiavo tra gli scaffali,
nonostante avvertissi già l'odio placarsi, realizzo che mi ci vorrÃ
qualcosa di forte con cui sfogarmi. Un po' di quella violenza
gratuita, di quel sangue vischioso, di quell'umanità melmosa e
oscura che da diverso tempo ho smesso di andare a trovare. Passo
dallo scaffale dei classici a quello di thriller-gialli-noir et
similia e mi trovo davanti uno dei miei libri preferiti di sempre, Il
Grande Nulla di James Ellroy. Mio, mi dico subito.
Da Ellroy passo a Jeffery
Deaver, a Ruth Rendell, a Edward Bunker, a Elizabeth George... se non
fosse stato per lui forse non sarei andata a cercarli o forse sarebbe
passato molto più tempo. Ma ecco, per quanto adori tutti questi
autori appena menzionati, devo ammettere che James Ellroy tra loro
spicca, fulgido e inquietante.
Conoscete la sua storia?
È uno che ha provato tutta la confusione e la rabbia di cui parla.
La madre strangolata quando lui non aveva che dieci anni, l'ombra
della mancanza di un colpevole, droga e carcere... voglio dire,
Ellroy è uno che sa di cosa parla. Ha toccato con mano quel mondo
gelido e metallico di cui tanti parlano.
Che dire? Questa non è
una recensione, non è un post dedicato ad un autore... non è molto,
si discosta appena dal nulla. Diciamo che è un appunto. Devo
assolutamente recensire Ellroy. Glielo devo. Soprattutto se grazie
alla rilettura di Il Grande Nulla riesco a trattenermi dal fare
strage degli inetti che ostacolano il mio trasferimento di facoltà ...