Buongiorno! Stamattina mi
sento appena un po' malinconica. Il mio tirocinio in biblioteca sta
per finire. Dovrò abbandonare la bacheca, niente più consigli alle
signore dai nivei capelli, addio alla possibilità di indirizzare i
bambini verso qualcosa che non sia quel dannato topastro... mi
mancherà, la biblioteca. Sarà strano tornarci da utente, forse mi
ci vorranno mesi per farlo. A parte il fatto che è quasi certo che
tra settembre e ottobre mi trasferirò da un'amica a Reggio Emilia,
che straborda di biblioteche. Un amico che ci abita ha fatto due
conti e ha detto che, in tutto, si ha la possibilità di prendere in
prestito più di quaranta libri per volta. Il paradiso.
L'argomento di oggi mi
sta molto a cuore, specie da quando ho iniziato il tirocinio e mi
sono addentrata nel curioso mondo dei prestiti libreschi. I libri per
l'infanzia o per la prima adolescenza. Non ricordo dove ho letto che
è intorno ai 12-13 anni che si incontra il libro che cambierà per
sempre il proprio futuro di lettore. QUEL libro. Per me è stato 'La
figlia della Luna', letto e riletto così tante volte che ne
ricordo alla perfezione intere frasi. Quel libro che, mentre leggi,
ti entra dentro. Come un veleno che cola dalle parole scritte e
striscia sulle braccia, sul corpo, infiltrandosi nei pori della pelle
e legando la nostra vita alla lettura, per sempre. Quel libro che
rende la lettura non un occasionale piacere, ma un vero e proprio
bisogno. Una droga. Quel libro lì.
Ora, io credo che, quando
si tratta di giovani lettori, quelli non ancora formati (o drogati),
bisognerebbe andare molto cauti coi consigli. Non si può consigliare
la prima cosa che capita sotto gli occhi, bisogna essere
assolutamente certi che quel libro sia un bel libro,
adatto a quel lettore. Tempo fa mi era capitato di leggere
questo post su AltoVolume, dedicato a Geronimo Stilton.
Incuriosita dal giudizio di Silvia, di cui mi fido ciecamente
(soprattutto) quando si tratta di libri, in biblioteca ho preso un
paio di volumi del suddetto topo e li ho vagamente sfogliati. Silvia
ha ragione: dialoghi, trame lineari, figure, colori. Il testo che
diventa un elemento grafico per attrarre e non semplice veicolo per
la storia. Non soltanto ponte tra scrittore e lettore, ma elemento
decorativo indipendente dalla storia.
Passi indietro. In
biblioteca di bambini ne venivano pochissimi, al punto che ho dovuto
abbandonare il progetto sull'infanzia che avevo ideato tempo fa. A
parte il fatto che secondo me ne verrebbero decisamente di più se 1.
Ci fossero più libri e 2. Se la sala ragazzi non fosse invasa da
universitari musoni intenti a studiare. Ad ogni modo, quei pochi che
vengono, si dirigono quasi tutti immediatamente dal topastro.
Oppure, se sono troppo piccoli, scelgono le madri. Ricordo la
conversazione con una, in particolare. Mi chiede consiglio per la
figlia di nove anni e io, con un gran sorriso, tiro fuori 'Ascolta
il mio cuore' di Bianca Pitzorno da uno scaffale. Lei lo
prende, lo sfoglia e storce il naso. 'Ha solo nove anni', mi dice 'È
ancora piccola, sa...'. A me verrebbe da risponderle 'Signora,
vogliamo farglielo leggere per la tesi di laurea?', ma con un
ulteriore sorriso tiro fuori 'La bambola viva' e 'La bambola
dell'alchimista' della stessa (adorata) autrice. La madre sceglie il
primo e via.
A nove anni troppo
piccola per 'Ascolta il mio cuore'. E non mi interessa se da qualche parte è riportato che è consigliato 'dagli 11 anni', questo lo vedo come un sintomo e non come una conclusione. Io a nove anni leggevo un libro
al giorno, uno dei Piccoli Brividi, un Junior Mondadori o... beh, leggevo un
po' qualsiasi cosa riuscissi a trovare a scuola, in biblioteca, in
casa... ero proprio vorace di libri, quale che fosse l'età di
lettura indicata. Ma posso dire che per me 'La bambola viva' e 'La
bambola dell'alchimista' sono libri per i 7-8 anni, non oltre. Libri
piccoli, stretti, pieni di figure, con un font bello grande. Nove
anni? No.
E i libri di Geronimo
Stilton sono uguali. Trattano i bambini come fossero ritardati, come
se ci fosse bisogno di ammaliarli con illustrazioni e colori,
altrimenti non riuscirebbero a leggere. È come se volessero
distrarli dalla noia della lettura. E di questo non mi capacito.
Tempo fa avevo chiesto
all'Altra cosa prendessero i bambini, quando non c'era Geronimo
Stilton. Ero piena di dubbi, immersa nella domanda 'Se non ci fossero
letture leggere, i lettori leggeri leggerebbero dell'altro o non
leggerebbero affatto?'. E l'Altra mi ha risposto che facevano incetta
di Piccoli Brividi. E allora dannazione a te, Geronimo. I Piccoli
Brividi potevano essere leggeri, poco impegnativi, ma di certo
erano entusiasmanti, il lieto fine non era mai scontato – anzi... -
e tutti quei misteri qualche rotella in testa dovevano pure farla
girare. Da qualche tempo vedo sempre più bambini che vengono
trattati come ritardati. E non dico ritardati in senso dispregiativo,
ma come 'persone di cui bisogna accettare i limiti'. I bambini non
hanno limiti, sono quanto di più potenziale possa esistere, sono un
sacco di pelle pieno di possibilità. E invece continuo a vedere le
loro ali tarpate, un muro genitoriale tra loro e il mondo. Forse per
ansia, forse per comodità, forse per presunzione. Non lo so. Vedo
come si è quasi cancellato il rapporto tra insegnanti e bambini, cui
si sono frapposti minacciosamente i genitori, come a dire 'Se dai una
nota al bambino, la dai anche a me che ne sono il genitore. Ogni
volta che lo sgriderai, dovrai vedertela con me!' e questo mi fa
paura e impressione e tristezza. Questo impedimento alla crescita, al
confronto... mi chiedo con estrema inquietudine come si andrà a
risolvere e a quali adolescenti a metà darà origine, quali adulti
molli e isterici potrà creare...
Sto divagando. Ero
partita da Geronimo Stilton e dalle letture infantili e poi... ma io
credo che sia tutto collegato. È tutto parte dello stesso vuoto
culturale, della stessa semplificazione delle idee, dello stesso
presumere che il bambino non sarà in grado, dello stesso timore nel
metterlo alla prova. Voi che dite? Sono io che esagero o il problema
c'è e dobbiamo porcelo?