Beh, buongiorno a tutti. Non so a voi, ma il mio stomaco è incendiato d'ingordigia e cioccolata e ho passato la notte a rotolarmi dolorante nel letto. Almeno l'insonnia mi ha permesso di guardare – finalmente – la prima puntata di Game of Thrones.
Allora!
Quest'oggi volevo parlare di una delle mie varie figure paterne, che ho sparse un po' per tutta la letteratura. Ho anche caterve di figure materne, fraterne, zierne... magari dedicherò un post a questa concezione che ho di alcuni scrittori. Ma non oggi. Oggi voglio parlare solo di lui.
Stefano Benni, nato a Bologna nel 1947. Scrittore, poeta, giornalista, regista, sceneggiatore. E parte integrante del mio essere.
Benni l'ho scoperto piuttosto tardi, nonostante in casa i suoi libri la facessero da padrone. È lo scrittore preferito di mio padre, in termini assoluti. Se mai dovesse comparirgli davanti, credo che lo abbraccerebbe fino a strangolarlo. Pensandoci bene, non ricordo se ho iniziato a leggere Benni partendo da 'L'Ultima Lacrima', raccolta di racconti pubblicata da Feltrinelli nel 1994 o con Spiriti, pubblicato nel 2000. O forse è stato con Bar Sport, edito da Mondadori nel '76 e poi ripreso dalla Feltrinelli nel '97? Non ricordo chiaramente. E dire che non ero certo una bambina, dovevo essere già ai primi anni delle superiori. Mi sconcerta un po', questa dimenticanza. Ricordo chiaramente la luce calda della lampada appesa sopra il divano che si spargeva tenue per la sala, mentre leggevo 'La Figlia della Luna', ricordo com'ero stesa di lungo, affossata nei morbidi cuscini consumati, ricordo che faceva bel tempo e che di lì a poco sarebbe stata una magnifica, soleggiata giornata di primavera... eppure non riesco a ricordare quale libro abbia decretato la mia imperitura e assoluta passione per Benni. È strano.
Stefano Benni ha una fantasia brillante e sconcertante. Parte dalle piccole cose, dai piccoli fatti, dalle piccole sconfitte, dai piccoli uomini, da personaggi semplici e banali, poi trasporta tutto in un mondo che alla fine è sempre il nostro, ma esasperato fino alla caricatura. La protesta sociale e una satira acuta sono sempre presenti nei suoi romanzi come nei suoi racconti. Wikipedia m'informa che il suo genere viene definito 'realismo magico', in quanto prevede la comparsa di elementi magici in un contesto altrimenti realistico e credibile. A volte, certo. Ma non sempre e non in termini assoluti. Magari quell'elemento magico è nella testa di un personaggio e finisce per spargersi nella narrazione senza esistere realmente nel contesto raccontato. Chissà. Dipende sempre.
In 'La Compagnia dei Celestini' compaiono demoni e fantasmi e profezie. È la storia irriverente di una manciata di bambini che fuggono dall'Orfanotrofio dei Padri Zopiloti per poter partecipare ai mondiali di Pallastrada, inseguiti da Don Bracco e Don Biffero e dall'avido interessamento dei media.
In 'Baol' il mago Bedrosian Melchiade Baol vive immerso in un 'tranquillo regime', quando gli viene chiesto dal leggendario comico – ormai ritiratosi – Gratapax di impedire la diffusione di un filmato falso che lo ridurrebbe alla stregua di un buffone. Gli si chiede quindi d'introdursi nell'Archivio Zero e trovare il filmato originale. Poi, verrà a galla il suo segreto. Che giustamente, qui non rivelo.
'Achille piè veloce', edito nel 2003, si discosta dagli altri romanzi. È più tagliente, affilato, ancorato a questo mondo, l'occhio puntato sulle sue miserie. Il protagonista è Ulisse, modesto scrittore che lavora in una piccola casa editrice in crisi. Riceve, un giorno, una lettera da parte di Achille. Un manoscritto, mi sembra di ricordare – abbiate pazienza, non ho con me tutti i libri di Stefano e la mia memoria sa essere infame. Si recherà a casa di questo Ulisse e lo troverà allettato, ammalato, impossibilitato a muoversi. E tra loro nasce una strana amicizia, dolorosa ma necessaria. Non so se sono in grado di spiegarmi. È quasi una reazione chimica. Un legame commovente, quasi biologico.
'Pane e Tempesta' è un romanzo intervallato da piccoli racconti incastonati magistralmente al suo interno. Vicende del piccolo paesino in cui tutto ha luogo e dei suoi abitanti. Lo sfondo di un enorme centro commerciale che sta sorgendo e che minaccia di divorare le vite dei paesani, attoniti di fronte alla bestia. Tutto narrato alla Benni, quindi allegorie ed elementi fiabeschi si sprecano.
Tra tutti i libri di Benni, quello che ho amato di più in assoluto è anche uno dei più dibattuti. 'Margherita Dolcevita', pubblicato nel 2005. Margherita è una ragazzina di quindici anni che scrive poesie brutte, vive con un padre gentile che non butterebbe via niente e che cerca di riparare tutto ciò che può, con un fratello orribilmente tifoso e una madre di cui onestamente non ricordo molto. Oh, e il nonno. Un gran bel nonno. Accanto alla loro casetta modesta sorge un giorno un orribile cubo nero, una casa che sembra la navicella di un Impero del Male. I nuovi vicini, i signori Del Bene, intendono legare con loro. E l'infezione morale inizia a colpire. Ricordo con affetto e dolore la Bambina di Polvere e la sua cantilena. ''Uomo nero, uomo nero, sto sognando o è tutto vero?'' E Song to the Siren di Tim Buckley. E una malinconia straziante.
Uno degli argomenti cardine di Benni è quella macro-economia che divora gli esseri umani dall'interno e il loro benessere. Gli interessi smodati, l'ingordigia, l'avidità, la legittimazione del disinteresse e della crudeltà che ne derivano. Nelle sue opere, Benni innalza la semplicità e la coesione sociale come soluzioni per quei mali che, ce ne rendiamo conto, ci stanno mangiando vivi. Quello che Benni ha raccontato dieci o venti anni fa, a seconda del romanzo, sembra quasi una profezia giunta a compimento. Chi avrebbe mai detto che saremmo arrivati a questi punti di controllo sociale di silenzio sfacciato o di risposte che sembrano schiaffi in faccia ai cittadini e all'Italia intera?
Non fraintendetemi e quietate le vostre anime, non sto per partire per una lunga dissertazione su quanto il governo attuale sia incompetente o inadatto. Me ne guardo bene. Se penso alla rabbia che mi ribolliva dentro quando sentivo di ristoranti pieni, mele il cui sapore ricorda parti intime, giovini meretrici improvvisamente diventate nipoti di capi di Stato esteri, comunisti che spuntavano dalle ombre della storia come funghi dopo un temporale... onestamente, non riesco a non tirare un sospiro di sollievo. Parlo del prima. Parlo del forse. Parlo del 'Ma ce la faremo?' e del 'Non potete lasciarci così a brancolare nel letame'. Spero. Mi auguro. Incrocio le dita. È un delitto? Non mi va di parlare di politica su questo blog. Ma d'altronde il passo tra Benni e politica non è poi troppo lungo, il collegamento viene automatico. Perché Stefano Benni lo sa, ce lo ripete e insiste con forza, che la politica entra nelle nostre vite più di quanto non si sia soliti pensare. Rimango perplessa di fronte al disinteresse e al qualunquismo imperanti. Come se le decisioni che prenderanno in Parlamento non avessero nulla a che vedere con la vita di tutti i giorni. Come se i tagli all'Università, al sostegno allo studio, alla sanità, la cancellazione dell'Ici non avessero determinato... ok, basta. Chiudo qui. Non è un blog politico. Tanto, credo che ormai si sia capito come la penso, no?
Pensandoci bene, il bisogno quasi fisico che ho d'informarmi e discutere di politica lo devo anche a Benni. Ai suoi personaggi, alle sue analisi, ai suoi mondi esasperati che sono diventati, tra brividi e occhi chiusi, così vicini alla realtà da farmi paura. Leggevo i giornali e mi sentivo smarrita come la Bambina di Polvere.
Speriamo, dai. Speriamo.