Papà Goriot - Honoré de Balzac

Lo ammetto, è solo da pochi anni che ho cominciato a leggere e apprezzare i classici. In realtà finora ne ho letti davvero pochi e di questo un po' mi vergogno. Fino a qualche tempo ero convinta che li avrei trovati pesanti, lunghi, tediosi. Pieni di giri di parole arzigogolati e arcaismi, anche se all'epoca certo non erano tali. Poi mi sono ritrovata in casa senza nulla da leggere e sono andata a curiosare nella libreria di mia madre. Ho preso Cime Tempestose e... beh, mi ha spalancato gli occhi. Emily e Charlotte Bronte, Jane Austen, Arthur Conan Doyle, Oscar Wilde... sentivo – e sento ancora - di dovermi rifare di tutto ciò di cui per anni e anni mi sono stupidamente privata.
È ad un classico che mi ha colpita come poche opere hanno saputo fare – mi ha avvinta, commossa, mi mordevo le labbra e mi struggevo, percorrendo le righe con l'indice, come se dovessi seguire le parole con le dita per non perdermene nessuna – che dedico questa recensione, la prima dopo tanto tempo. Forse per la complessità dell'opera, forse per la mia impossibilità nel renderle degnamente giustizia, è stata una recensione davvero lunga e faticosa.
Papà Goriot, di Honoré de Balzac. Scritto agli inizi degli anni '30 dell'800 e pubblicato in Italia da diverse case editrici, tra cui Garzanti, BUR e De Agostini. Forse il romanzo più famoso e apprezzato di Balzac, parte della Commedia Umana che conta ben 137 opere di vario genere. È inoltre proprio con Papà Goriot che Balzac decide di collegare i propri racconti inserendo uno stesso personaggio in diversi romanzi, raccontandoli ad un diverso stadio della loro vita. Il protagonista Rastignac, infatti, era già comparso in 'Peau de Chagrin', 1831, ambientato dopo rispetto a Papà Goriot.
L'opera si apre con una dettagliata descrizione dell'ambientazione principale delle vicende, che ci porta immediatamente e con chiarezza tra le mura di Casa Vaquer, un'umilissima pensione borghese, che ospita sotto il suo tetto persone estremamente diverse tra loro. Il protagonista, Eugéne de Rastignac, giovane universitario ambizioso ma dall'animo ancora candido; Vautrin, un omone dai modi melliflui, dalla lingua tagliente come il filo di una spada e una mente aguzza e cinica che affascina e allo stesso tempo ripugna il giovane protagonista. E ovviamente Papà Goriot, un ometto umile e silenzioso con la vitalità di un fantasma, che però rinasce come una fenice non appena si nominano le adorate figlie, per i capricci e le debolezze delle quali, col tempo, ha dilapidato tutti i propri averi, riducendosi a vivere miseramente. Nessuno sa nulla, però, del fatto che sia un amore paterno – e ossessivo – quello che lo porta alla rovina. Gli inquilini della pensione spesso fanno allusioni sarcastiche e pungenti sulle due figlie, attraenti e ben vestite, che vanno a trovarlo, anche perché queste fanno in modo di sgattaiolare nelle stanze del padre di nascosto, perché, essendo entrambe maritate con uomini appartenenti alla nobiltà che disprezzano il suocero per i suoi modi rozzi; Goriot doveva infatti la sua fortuna al commercio di granaglie, mestiere umile per quanto redditizio ed è stato, in seguito ai matrimoni, costretto all'inattività dalle pressioni dei generi, che non intendevano avere un lavoratore come parente. Goriot aveva nella vita solo la passione per il proprio lavoro e un amore smodato e incontenibile per le figlie: non potendo più lavorare né vedere le proprie adorate e viziate figlie, di lui non rimane che un guscio deperito, che continua a svuotarsi e a dissanguarsi per i debiti e i capricci delle due donne.
Quando Eugéne, il giovane protagonista, viene a conoscenza della reale ragione della povertà dell'uomo – non viziosità e sperpero, ma continui sacrifici – comincia a rispettarlo e a difenderlo dalle punzecchiature degli altri inquilini e diventa suo amico e confidente, nonostante Goriot, consumato nel corpo e nell'anima, non abbia argomento di conversazione al di fuori delle amate figlie, per le quali non ha che parole buone.
Eugéne intende inoltre cercare fortuna e agganci in società e chiede udienza ad una lontana parente parigina indicatale da una zia, la viscontessa de Beauséant, che lo invita ad una festa e, presasi a cuore la sua condizione – grazie non solo ad una lettera di presentazione, ma soprattutto ai modi e alla bellezza del giovane – cercherà di consigliarlo nel farsi strada nei meandri dell'alta società parigina. Sarà inoltre a questa stessa festa che Eugéne avrà modo di conoscere una delle figlie di Goriot, Anastasie de Restaud, dalla quale rimarrà estremamente affascinato. Tuttavia, nel tentativo di avvicinarsi a lei, pone domande inopportune su Goriot, che lo rendono odioso agli occhi di Anastasie, che lo allontanerà nel modo più brusco possibile per l'etichetta dell'epoca. In seguito, domandando alla viscontessa, scoprirà finalmente la verità sul legame tra Goriot e le figlie, rimanendo estremamente colpito dall'altruismo dell'uomo.
Eugéne è divorato dall'ambizione e dilaniato tra la sua morale e i suoi desideri. Vautrin vorrebbe portarlo ad accettare la parte di eroe nell'atto che sta costruendo – nella pensione, una figlia illegittima non riconosciuta dal padre ricchissimo ha occhi solo per Eugéne e Vautrin vorrebbe far fruttare la situazione a favore del protagonista, in un modo che non rivelerò – mentre lui, avvicinatosi grazie alla viscontessa e con la benedizione di Papà Goriot all'altra figlia, Delphine, se ne innamora e inizia con lei una relazione extraconiugale.
Le vicende di vari personaggi secondari si intrecciano e muovono la storia, a volte in modo un po' confusionario, ma sempre in modo intenso. Balzac utilizza ad un certo punto il vecchio spauracchio della società criminale segreta e potente, non molto originale, tuttavia non ne abusa.
Eugéne dà l'impressione di essere trasportato dal caso, dal destino, dalle decisioni degli altri. È solo alla fine che sembra nascere come creatura senziente e diventare l'uomo che sarà in seguito.
I dialoghi sono intensi, soprattutto i monologhi di Goriot e di Vautrin, che spesso s'imperniano su amore e morale. Ho amato intensamente lo stile di questo romanzo, scorrevole eppure quasi 'prezioso'. Un linguaggio chiaro e d'impatto eppure, non mi vengono altre parole per descriverlo, 'bello'.
Estremamente ben descritti gli ambienti, la società nel suo insieme, nel suo splendore e nella sua turpitudine. Mi ha stupito scoprire quanto la società parigina fosse tanto libertina da un lato e quanto ristretta dall'altro, come una relazione extraconiugale potesse risultare un piacevole passatempo mentre la mobilità sociale costituiva ancora una spiacevole macchia.
Eugéne e le due figlie di Goriot sono sfaccettati e molto umani, nei loro conflitti e nelle loro pecche. Altri personaggi invece sono meno variegati, forse troppo statici, come Goriot, irremovibile fino all'ultimo nell'amore per le figlie e soprattutto la signorina Taillefer resta, in modo a mio avviso molto poco credibile, angelica e adorabile fino alla fine.
Non mi è possibile rivelare molto della trama, senza incorrere a spiacevoli e abominevoli spoiler. Intanto, mi limito a consigliare questo gioiello della letteratura. Non ha nulla di pesante né di pomposo, la lettura è appassionante e la scrittura brillante. Ultimamente mi capita raramente di essere così presa da un romanzo e dai suoi personaggi. In effetti, credo di essermi un po' innamorata di Balzac, o almeno del suo genio. Se avessi una macchina del tempo correrei a fargli visita. È entrato di prepotenza nella lista di coloro che mi duole dannatamente di non aver conosciuto in vita. Non è una lista molto lunga, ma è molto varia. Entrarci è un onore riservato a pochissime menti brillanti.