Ho da poco finito di leggere 'Il lamento del prepuzio', il libro che ho comprato giusto l'altro giorno un po' a scatola chiusa e che tanto mi aveva affascinato con la sua prima pagina. Forse non l'ho ancora digerito del tutto, forse dovrei aspettare ancora un po' prima di scriverci sopra due righe. Però non ne ho voglia.
Edito da Guanda, pubblicato in America nel 2007 e arrivato da noi nel 2009.
Il protagonista è l'autore stesso, Shalom Auslander, che racconta in prima persona di sé stesso, delle sue ossessioni, della maledizione di una religione che è penetrata dentro di lui suo malgrado e lo condanna a chiedersi costantemente quando e come verrà punito per aver infranto lo Shabbot e dei continui sensi di colpa perché continua ad infrangerlo. È uno stile molto schietto, senza troppi fronzoli, descrittivo fino ad un certo punto, ma non crudo e brutale come ci si potrebbe aspettare. Considerando la portata dello squallore di cui ci rende partecipi, tutto sommato poteva essere molto più rozzo. Non che infiocchetti il tutto o che lo spruzzi di Chanel prima di farcene dono, ma neanche fa grondare le pagine di scorie e liquame in stile Bukowski. Il fulcro del romanzo è sostanzialmente il suo non troppo cordiale e personalissimo rapporto con Dio, che lo accompagna, volente o nolente, per tutta la vita, puntando una pistola alla testa dei suoi cari e, più raramente, fornendogli un breve momento di sollievo.
Mi sono spesso chiesta come dev'essere nascere in un contesto così fortemente religioso, in cui i precetti regolano la giornata in modo così ferreo e preciso. I miei genitori sono atei, mia sorella è atea, mia zia è atea, i nonni da parte di madre sono atei. Tra i vari parenti che frequento, solo mio nonno paterno è cristiano e credo di poter affermare senza fargli torto che lui stesso è una delle ragioni per cui il cattolicesimo ha smesso di convincermi molto presto. Un enorme crocefisso che incombe sul letto, un gigantesco rosario appeso alla parete, una Bibbia sul comodino, un pacchianissimo quadro 3D della Madonna contornata da fiorellini rosa. Sì, giuro. C'è anche quello. Uno di quei dipinti che quando ti sposti la figura si muove, mio nonno ne ha uno con la Madonna col bambino. Ne convengo, agghiacciante. Eppure, ogni volta che qualcosa non andava bene, mio nonno tirava certe bestemmie da far tremare le mura del Paradiso. Madonne, angeli, Padre, Spirito Santo, bambinello Gesù, asini e buoi nella stalla, tutti a tapparsi le orecchie, che quel vecchio con la Bibbia in bella mostra aveva sbattuto un mignolo o si era martellato un pollice o si era fatto male a un piede o chissà che altro. In soldoni, direi che non mi sono mai sentita addosso la pressione della religione cattolica. Spesso mi sono chiesta che cosa si possa provare nel sentirsi costantemente giudicati dall'alto, nella consapevolezza di occhi divini che non si chiudono mai e che scrutano ogni tuo movimento, in attesa del momento in cui fallirai nella prova e dovrai fare penitenza. Shalom è riuscito a darmi una spiegazione chiara ed esaustiva di che cosa si prova a vivere immersi in questo tipo di contesto religioso, nella fattispecie una famiglia ebrea ortodossa. Conversazioni brevi, immaginare e piuttosto volgari con Dio, un rapporto coi genitori tagliente, distruttivo, disastrato, un'oasi di ortodossia in una comunità ebraica di Monsey, New York. Le mille tentazioni, le mille colpe, i mille peccati, i mille pentimenti. Shalom, nonostante tutto, non riesce a smettere di credere nell'esistenza del suo Dio personale, causa di tutte le sue sciagure. Quando qualcosa va male, è Dio che vuole prendersi gioco di lui, così come quando qualcosa va bene, è Dio che vuole illuderlo, dargli un contentino per poi sparargli nella schiena.
Per quanto mi sia piaciuto, non mi sento di definirlo un vero e proprio capolavoro. Non è uno di quei libri che ti prendono e ti trascinano via, che quando li finisci rimani in trance per ore, ma sicuramente è un libro che piace, che prende, diverte, fa riflettere e fornisce inoltre un bel po' d'interessanti informazioni sull'Ebraismo – tema che ha cominciato ad appassionarmi dopo aver letto Chaim Potok. È difficile dare un giudizio oggettivo su un libro del genere: è un racconto autobiografico, cosa si può dire sulla caratterizzazione di personaggi che sono anche persone in carne e ossa? O su una trama che dopotutto consiste nella vita reale dello scrittore? Come posso chiedermi se la caratterizzazione e il comportamento dei personaggi sia stato o meno subordinato alla trama o viceversa? Non posso. Posso dire, però, che è stato un ottimo acquisto e che ho molto apprezzato la totale mancanza di ruffianerie e sdolcinatezze, di occhiolini compiacenti al lettore. Qui non c'è uno scrittore che scrive perché vuole piacere, ma uno scrittore che vuole scrivere e che lo fa bene. C'è anche un uomo traumatizzato dalla religione, dalla fantasia malata e un Dio immaginario che lo deride costantemente. Perciò, sì, lo consiglio con estrema convinzione.