Un paio di ore fa ho scoperto di non aver passato l'esame per cui tanto avevo studiato, separandomi dolorosamente dal computer e da questo neonato blog. Dopo aver passeggiato per casa ingiuriando a caso mobilia e oggetti vari, dopo aver chiamato mia sorella per insultare il professore alias Voldemort, dopo aver mandato centinaia di sms per lamentarmi per il fato beffardo e dopo aver spaventato l'inquilino del secondo piano col mio sguardo pieno d'odio, sono pronta per un nuovo post.
Un po' per consolarmi e un po' perché ultimamente non ho potuto leggere granché, ho deciso di approfittarne per mettere in atto un'idea che mi frullava in testa già da qualche tempo, una 'più o meno' rubrica chiamata 'Ciò che non dovrebbe mai mancare dalla libreria di una bambina', in cui elencherò con estremo affetto quei libri che hanno segnato la mia infanzia e quelli che vorrei tanto l'avessero segnata, in quanto, ahimè, li ho scoperti troppo tardi. Quelli che quando hai dei problemi ti chiedi come li risolverebbero i protagonisti, quelli che anche dopo che hai finito di leggerli rimani immersa nella loro atmosfera, come se stessi fluttuando tra le pagine, cullata dalle parole. Libri che ti restano accanto, ti guidano, ti cantano canzoni di frusciare di pagine e ti si tatuano nel cuore. Non ce ne sono tanti di libri così, ma li ricordo tutti con un affetto che è difficile esprimere a parole. Ci proverò ugualmente.
Uno dei libri che ho più amato in assoluto in tutta la mia vita è stato 'La figlia della Luna', di Margareth Mahy. Avevo circa undici anni quando l'ho letto, era una domenica mattina e avevo da poco smesso di andare in chiesa coi nonni. Tuttavia mi ero alzata presto, intorno alle sei e mi ero ritrovata ad essere l'unica sveglia in tutta la casa, perciò sono andata a curiosare nella libreria di mia sorella, ho preso con me il libro che mi sembrava più congeniale, sono andata ad accoccolarmi sul divano e ho cominciato a leggere. Senza mai, mai, mai fermarmi. Una lettura serratissima, familiari che si svegliavano, nonni che arrivavano per il pranzo domenicale, io che mi staccavo solo per il tempo necessario per mangiare e poi correvo via, col libro sottobraccio. Prima del dolce finsi di dover andare in bagno, mi chiusi nella stanza dei miei genitori e lì finii di leggerlo. Quel libro si è infilato prepotentemente nel mio cuore, si è appiccicato alle mie ossa e alla mia pelle e non se ne va. Non se ne andrà mai. Ogni tanto sento il bisogno di rileggerlo e, visto che da casa è scomparso – prestato o perduto? - lo prendo in prestito in biblioteca, anche se sono passati quasi dodici anni. Non posso dire che ogni volta che lo leggo sia come la prima, un po' perché so già come andrà a finire e un po' perché sono io quella che cresce e cambia. Ma non sto dicendo niente del libro in sé...
Allora, tanto per cominciare, la protagonista è Laura Chant, una ragazza normalissima di quattordici anni, che vive col fratellino Jacko e una madre lavoratrice stra-impegnata ma piena d'affetto. Laura è una ragazza con cui si lega subito: è proprio lì, sulla soglia dell'adolescenza, piena d'inquietudine, domande, aspettative. È un punto interrogativo, è già in preda alla grande metamorfosi ma ancora aggrappata all'infanzia. È un periodo strano, per ogni ragazza. È per questo che chiamo quest'angolo 'Ciò che non dovrebbe mai mancare dalla libreria di una bambina'. 'Bambina' e non 'bambino'. Non credo ci siano differenze biologiche tra maschi e femmine, ma è innegabile che il modo in cui veniamo cresciuti è diverso. A prescindere da quello che vogliono i nostri genitori, veniamo lanciati in una società che ci differenzia per 'maschietti' e 'femminucce' e questo, volenti o nolenti, influisce pesantemente su di noi, su ciò che ci piacerà, su come ci vedranno gli altri e via così. Chiudo questa piccola parentesi sociologica, torniamo al libro :)
Laura è stata in tutte noi, in quel momento in cui stavamo cambiando. È incerta, insicura, ma è anche forte e determinata. Dubbi e paure e tanta, tanta forza. Voglio bene a Laura e alla sua normalità, al suo essere una vera ragazzina di quattordici anni, non una specie di geniale eroina, di mitizzata creatura spacciata per adolescente e schiaffata in un libro. Lei è davvero una ragazzina. Ha una piccola particolarità, però: le premonizioni. Quando sta per succedere qualcosa di veramente brutto, lei lo sente. Non sa che cosa sarà, né come evitarlo, ne quando o a chi capiterà. Sa solo che sta arrivando. E il libro comincia così, con la premonizione di Laura nel bagno di casa. Lei prova ad avvertire la madre, che ovviamente non le crede. Quella sera stessa suo fratello verrà colpito da una sorta di maleficio: uno spirito maligno incarnato in un untuoso antiquario dai modi affettati imporrà sulla manina di Jacko il suo marchio e da lì gli succhierà via la vita. Laura sa che è stato lui e sa che il fratellino morirà se non riesce a togliergli di dosso quel maleficio, ma non sa come agire. E allora decide di chiedere aiuto a Sorensen Carlisle, un ragazzo della sua scuola che è certa di aver riconosciuto come strega. Anche Sorensen è un personaggio che rimane ben impiantato nel cuore del lettore. Non riesco a non pensare a lui quando sento un balbuziente. È un personaggio strano, un po' storto eppure dolorosamente tenero, a modo suo.
Ovviamente, non posso certo dire come si evolvono le cose, come ho già detto odio gli spoiler ed è davvero difficile evitare di farne. Voglio dire, fare 'spoiler' non è solo rivelare il finale, è anche rivelare mezza trama. E io queste cose non le faccio. Posso solo dire che la trama è strutturata in modo perfetto, che i personaggi sono realistici e credibili, che l'atmosfera di cui è pervaso il romanzo è magica e avvolgente come una nebbia luminescente e che... beh, che dovrebbe essere letto. Assolutamente.
Questo è il primo libro che mi viene in mente quando penso a quelli che mi hanno guidata amorevolmente finora. Ce ne sono altri, ma questo è quello piantato più a fondo.
A presto :)