Guida il tuo carro sulle ossa dei morti di Olga Tokarczuk - Ti accompagno volentieri, vrp

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti di Olga Tokarczuk - ora edito da Bompiani nella traduzione di Silvano De Fanti – l'ho preso un po' come un seguito filosofico di Lolly Willowes o l'amoroso cacciatore. Non perché a consigliarmelo sia stata la stessa persona – e a passarmi gli ebook un'altra ancora – ma perché è facile ravvisare uno stesso spirito, una stessa predisposizione al mondo da parte delle protagoniste e delle scrittrici. Me le immagino da sole, in una cucina tutta di legno inondata di luce, il giardino sul davanti della casa incolto e verdeggiante, un vecchio rottame parcheggiato di sguincio; di fronte al pc acceso, tengono le mani puntate sui fianchi e prima di sedersi e mettersi a scrivere ammettono che: “Beh, io mi sarei anche rotta il cazzo.”, e poi giù sulla sedia e mani sui tasti.
Va da sé che questa immagine non ha nulla di vero al di fuori delle mie elucubrazioni; soprattutto per quanto riguarda l'autrice di Lolly Willowes, Sylvia Townsend Warner, che è nata nel 1893 ed è morta nel 1978, ed è più probabile che scrivesse su versioni via via più evolute di macchine da scrivere. Lo spirito, però, mi sembra di riconoscerlo. C'è uno stato delle cose che viene dato per scontato come l'unico possibile e quindi quello giusto, ma fa schifo sia a Sylvia che a Olga, e pure alle loro protagoniste. Il mondo è – anche – altro. L'universo è qualcosa di più. Quello che crediamo essere vero e immutabile è una noiosa illusione.



Lolly Willowes è una donnina pacata e di una certa età che di punto in bianco decide di trasferirsi in un paesino lontano dalla famiglia che la rinchiude in un'idea di sé che le fa orrore, ma che fino a quel momento, per lunghi decenni, non ha mai dato segno di trovarsi a disagio nel ruolo che le hanno cucito addosso – e che anzi, sembrava indossare con relativo piacere. Janina, la protagonista e narratrice di Guida il tuo carro, è fatta di un'altra pasta, molto meno malleabile, meno resiliente e più aggressiva. Insegnante di inglese con la fissa dell'oroscopo, vive in un bosco della Repubblica Ceca, con pochissimi vicini, in un paesino piccolo e sperduto. Odia i cacciatori – brava Janina – e l'industria della carne, odia l'odio e la mancanza di fantasia con cui viene gestita la nostra civiltà, perché mancanza di fantasia vuol dire anche mancanza di empatia, e chi non è in grado di entrare nelle scarpe di un altro, difficilmente può interessarsi degli altrui problemi, degli altrui dolori – figuriamoci se parliamo degli animali e non delle persone. Janina è una persona profondamente umana, che sente fino in fondo invece di convincersi che quello che prova è un errore, un difetto di prospettiva. Quello che mi commuove in lei è il fatto che non cerchi di convincersi di essere nel torto perché sola nelle proprie convinzioni, circondata da persone che vedono un mondo più equilibrato, almeno al punto da potersi dire che “così va il mondo” senza disperarsi.

Dunque, abbiamo Janina che vive nella sua casetta nel bosco. Qualche comprimario: un vicino burbero e di poche parole che chiama Bietolone, un vecchio studente che è diventato il suo più caro amico e con cui traduce le poesie di William Blake, la scrittrice che abita lì vicino. Le occasionali comparse della polizia, dei compaesani.

Il romanzo ha inizio la notte in cui Bietolone le bussa alla porta perché un loro vicino ci è rimasto secco e ha bisogno di aiuto per accomodare il cadavere per l'aldilà. È la prima di una serie di morti che Janina non manca di spiegare in dettagliate lettere alla polizia, sono state causate dagli animali stanchi di essere cacciati, prede che sono diventate cacciatori, karma imbottigliato in corpi coperti di pelliccia. La morte del vicino – un cacciatore di frodo – è forse un pretesto per indagini accurate, per trasformare il romanzo in un vero e proprio giallo investigativo che ricordi un po' Agatha Raisin? Nah. Janina fa la sua vita, litiga con chi di dovere, è colpita dai suoi malanni, fa gli oroscopi. E così via.



In Guida il tuo carro sulle ossa dei morti si legge un mondo ribaltato, perché lo vediamo dalla prospettiva di Janina. Volendo essere del tutto sincera, non è che io abbia apprezzato tutto questo ribaltamento, io e Janina andremmo d'accordissimo. Ci guarderemmo da un capo all'altro del tavolo e ci chiederemmo com'è possibile dare per scontato che il mondo non sia estremamente migliorabile, che l'orrore non sia orrore solo perché ci siamo abituati. Ci lasceremmo travolgere dalle bestemmie, citeremmo Fisher a sproposito – soprattutto io, che ancora non l'ho letto – traducendo il suo realismo capitalista in realismo specista. Ci troveremmo d'accordo nell'odiare il modo in cui ci viene chiesto di non odiare, di accondiscendere perché “se il mondo è così, ci sarà una ragione, signora mia, che vuole che facciamo?”. A pensarci bene, Janina mi odierebbe perché la chiamo Janina, e lei odia il suo nome di nascita.

Questo romanzo è pieno di rabbia, di disprezzo, di buone intenzioni ed esecuzioni sommarie. Filosofia, credenze magiche, curiose speranze. William Blake. Emanuel Swedenborg – che ora voglio recuperare. Ideologia.
Avercene.