Anni
fa leggevo E così vorresti fare lo scrittore di Giuseppe
Culicchia, autore del cult generazionale Tutti giù per terra
e di tanti altri titoli che ho divorato tra le medie e le superiori –
tra tutti A spasso con Anselm e Il paese delle meraviglie,
che spesso mi viene da associare a La banda dei brocchi di
Jonathan Coe. Un passo del libro mi è rimasto parecchio in testa;
Culicchia spiegava che l'editoria è un mondo povero, di magre risorse finanziarie. Il fatturato della sola Nutella – non della
Ferrero, solo la Nutella – vale più dell'intero mercato
librario, bestseller compresi. La Nutella non è certo un prodotto di
nicchia; eppure suona incredibile che da solo basti a coprire
l'economia di un'industria intera. Harry Potter, Twilight e
Cinquanta sfumature di nero sono il mainstream del mainstream,
eppure accanto alla Nutella rimangono briciole. Credo sia una delle
immagini che riescono meglio a rendere il contesto in cui si trova il mercato del libro in Italia, un contesto che bisogna conoscere
per capire perché la crisi sembri irrisolvibile – soprattutto
nel caso delle librerie fisiche.
Dico
in Italia perché, diciamocelo, la nostra crisi dell'editoria è più
grave e radicata rispetto ad altri paesi. Le librerie chiudono, gli
editori indipendenti chiudono, i grandi gruppi si ammassano in enormi
conglomerati. Lo sappiamo tutti – o quasi – che i mestieri
collegati legati al libro sono minimamente redditizi, perfino in
perdita. Perdita per lo scrittore che spende – e scelgo il termine
spendere e non perdere, perché l'atto stesso porta in sé un valore
personale incalcolabile – una mole impressionante di tempo non
retribuito o a appena retribuito su un testo; per l'editore che deve
riuscire a coprire le spese e a guadagnarci qualcosa; editor e
traduttori lamentano (giustamente) il ribasso delle tariffe,
soprattutto se confrontate a quelle di altri paesi. I problemi
dell'editoria in Italia sono tanti, difficili da mettere in fila: il
primo tra tutti rimane il fatto che i libri non vendono, ma non è
l'unico, anche se molti sono conseguenza.
In
Italia non si legge, e questo si sa. La mancanza di educazione alla
lettura e di una promozione che sia seria e concertata tra stato e
professionisti – abbiamo avuto qualche esempio di collaborazione,
iniziative che sono certo meglio che niente, ma che senza un piano a
medio e lungo periodo lasciano il tempo che trovano – lasciano il
mercato a languire. Chi insegna ad amare la lettura, se pure gli
stessi addetti sono demotivati, incapaci o disinteressati? Se nelle
scuole i programmi rimangono stantii e poveri di entusiasmo, se le
biblioteche non si adoperano per raggiungere la cittadinanza? È
stata approvata da poco una legge a sostegno del mercato librario che
ha attirato parecchie critiche, perché impone un massimo di sconto –
il 5% – alle librerie e agli store online, e questo secondo molti
significa scaricare il problema dell'industria sul consumatore
finale, riducendo ulteriormente il suo potere d'acquisto. Da parte
mia, dico nì. Dico “per un po', ma potrebbe cambiare”. L'editore
che stampa un libro sa che per rientrare nelle spese e avere un
guadagno dovrà venderlo a un certo prezzo; se deve calcolare uno
sconto del 15% o del 25%, gli toccherà matematicamente alzare il
prezzo. Se lo sconto scende, è possibile – e auspicabile – che
scenda anche il prezzo. È accaduto con la Legge Levi – o almeno, è
così che interpreto la discesa del prezzo medio a volume.
In
Italia, dicevo, non si legge, ma il problema non è solo quello. Il
fatto è che anche chi legge, spesso non compra. Molti scaricano
libri gratuitamente, e di recente il danno della pirateria sarebbe
stato calcolato come pesante, significativo. Io ho delle riserve; non
è detto che al download di una copia piratata equivalga una vendita
perduta. È molto probabile che l'ebook sia stato scaricato proprio
perché gratuito; con la stessa logica – un po' più truffaldina,
va bene – con cui svuotiamo gli scaffali delle biblioteche sicuri
che non dovremo spendere mezzo euro, uno può divertirsi a scaricare
libri che non leggerà mai, che magari languiranno per sempre negli
scaffali dell'ereader.
Per
il libro, comunque, si spende poco, e spesso controvoglia. Eppure i libri non costano poi così tanto, se si pensa alle spese che ci sono dietro. La
crisi del mercato editoriale è si accompagna alla crisi
dell'industria culturale nel suo insieme; si dice la cultura dovrebbe
essere gratuita, universalmente fruibile, alla portata di chiunque.
Ed è vero, fino a un certo punto. Si specchia però in una
convinzione sotterranea più scomoda e antipatica: non vale la pena
pagare per la cultura. Già uno si fa la sbatta, magari, di visitare
una mostra o un museo o un sito di interesse storico invece di
rilassarsi a casa o fare aperitivo. Al posto di un frizzante
Tarantino sceglie un Godard o un Truffaut, decide di assecondare una
curiosità momentanea e mette le mani su un classico della
letteratura, un Anna Karenina o un Orgoglio e Pregiudizio;
un così nobile impegno quasi accademico dovrà corrispondere di per
sé al pegno per la fruizione del materiale. La nostra attenzione
sembra già il pagamento del biglietto.
E
l'attenzione è un ulteriore tema problematico, quando parliamo della
crisi del mercato librario. La letteratura deve confrontarsi con
agguerritissimi rivali. L'industria dei media sforna di continuo
capolavori audiovisivi. Le ore passate a guardare le dieci stagioni
di Adventure Time o a cercare di capire Mulholland Drive
di David Lynch non sono certo malamente impegnate; il valore
artistico di tante serie pure di intrattenimento non è inferiore a
quello di una splendida – o tragica – storia raccontata su carta
solo perché il supporto è diverso. Possiamo preferire al libro una
serie tv senza rinunciare alla qualità della scrittura; la
letteratura, di questi tempi, combatte contro la mancanza di tempo
libero e le infinite ed entusiasmanti possibilità di spenderlo
degnamente. C'è anche da dire che i nemici del libro sono spesso
suoi alleati; esistono reading challenge compilate sulle letture di Rory
di Gilmore Girls, che almeno un po' aiutano. Anche perché, diciamocelo, l'amore per le storie
ti spinge a cercare altre storie, magari in formati diversi. Perché
no? Dal bingewatch della serie Netflix Il racconto dell'ancella
risorge a caso editoriale Margaret Atwood. Chi ha adorato A
scanner darkly di Richard Linklater, prima o poi un Philip K.
Dick se lo recupera. Gli audiovisivi si aggiudicano una larga fetta
di attenzione da parte del pubblico, ma quell'attenzione capita che
la riflettano sulla letteratura – certamente stabilire
numericamente connessioni e influenze suona compito inutile e
ingrato; quello che mi è dato di fare, al netto dell'osservazione
del contesto e nulla di più, e far presente che ci siano dei
collegamenti e che questi collegamenti portano a qualcosa.
Torniamo
all'inizio e alla crisi – che poi è davvero tornare all'inizio,
perché la tendenza di calo nel numero dei lettori in Italia è
faccenda arcaica. Torniamo alla regolamentazione e alla gestione del
mercato librario. Alla pragmatica della questione – come funziona
effettivamente il mercato. Mettiamo, per dire, che un libro costi
dodici euro. Un libraio se ne fa arrivare una copia, la paga in
anticipo e la espone. Dalla vendita – ipotizzando che non ci siano
sconti – l'editore ricava tra il 35% e il 50% del prezzo di copertina. Quello che rimane se lo spartiscono libraio e distributore. Mettiamo per facilità matematica che un editore ricavi il 40% (4,8 dei 12 euro) del prezzo di copertina e che il 60% (7,2 euro) venga equamente riparito. Il margine di guadagno del libraio non arriva a 4 euro. A guardare alle cifre, considerando quanto poco vendano i
libri – e vendono davvero poco, poche migliaia bastano a definire
un bestseller – intuitivamente capiamo che la produzione è in
perdita. “Fortunatamente” l'editore può coprire il buco, se
rimane un buco, con il pagamento anticipato del libraio. Arriva anche
il momento in cui il libraio rimanderà indietro l'invenduto – il
tanto invenduto – e a quel punto l'editore coprirà il buco con una
boccata di pagamenti derivati dalle pubblicazioni successive. È
anche per questo che la produzione di un bene così poco venduto
appare enorme, ipertrofica e spesso ingiustificata – ci sono libri
che sembrano nascere già morti, già dimenticati. Ci sono libri che
escono per non essere mai letti né comprati da nessuno. Eppure
escono.
Un sistema economico basato sulla restituzione e il ricambio dell'invenduto pare destinato prima o poi a crollare. Anni fa si
discuteva di decrescita editoriale, che ai miei occhi rimane
un'ipotesi auspicabile. Ma c'è un altro elemento della struttura che
mi pare incagli la situazione in una stasi dannosa per diverse
ragioni: una distribuzione costosa, costosissima – dicevo 30% circa
per alcuni dei maggiori distributori nazionali, mentre altri chiedono
percentuali ancora più alte e un numero minimo di copie acquistabili
che rende la spesa insostenibile per le piccole librerie. La
distribuzione è costosa. Costosissima. Mangia una fetta pari a
quella dell'editore o del libraio. Ma le mie critiche nei confronti
della distribuzione non si esauriscono nel costo; il problema è che
il servizio non è neanche un granché.
Sinceramente.
Ordinando un titolo in una libreria fisica, quanto ci mette ad
arrivare? Dipende. Dipende moltissimo dalla libreria e, immagino, da
chi gestisca una certa branca geografica di distribuzione. Magari
certi riescono a fare arrivare i libri in pochi giorni. Capita anche
di dover aspettare settimane. Io ho aspettato anche per mesi. Non
conosco abbastanza l'universo distribuzione per potermi pronunciare
con una degna cognizione di causa, ma quello che vedo da consumatrice
è che il servizio è meh. Il comparto promozionale è meh, le
tempistiche sono incerte. Considerato il costo, mi aspetterei
qualcosa di meglio, soprattutto considerando che le librerie fisiche
devono vedersela con gli store online. Non c'è solo Amazon; anche
Ibs ti fa arrivare il libro in un paio di giorni lavorativi. Come
fanno le librerie fisiche a competere con un'offerta così illimitata
e una spedizione immediata? Non possono, perché il passo non spetta
a loro, a meno che non vogliano risolversi a trattare con gli editori
uno ad uno – tra gli indipendenti, molti sono più che ben disposti
a prendere contatto diretto con le librerie. Ma pensare a un contatto
diretto con un largo numero di editori già diventa un peso
difficilmente sostenibile sia per i librai che per gli editori. La
presenza di un mediatore è necessaria, ma questo mediatore deve
adeguarsi ai nuovi standard di mercato. La concorrenza è spietata;
per sopravvivere, le librerie fisiche hanno bisogno di strumenti
adatti ai tempi. Non che non ci siano tentativi in questo senso, come
Libricity, un'app che si propone di rilevare la posizione di un
titolo in una determinata città – nata nel 2015, pare non si sia
sviluppata com'era nelle intenzioni iniziali, eppure mi pare
un'ottima idea da implementare. Qualche mese fa, per scovare l'ultimo libro di Cristò, ho girato per diverse librerie di catena e
indipendenti, prima di arrendermi e acquistarlo dal sito
dell'editore.
Che
altro dire? Ho voluto mettere insieme un paio di risposte che stanno
dietro alla chiusura delle librerie. Ci saranno fattori che non ho
considerato, altri che neanche conosco. Figuriamoci le soluzioni.