Neve, cane, piede di Claudio Morandini mi è
capitato in mano al Salone di quest'anno; quando sono arrivata allo
stand di Exòrma Edizioni, seconda tappa del Salone dell'Oca, ho
chiacchierato un po' di libri con gli editori (e con la standista che
mi ha riconosciuta, ciao standista di cui non ricordo il nome perché
sono una persona orribile, sei stata carinissima) e tra una cosa e
l'altra, assai carinamente me l'hanno regalato. Me ne aveva parlato
benissimo Simona di Letture Sconclusionate e infatti ero parecchio
curiosa di leggerlo. Rinforzata nella fiducia dall'altrui gradimento,
avevo deciso di non leggerne neanche la trama sul risvolto di
copertina, men che meno recensioni. Preferisco fare così, quando
sono certa che un libro lo voglio proprio leggere, vuoi per l'autore
o perché particolarmente significativo nello sviluppo di un tale
genere. Che poi questa lettura completamente spoglia di aspettative è
esattamente la lettura che si figura l'autore in fase di scrittura,
un atto creativo puro, ancora scevro da quelle meccaniche editoriali
che dovranno posizionare il libro, convincere e catturare il lettore.
È una bel modo di leggere.
Neve, cane, piede, dunque. Non mi ero fatta neanche
mezza idea sulla trama. E la trama è semplice – tutto sommato è
un libriccino di ridotte misure – e mi basterebbero poche parole
per riassumerla; “Un anziano eremita vive isolato sulle Alpi e parla con un cane”. Ma poi dovrei aggiungere quello che fa
l'eremita sulla montagna. Innanzitutto si adegua alle asprezze della
vita che ha scelto, che non è “in contatto con la natura” ma
(quasi) “secondo natura”. Caccia, concia, raccoglie legna. E uno
potrebbe dirsi “sì, ok, quindi oltre che del suo eremitaggio,
parla della sua vita passata, con lui che riguarda indietro alla sua
giovinezza e...” ma no, della vita passata di Adelmo – così si
chiama, Adelmo Farandola – si sa poco e nulla. Adelmo non ci pensa, e
quindi noi non leggiamo. Da qualcosa, dopotutto, sarà scappato, e da
qualcosa si starà nascondendo. Vai a sapere. Adelmo non è un
filosofo con la testa piena di ricordi e ragionamenti. Non è neanche
il narratore, perché se fosse lui a narrare chissà che casino
capire.
Adelmo vive isolato in questo casolare. Scende in paese
poche volte all'anno per fare provviste, soprattutto in vista
dell'inverno. A volte un guardiacaccia gli rivolge la parola. A un
certo punto incontra un cane, al quale la sua mente contorta e ormai
logorata affibbia una voce. La storia di Adelmo è tutta lì.
Mi viene da dire che questo libro mi è capitato a
fagiolo. Ci penso parecchio, negli ultimi tempi, all'eremitaggio,
alla solitudine dell'individuo incastrato nella società, a tutti i
pezzi di noi che deleghiamo in usufrutto a una comunicazione continua
e ininterrotta col mondo esterno. Penso all'uomo che non vuole stare
da solo, e sento che qualcosa non va.
Non c'è molto altro da aggiungere; che dire? Che lo
stile è efficace, che i dialoghi interiori-esteriori col cane
funzionano, che il romanzo è un tour guidato nella testa di un uomo
che sta perdendo il contatto con la realtà dopo aver perso quello
col mondo? Sì, ecco. Esatto.