Resta con me di Elizabeth Strout

Nell'ultimo periodo ho ricominciato a leggere parecchio, anche se non ai livelli dei tempi che furono, quando i social network erano ancora in bozzo e pure la mia vita sociale non è che fosse 'sto granché. Mi ci vogliono comunque millenni per finire un libro, perché ne ho sempre diversi in lettura, e continuo a passare dall'uno all'altro come se non avessi proprio intenzione di arrivarne alla fine. Per dire, bello L'isola di Arturo di Elsa Morante, ma mettiamolo da parte un attimo per iniziare Noi marziani di Philip K. Dick, e poi iniziamo pure L'annusatrice di libri di Desi Icardi che alla Fazi ci tengono, e poi passiamo ancora in biblioteca che non si sa mai quello che ci si può trovare – un sacco di meraviglie, accidenti – e magari andiamo avanti con... beh, mi sono spiegata, credo. Inizio troppi libri per volta. Una condanna.
E ieri mi è girato, visto che quanto stavo leggendo ancora non mi bastava, di iniziare Resta con me di Elizabeth Strout, appena uscito per Fazi (belli loro) nella traduzione di Silvia Castoldi. C'è da dire che è già un miracolo che io abbia resistito così a lungo in presenza di un romanzo della Strout senza leggerlo, dopo l'esperienza emotivamente devastante di Mi chiamo Lucy Barton, - Olive Kitteridge, per quanto sia il magico esordio che ha portato l'autrice a vincere il Pulitzer, proprio non mi aveva presa.
Resta con me l'ho divorato. Quella lettura forsennata che a tratti ti fa saltare delle righe solo per tornare indietro a recuperarle, anche se non c'è il minimo intento di creare suspense, anzi; pare quasi che Elizabeth Strout abbia voluto ripulire la trama da tutti i mezzi con cui un abile narratore aizza dubbi e aspettative nel lettore, come se il suo intento fosse un racconto calmo e pacato. Resta con me dà voce a quello strano dualismo di pace e intensità proprio delle emozioni contrastanti che si avviano verso l'esplosione.
Si è capito qualcosa del libro, finora? Temo di no.
Dunque, siamo in un paesino inculcato nel Maine, 1959. Il reverendo Tyler Caskey è rimasto vedovo l'anno precedente, con due figlie piccolissime di cui non sa bene che fare, - non che il suo amore sia in dubbio, ma non è che basti quello a sapere come muoversi. Katherine ha cinque anni ed è una bambina difficile; la più piccola, Jeannie, vive con la nonna, una figura che mette un po' i brividi, una presenza costante e castrante nella vita di Tyler.
Tyler non avrebbe di per sé problemi con Katherine; è la comunità ad averne. Sono problemi piccoli e vuoti, dietro ai quali si nascondono malintesi spiccioli, eppure vai ad ammucchiare tutto e viene fuori una crisi. La comunità – la scuola, il catechismo, la cittadina tutta – pensano che Tyler non stia facendo un buon lavoro con la piccola, e sarà quindi in grado di portare avanti nel migliore dei modi la sua missione di pastore delle anime? E che cosa diceva di lui la moglie che si era scelto – una parte del romanzo è dedicata alla coppia formata da Lauren e Tyler, al loro breve idillio – e come interpretare quel tono così distante, come si distinguono spocchia e compassione?
Resta con me riunisce le diverse storie di una piccola comunità, le intreccia con le vite di una famiglia un po' alla deriva, mostra le connessioni che in un modo o nell'altro legano tante persone così diverse tra loro. Ci sono anche un sacco di filosofia, teologia, questioni morali. Colpe e colpevolezze, perdono e quant'altro.
Comprensione, forse, alla fine.
Ci sono scrittori sotto il cui sguardo non vorrei mai stare; che vedrebbero troppo a fondo, trascinerebbero allo scoperto pezzi di me che nemmeno io vorrei vedere mai – ne abbiamo tutti, di pezzi così. Lo sguardo della Strout mi è sembrato così compassionevole, pieno di accettazione per la natura umana. Non rassegnazione, beninteso, che lì non c'è luce; Resta con me è un libro pieno della luce piena del mattino.
(credo che questo sia uno di quei casi in cui il mio apprezzamento per una data lettura si fa evidente in virtù della mia incapacità di parlarne in termini comprensibili).