
E ieri mi è girato, visto che quanto stavo leggendo
ancora non mi bastava, di iniziare Resta con me di Elizabeth
Strout, appena uscito per Fazi (belli loro) nella traduzione di
Silvia Castoldi. C'è da dire che è già un miracolo che io abbia
resistito così a lungo in presenza di un romanzo della Strout senza
leggerlo, dopo l'esperienza emotivamente devastante di Mi chiamo Lucy Barton, - Olive Kitteridge, per quanto sia il magico
esordio che ha portato l'autrice a vincere il Pulitzer, proprio non
mi aveva presa.
Resta con me l'ho divorato. Quella lettura
forsennata che a tratti ti fa saltare delle righe solo per tornare
indietro a recuperarle, anche se non c'è il minimo intento di creare
suspense, anzi; pare quasi che Elizabeth Strout abbia voluto ripulire
la trama da tutti i mezzi con cui un abile narratore aizza dubbi e
aspettative nel lettore, come se il suo intento fosse un racconto
calmo e pacato. Resta con me dà voce a quello strano dualismo
di pace e intensità proprio delle emozioni contrastanti che si
avviano verso l'esplosione.
Si è capito qualcosa del libro, finora? Temo di no.
Dunque, siamo in un paesino inculcato nel Maine, 1959.
Il reverendo Tyler Caskey è rimasto vedovo l'anno precedente, con
due figlie piccolissime di cui non sa bene che fare, - non che il suo
amore sia in dubbio, ma non è che basti quello a sapere come
muoversi. Katherine ha cinque anni ed è una bambina difficile; la
più piccola, Jeannie, vive con la nonna, una figura che mette un po'
i brividi, una presenza costante e castrante nella vita di Tyler.
Tyler non avrebbe di per sé problemi con Katherine; è
la comunità ad averne. Sono problemi piccoli e vuoti, dietro ai
quali si nascondono malintesi spiccioli, eppure vai ad ammucchiare
tutto e viene fuori una crisi. La comunità – la scuola, il
catechismo, la cittadina tutta – pensano che Tyler non stia facendo
un buon lavoro con la piccola, e sarà quindi in grado di portare
avanti nel migliore dei modi la sua missione di pastore delle anime?
E che cosa diceva di lui la moglie che si era scelto – una parte
del romanzo è dedicata alla coppia formata da Lauren e Tyler, al
loro breve idillio – e come interpretare quel tono così distante,
come si distinguono spocchia e compassione?
Resta con me riunisce le diverse storie di una
piccola comunità, le intreccia con le vite di una famiglia un po'
alla deriva, mostra le connessioni che in un modo o nell'altro legano
tante persone così diverse tra loro. Ci sono anche un sacco di
filosofia, teologia, questioni morali. Colpe e colpevolezze, perdono
e quant'altro.
Comprensione, forse, alla fine.
Ci sono scrittori sotto il cui sguardo non vorrei mai
stare; che vedrebbero troppo a fondo, trascinerebbero allo scoperto
pezzi di me che nemmeno io vorrei vedere mai – ne abbiamo tutti, di
pezzi così. Lo sguardo della Strout mi è sembrato così
compassionevole, pieno di accettazione per la natura umana. Non
rassegnazione, beninteso, che lì non c'è luce; Resta con me
è un libro pieno della luce piena del mattino.
(credo che questo sia uno di quei casi in cui il mio
apprezzamento per una data lettura si fa evidente in virtù della mia
incapacità di parlarne in termini comprensibili).