Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway e quello che non mi aspettavo di trovarci


Qualche settimana fa ho letto Il vecchio e il mare di Hemingway, ed è stata una strana lettura. Per almeno metà libro, non riuscivo a capire se mi stesse piacendo o meno. Leggere classici di questa portata è strano, bisogna cercare di vedere attraverso la cortina di aspettative, recensioni e altrui letture, e non sempre ci si riesce. E Il vecchio e il mare è stato il mio primo incontro con Hemingway, dopo un approccio fallitissimo con Fiesta, anni e anni fa. Solo dopo un certo punto, pure avanzato, la cortina è calata quasi spontaneamente e sono riuscita davvero a godermi la lettura. Anche se non si tratta di una lettura “godibile” in senso stretto, ma da lettori sono certa che capiate quello che intendo, no?
Che altro dire di siffatto titolo? Che l'amico Ernest l'ha scritto nel 1951, è stato pubblicato su Life l'anno successivo, che ha vinto il Pulitzer nel 1953 e ha ampiamente contribuito a guadagnarli il Nobel per la letteratura nel 1954.
Per il resto, la trama è davvero semplice. Intanto premetto che, una volta tanto, parlerò esplicitamente del finale, quindi chi non volesse saperne nulla è avvisato. E lo so che stiamo parlando di uno dei più grandi classici della letteratura americana, e perfino io sapevo come sarebbe finito, – e io tendo a evitare il più possibile di sapere alcunché di un romanzo prima di leggerlo – ma quello che ho trovato è stato così diverso da quello che mi aspettavo di trovare. Mi aspettavo una tagliola, ho trovato un cuscino di piume.
La trama: un vecchio pescatore cubano, Santiago, esce in mare. È un pessimo periodo per lui, non prende niente di significativo da settimane, è stanco e acciaccato, il suo aiutante, il giovane Manolin, è stato costretto ad abbandonarlo dai genitori, per unirsi a pescatori più fortunati. Ma il rapporto tra i due è saldo, come se fossero nonno e nipote e condividessero lo stesso sangue, e Manolin si prende cura del vecchio negli atti e nel rispetto con cui li compie, – il che, credo, è ancora più importante. E Santiago dunque esce in mare, da solo, e si spinge al largo, e dopo un'estenuante battaglia contro un marlin, la cui vendita gli avrebbe permesso di vivere decentemente per tutto l'inverno, si vede sottrarre la preda dai pescecani, e alla fine tutto ciò che riesce a riportare a riva è la propria vita. La pesca l'ha sfiancato, la lotta e la fuga dagli squali ha danneggiato lui e la sua imbarcazione. Crolla sul proprio letto duro, nella sua umilissima catapecchia.
Ed è così che Manolin lo trova, per poi correre ad avvisare la comunità, e poi si prende cura del vecchio e gli dice che tornerà a pescare con lui, in barba a quello che vogliono i genitori. E, con mia somma sorpresa, Santiago accetta. Accoglie l'affetto del ragazzo e degli altri pescatori, il loro aiuto, e ricambia con una gratitudine che non ha nulla di modesto, di vergognoso. È questo che rende il finale di Il vecchio e il mare così luminoso, caldo, pieno di speranza. Sì, è un vecchio con l'imbarcazione mezza divelta, che ha combattuto per giorni e giorni per perdere tutto quello che aveva faticosamente guadagnato a colpi di sangue e sudore. Ma tutto andrà bene, perché il suo approdo è sicuro, e lui non si chiude, né rifiuta, né si intestardisce. Se Santiago fosse stato orgoglioso, sarebbe stato un finale tragico. Ma non lo è. È buono, e si aspetta che lo siano anche gli altri. E questa cosa mi ha un po' commossa.
Forse mi aspettavo una visione della vita assai più cinica e negativa da parte di Hemingway per via del suo suicidio, ma quando scriveva Il vecchio e il mare mancavano ancora dieci anni. Certo, non che il romanzo racconti di un mondo perfetto, tutt'altro. Santiago è abile, coscienzioso, conosce a fondo il mare e lo rispetta, eppure la sfortuna lo perseguita, e se non è la sfortuna sono gli squali, coi loro occhi vuoti e inespressivi, la loro cieca avidità. Ma Santiago vive, e nonostante la sofferenza sia enorme, non se ne lascia divorare. Santiago non è la sua sconfitta.
Ecco. È un romanzo breve che ho vissuto come qualcosa di grande.