Guasti
di Giorgia Tribuiani – Voland, 2018
Ho
capito subito che sarebbe stato difficile parlare di questo libro, a
lettura appena iniziata. Immediatamente colpisce la schiettezza delle
emozioni della protagonista, i dialoghi che non vengono
contrassegnati da nessuna punteggiatura particolare, così come i
flussi di pensiero improvvisi in un romanzo che resta narrato in
terza persona. Il mondo ondeggia sotto i piedi di Giada, così la
storia procede incerta, a balzi, scossone emotivo dopo scossone
emotivo. Non che si tratti di una drammaticità forzata e
incomprenibile: Giada, la protagonista, ha perso il compagno di una
vita, l'uomo con cui ha passato un sacco di tempo. Un giorno ha avuto
un incidente e, puff, da un momento all'altro si è ritrovata sola.
Il
suo sconvolgimento pare anche più comprensibile se pensiamo a due
fattori: il primo è il fatto che, prima di morire, il suo compagno
avesse donato il suo corpo a un artista che forma sculture partendo
da corpi umani, dunque Giada sa che il corpo del compagno è stato
plastinato ed esposto, e questo le rende difficile lasciarlo
andare, - anche per le mancanze di rispetto dell'artista verso la
“tela” che è il suo compagno. In secondo luogo, il compagno di
Giada era un fotografo famoso, di indubbio e celebratissimo successo.
Giada è rimasta impigliata nella sua ombra e non sa come uscirne, né
come definirsi. È perduta, completamente perduta, e mi è apparsa
spietata e patetica insieme nei suoi tentativi di ritrovare un
appiglio al di fuori del defunto.
Guasti
è un romanzo breve, in cui una donna resa folle dal dolore torna a
far visita al morto per tutta la durata della mostra – durerà un
mese – e nel frattempo farà un paio di incontri significativi,
perché la sua vicenda non può lasciare indifferenti. È scritto con
voce vibrante, con toni incoerenti, a volte senti gli ansiti di
Giada, la sua voce farsi concitata. È un libro profondamente
emotivo, di un'onestà cruda; Giorgia Tribuiani ha scoperchiato
l'involucro protettivo della pelle del romanzo per mostrare quello
che c'è dentro, al livello più profondo della narrazione. I
bisogni, le paure, le vergogne, gli istinti.
La
logica viene dopo.
Il
Signor Bovary di Paolo Zardi - Intermezzi Editore, 2014
Questo
libriccino e io ci siamo incontrati al Salone del Libro, durante il
Salone dell'Oca; quando sono arrivata da Intermezzi, gioiosamente
traghettata dai consigli di Neo., Manuele di Intermezzi ha iniziato a chiacchierare di Zardi e di Cristò con un entusiasmo
potentissimo, contagioso. Mi ha spedito da Terra rossa, ma prima
ancora mi ha omaggiata del Signor
Bovary, con la lettura del quale ho incontrato un unico
problema: io non ho mai letto Madame Bovary.
(fine
delle critiche, il suddetto volume mi ha tenuto compagnia per
un'intensa mezzora mentre scendevo in treno verso casa di mia madre).
Il
Signor Bovary racconta di una vicenda così squallida che fa strano
riconoscerla come banale, stereotipica. Il Signor Bovary è un uomo
sulle soglie della mezza età, un borghese che più borghese non si
può; un ottimo lavoro con un ottimo stipendio, una bellissima
moglie, una figlia piccola. C'è quel cortocircuito che gli fa
decidere di iniziare una relazione con Orietta, una donna delle
pulizie più giovane, un po' sovrappeso, non particolarmente
affascinante. È una relazione che si basa sul rapporto stesso, punta
sul bisogno della via di fuga da una vita già incasellata. Una
relazione che si interrompe in maniera brusca, lasciando il
protagonista in condizioni a dir poco fecali, - ma non sto a dire
oltre, che già è più un racconto lungo che un romanzo breve, manca
solo che mi metta a descrivere il finale.
Il
Signor Bovary è crudo, cinico e commovente. Il protagonista ce la
mette tutta per cercarsela, è malato di quell'insoddisfazione che ti
fa fare cose stupide e verrebbe un po' da rifargli la pettinatura a
forza di coppini. Ma non è malvagio, i suoi sentimenti vengono
dispiegati di fronte al lettore in modo che possa accogliere la sua
debolezza e perdonarlo per le stronzate.
Come
dire? La tragedia umana.