Marguerite di Sandra Petrignani

Dunque, Marguerite di Sandra Petrignani, edito da Neri Pozza nel 2014. Nella copia che ho tenuto con religiosa cura, in quanto autografata. Era presente all'ultimo giorno di quella rassegna letteraria del mese scorso, quella in cui ho dialogato con Stassi e Caponetti. La Petrignani sono andata ad ascoltarla col temporale che incombeva, e con una processione religiosa che, bel bella, ha interrotto l'autrice a metà di una risposta. Cinque minuti buoni in cui un centinaio e qualcosa di fedeli hanno lentamente accerchiato, e poi oltrepassato, la piccola piazza in cui si stava tenendo l'incontro. Lenti e salmodianti, e del tutto incuranti del fastidio che portavano insieme alla croce.
Quelle piccole cose che ti rendono la Chiesa un'entità sommamente sgradita.
Ammetto di non ricordare molto, dell'incontro. Avevo il cervello svolazzante per l'insonnia da studio, e la Petrignani ha detto tanto, troppo perché riuscissi a stamparmelo in testa decentemente. Ha raccontato di Marguerite, ovviamente, del suo rapporto con la madre, col fratello scapestrato e preferito Pierre, dell'Indocina in cui è nata da genitori francesi, del suo rapporto col Partito, della sua espulsione. Del suo rapporto con gli uomini, con l'alcol, con la cucina, con Yann, che è appena morto, cosa che ho scoperto tramite il profilo Twitter della Petrignani, e un po' mi ha colpita. Chi è stato in un libro non dovrebbe morire, sovverte l'ordine naturale delle cose.
Dunque, Marguerite.
Io Marguerite Duras la conoscevo soltanto di nome. Sapevo che era stata una scrittrice intellettuale francese, attiva intorno agli anni '70. Non conoscevo i titoli dei suoi libri, avevo sentito parlare del film Hiroshima mon amour, ma non pensavo fosse suo.
Ora so tanto di lei, abbastanza per volerla conoscere più direttamente. Non so da che libro inizierà questa conoscenza. L'amante, forse. Devo ancora decidere.
E dunque, Marguerite. O Duras, come ha iniziato a chiamarsi a un certo punto della sua vita, come se volesse riferirsi alla sua identità pubblica come a un qualcosa staccato da sé. È nata in nel 1914, a Saigon, Indocina, da una madre distante, Marie, che amava con slanci intensi e violenti, e dal padre Henri, che morirà nel 1921, in Francia. Ha due fratelli maggiori, Pierre e Paulo. Pierre è quello più instabile, egoista, incosciente, eppure Marie lo preferirà sempre agli altri, e Marguerite questo non riuscirà mai a dimenticarlo.
Si trasferiranno in Francia, grazie alla ricchezza che Marie è riuscita sapientemente ad accumulare. E Marguerite vi rimarrà per sempre, diventerà prima una scrittrice sconosciuta, con un limitato zoccolo duro di fan, poi diventerà la celebre Duras.
La sua storia in questo libro è narrata a sprazzi, discontinua, ma non l'ho sentita spezzarsi fastidiosamente. Era come rimanere cosciente del terreno sotto i propri piedi, quando se ne salta un tratto. Discussioni con le sue amiche attrici, con Jarlot, con gli editori. Il suo 'Me ne frego di Beauvoir' in faccia a Sartre.
Marguerite è una personalità instabile, difficile, interessante. Ferisce con le parole, annichilisce tra le parole degli altri, eppure sembra avere questo nocciolo metallico dentro che le impedisce di cedere. Mille convinzioni, un estremismo esasperato nelle sue prese di posizione.
E sì, è un bel libro da leggere, oltre ad essere 'un libro interessante'. Non è solo il cosa, è anche il come.
Su Anobii ho letto diverse critiche al modo di raccontare della Petrignani. È vero che Marguerite non sembra del tutto un romanzo, ma non lo si può neanche definire una biografia. È qualcosa nel mezzo, la narrazione di una vita dagli occhi innamorati di una lettrice. O qualcosa del genere.
Perciò sì, beh, certo che lo consiglio. E che diamine.