Cattedrale
di Raymond Carver – traduzione di Riccardo Duranti – Einaudi,
2011
Quest'anno,
come ogni anno, sono stata al Lucca Comics. Ci sono rimasta per tre
giorni e due notti, e per non appesantire il già immane bagaglio, mi
sono portata dietro un libro solo, relativamente piccolo, non ancora
iniziato. Per somma sfortuna, ho notato alla seconda pagina che non
mi stava prendendo; non che il libro ne fosse colpevole, probabile
che non fosse semplicemente il momento giusto per leggerlo. Mi sono
trovata un po' in difficoltà, ecco, che io di qualcosa da leggere ho
sempre bisogno. Poi un mio amico si è ricordato che doveva ancora
darmi il regalo di compleanno in ritardo, ed è arrivato con un
involto fatto dai suoi pantaloncini a mo' di pacchetto. Com'è ovvio
che sia, c'era Cattedrale di Carver. Graditissimo, invero.
Graditissimo.
Anche
se sono racconti, e io i racconti di norma non è che li adori, ecco.
Non mi danno abbastanza tempo per affezionarmi ai personaggi, per
conoscerli a fondo, per apprezzare la loro evoluzione durante la
storia. Il racconto necessita intuizione, spesso ti spiega alla fine
cos'è successo all'inizio, e a me questa cosa non è che affascini
particolarmente.
Ma
Cattedrale è Cattedrale.
Che
dire? Persone normali si scontrano con eventi normali, ma dolorosi.
Quelle ferite che incontreremo tutti, una volta o l'altra, o che
quantomeno sapremo essere state subite da un amico o da un parente.
Le cose cui ci prepariamo, che ci fanno chiudere gli occhi e pensare
a un momento più felice. I momenti “che passeranno”. Cattedrale
è fatta un po' di questi momenti e un po' di rifiuti, imbarazzi,
difficoltà. Stridore, nel caso del racconto che dà il nome alla
raccolta, e che non è stato il mio preferito. Quello che ho
preferito, che mi è rimasto più impresso e che mi ha fatto scendere
un paio di lacrime mentre attorno a me, a Lucca, i miei amici e
compagni d'appartamento chiacchieravano allegramente, è stato il
racconto in cui un bambino viene investito il giorno del suo ottavo
compleanno, e i genitori si trovano a vegliarlo increduli nella sua
stanzetta d'ospedale, chiedendosi perché non si svegli. E nel
frattempo il pasticcere cui era stata commissionata la torta –
ovviamente non ritirata – li tartassa di chiamate. Quello è stato
il racconto che mi ha fatto più male; ma non è neanche per questo
che mi è rimasto impresso. Forse è il finale, non lo so.
(Comunque
Cattedrale è uno di quei libri che vanno letti. Grazie mille,
ancora, all'amico che me l'ha regalato. Grazie, Fil. Che poi è lo
stesso amico che mi aveva passato La versione di Barney, ditemi voi
se non c'azzecca.)
Le
solite sospette di John Niven – traduzione di Marco Rossari –
Einaudi, 2016
John
Niven è uno degli autori jolly quando devo fare un regalo a mio
padre; infatti gli ho regalato pure Maschio bianco etero, e ha
graditissimo pure quello. Niven è divertente, paradossale, talvolta
sorprendentemente profondo. Specie in A volte ritorno, quello rimane
il mio preferito. Invero ho trovato Le solite sospette un po'
sottotono rispetto a quanto mi ha abituata, ma rimane una lettura
estremamente piacevole, divertente, leggera, intelligente e
quant'altro. Cioè, è Niven. Dannato scozzese.
La
vicenda è presto detta e non è particolarmente originale. Una donna
di sessant'anni rimane improvvisamente vedova e squattrinata, l'amica
di una vita squattrinata la era sempre stata, altre due amiche hanno
un discreto bisogno di soldi – e in un meraviglioso caso, di
adrenalina. Ecco lì che si organizzano per rapinare la banca che ha
mandato sul lastrico la prima tizia, Susan. E da lì, rocambolesche
avventure, poliziotti improbabili con abitudini alimentari
terrificanti, incontri, viaggi in macchina; la fuga. La riscossa, in
un certo senso.
Se
dovessi trovare un difetto al libro, ecco, indicherei la
protagonista, Susan, la vedova. Trovo che il suo passaggio da
rispettabile signora di una certa età e IMMA SHOOT U MOTHERFUCKER
sia stato un tantinello immediato e per nulla combattuto. Non entrerò
nei particolari, e non dico affatto che sia la cosa in sé a non
piacermi, anzi, la reazione è più che comprensibile. È il “come”
a non avermi convinta. Peraltro ci sono già due personaggi
estremamente IMMA SHOOT U et, Julie e Ethel, è necessario che pure
Susan ci si metta così facilmente? Ma sono cose mie, nulla che cozzi
con la trama, ecco.
Me
lo sono sciroppato più o meno tutto ieri, con enorme soddisfazione.
Lo consiglio un sacco, senza ombra di dubbio. Ma ammetto che di Niven
ho preferito sia A volte ritorno che Maschio bianco etero, quindi
magari iniziate da quelli. A prescindere, Niven è spassosissimo.