Survival Game

In origine, avevo chiamato questa storiella a capitoli 'Survival Blogger'. Poi, mentre mi lavavo i denti, sono rimasta folgorata dalla consapevolezza che, domineddio, esiste già un progetto con quel nome, questo: Survival Blog. Quindi l'ho giustamente cambiato.
(Farei anche notare che DANNAZIONE Seth Rogen mi ha rubato l'idea. Tch.)
Sarebbe presuntuoso da parte mia augurarvi 'buona lettura', quindi mi chiudo in un imbarazzato silenzio e via.

Capitolo uno
Cheshire Cat

''Oggi ho letto Orgoglio e Pregiudizio. Per quanto possa suonare assurdo, non avevo mai letto nulla di Jane Austen. Non che non me l'avessero mai consigliata, anzi, per anni mi è stata praticamente lanciata in faccia la sua intera bibliografia, eppure non mi ero mai decisa. Aspettavo il momento giusto, attendevo pazientemente il giorno in cui il libro mi avrebbe chiamata a sé di sua spontanea volontà. E ieri notte, mentre passeggiavo lungo gli scaffali della biblioteca per rilassarmi un po', ho sentito che quel momento tanto atteso era finalmente arrivato. Mi sono sentita chiamare da Orgoglio e Pregiudizio, ho sentito come la voce di Jane, fatta di inchiostro secco e fruscii di pagine, che chiamava il mio nome. Mi sono lasciata guidare da quella voce, ho allungato appena le dita verso quella copertina rigida, polverosa, con gli intarsi d'argento. Ed è stato amore a prima pagina.''

Cat s'interruppe e tese l'orecchio. Senza il rumore delle sue dita sulla tastiera,  nella saletta riservata ai bibliotecari era calato un silenzio così totale da sembrare finto. Lasciò scivolare lentamente la mano a lato del computer, accarezzando appena con lo sguardo quanto aveva appena scritto, e strinse con cautela il manico del coltello che aveva preso a portare sempre con sé. In uno slancio di nostalgico affetto verso la saga di Harry Potter, l'aveva chiamato Patronum. Quella lama lunga e seghettata la faceva sentire al sicuro, come un vero alleato pronto a guardarle le spalle, nonostante non fosse che un volgare coltellaccio da macellaio. E c'era da dire che in un paio di occasioni si era rivelato più utile di quanto non avesse osato sperare.
Attese qualche secondo, con gli occhi chiusi, trattenendo il respiro per poter scandagliare al meglio la biblioteca con l'udito. Le sembrava di poter sentire il fruscio di ogni singola foglia mossa dal vento gelido di inizio autunno. Cinque secondi. Dieci secondi. Venti secondi.
Si lasciò espirare e allontanò la mano da Patronum, riportando le dita a ticchettare sulla tastiera.

''Non posso negare di aver adorato la lettura oltre ogni plausibile aspettativa. Non ho potuto mangiare né dormire fino a lettura ultimata. La scrittura di Jane è sicuramente al di sopra di ogni critica, il modo in cui presenta e tratta i suoi personaggi è semplicemente impeccabile. Eppure c'è una nota che stona, in tutto il libro. E questa nota è il tanto decantato Mr. Darcy. Pomposo, viziato riccastro. Non capisco  tutte quelle janeites che si ostinano a innalzarlo a massimo esempio di meraviglia maschile, se mi capitasse di dover passare del tempo con un tipo così, uno di noi probabilmente non sopravviverebbe all'incontro.''

Si passò una mano tra i capelli. Le faceva strano sentirli così corti, fino a poche settimane prima non li aveva mai tagliati al di sopra delle spalle. Le era sempre piaciuto sentire il loro peso sul collo, il loro familiare formicolio sulla pelle. Le mancava sentirseli gettare in faccia dal vento, anche se doveva ammettere che era comodo non dover più districare quel nido biondastro riccioluto che le rimaneva in testa dopo essere stata in bici. D'altronde, i capelli lunghi si erano dimostrati un insopportabile impiccio nei combattimenti ravvicinati. Solo un paio di settimane prima aveva rischiato di farsi tagliare la gola da un tizio sbucato dal nulla che le aveva torto la testa all'indietro tirandola per la coda.  Non aveva avuto il tempo né di gridare né di fuggire. Meno male che aveva Patronum con sé. Quella sera stessa aveva detto addio alla sua bella chioma fluente.

''In compenso Lizzie è adorabile e ammetto di aver trovato adorabili anche i suoi criticatissimi genitori, Mr e Mrs Bennet, due personaggi secondari meravigliosi. Ogni loro apparizione, ogni loro scambio di vedute rende la scena più fluida e leggera e libera una risatina che pare di poter condividere con la stessa Jane.''

Il rumore di una porta sbattuta la fece sussultare.
Senza più esitare balzò in piedi, facendo attenzione a non grattare con la sedia sul pavimento. Con cautela spense il monitor, che con la sua fredda luce avrebbe potuto rivelare la sua posizione. Afferrò Patronum e girò attorno alla scrivania, avanzando lentamente verso la porta. Con le sue tapparelle richiudibili la saletta dei bibliotecari era ottima per nascondersi, ma essendo al terzo piano era anche pessima per scappare. Cat teneva sempre pronta una scaletta di corda per calarsi nel parcheggio sottostante, ma avrebbe preferito non doverla mai usare. Anzi, avrebbe preferito non doversi mai avventurare 'fuori' senza preavviso. Meglio scoprire chi era riuscito a entrare e come, prima di prendere decisioni avventate.
Respirando piano, a bocca aperta, avanzò lentamente verso la porta. Aveva applicato dei cuscinetti di gommapiuma sotto le scarpe perché non facessero rumore. Erano anfibi con la punta metallica, pesanti e scomodi per correre, ma perfetti nel frantumare rotule. Un'arma aggiuntiva, si era detta per convincersi a sceglierli in mezzo al caos di scarpe gettate sul pavimento del centro commerciale. Non che fosse rimasto molto tra cui scegliere. Era fortunata ad avere piedi così piccoli.
Mentre sporgeva il viso fuori dalla porta, affacciandosi sul buio completo del corridoio, ripensò alla recensione che stava scrivendo. Alle sorelle di Lizzie. A Mr. Collins. Mise appena il piede oltre la porta, sporse il busto, scivolò in avanti con l'altro piede. Ora era fuori, allo scoperto. In corridoio. Rafforzò la presa su Patronum e serrò le palpebre, cercando di zittire i battiti furiosi del proprio cuore. Cominciava a sentire l'ormai familiare mormorio dell'adrenalina che iniziava a strisciarle nelle vene. Sapeva che si sarebbe presto tramutata in un ruggito.
La biblioteca era piombata nella solita tombale immobilità, al punto che Cat, avanzando lungo il corridoio con una mano rasente alla parete, si domandò se non si fosse immaginata il rumore. O se non lo avesse soltanto interpretato nella maniera sbagliata. Poteva essere caduto un libro da uno scaffale molto alto. Una finestra poteva avere ceduto al furore del vento, un cane randagio poteva aver trovato il modo di infiltrarsi nella biblioteca, forse sfruttando l'uscita di emergenza che si era premurata di lasciarsi nella sala di lettura per ragazzi, dove aveva buttato giù un pezzo di muro piccolo abbastanza perché solo dei bambini o delle ragazze molto esili potessero passarci, per poi ricoprirlo con alte pile di libri. Le piaceva pensare a quel passaggio come alla buca in cui cade Alice seguendo il Bianconiglio. Per amor di citazione, davanti a tutte le pile di libri aveva posato in bella vista Alice nel Paese delle Meraviglie.
Il corridoio era finito, si trovava all'inizio delle scale. Una rampa di tredici gradini, poi due di dieci e un'altra di tredici e sarebbe arrivata al secondo piano. Lo stesso valeva per arrivare al primo, poi al piano terra. E lì avrebbe potuto scoprire se si fosse trattato soltanto di un cane randagio. Sperava solo che il rumore non avesse attirato troppa attenzione al di fuori della biblioteca.
Strinse le labbra e cominciò a scendere. La gommapiuma sotto le suole attutiva i suoi passi, ma rischiava di farla scivolare. Una mano stretta su Patronum, l'altra ben aggrappata al corrimano. Contava i gradini, ripetendo le cifre nella propria mente con intensità maniacale.
Rischiò di lasciarsi sfuggire un grido, quando udì un secondo tonfo, seguito da un'imprecazione e poi da un'altra. Due persone. Almeno due persone, si corresse. L'ottimismo uccide.
Avevano acceso la luce al piano terra e ora gli scalini erano parzialmente illuminati. Riusciva a vedere dove metteva i piedi, cosa che non la rassicurava affatto, visto che stava a significare che sarebbe stata visibile, nonostante i vestiti scuri.
Si immobilizzò all'imbocco della seconda rampa, imponendosi di pensare lucidamente. Risalire e calarsi giù dalla finestra utilizzando la scala di corda o scendere fino al piano terra e tentare di uscire dal passaggio nella sala ragazzi? Era un bel dilemma. La finestra al terzo piano dava su uno spiazzo perfettamente visibile dalla strada e dall'interno della biblioteca, mentre il passaggio sbucava in un angusto vicolo in cui non passava mai nessuno, nemmeno ai vecchi tempi.
I vecchi tempi. Non erano passati che pochi mesi, eppure parevano secoli. Ai 'vecchi tempi' avrebbe fatto scrocchiare rumorosamente le dita fino a trovare una risposta. Avrebbe sbuffato, passeggiato avanti e indietro, si sarebbe avvolta una ciocca di capelli attorno all'indice. Avrebbe sfogato il nervosismo in mille piccoli, stupidi modi. Ora riusciva appena a respirare, incapace di muovere un passo.
Gli invasori, intanto, chiacchieravano tranquilli. Dovevano sentirsi al sicuro, per fare tanto chiasso. Non avevano nemmeno controllato il piano terra.
'Idioti'
Cominciò a scendere i gradini, uno alla volta, ma più velocemente di prima. Era più visibile sulle scale e doveva assolutamente raggiungere la sala ragazzi.
La consapevolezza del computer lasciato al terzo piano la colpì come una stilettata e per poco non le sfuggì un'imprecazione. Alzò gli occhi al soffitto, sospirando una bestemmia tra le labbra. Ormai era andata. Addio al suo fido pc, Pantalaimon. Le era stato vicino prima del disastro, le era stato accanto dopo. L'aveva tenuta sana di mente. Ora...
'Fanculo'
Riprese a scendere per le scale, scivolando velocemente scalino dopo scalino. Riusciva a distinguere due voci, una maschile e una femminile. Giovani. Fratello e sorella. O amici. O amanti. In ogni caso, preferiva non avere l'occasione di scoprirlo. Non era mai stata troppo socievole neanche prima, figuriamoci ora che dietro ogni sconosciuto poteva celarsi un potenziale serial-killer. Razza di cui, peraltro, sembravano essere vertiginosamente aumentati gli esemplari.
Raggiunse il piano terra e tese le orecchie. Per raggiungere la sala ragazzi doveva avvicinarsi all'atrio, da dove provenivano le voci. Sembrava che i due sconosciuti stessero scherzando amichevolmente. Forse i primi tempi si sarebbe lasciata irretire dalla solitudine e sarebbe corsa a presentarsi. Ora come ora l'idea non l'aveva neanche sfiorata.
'Pinco-panco e Panco-pinco' pensò, scivolando rasente al muro lungo il corridoio 'Vi conviene non notarmi. Vi conviene davvero non notarmi.'
Mentre nel resto dell'edificio le pareti erano di un neutro color beige, quelle del primo piano erano state dipinte di un arancione sgargiante, punteggiate qua e là da disegni allegri e colorati, raffiguranti bambini di nazionalità diverse che leggevano lo stesso libro, che ballavano attorno al mondo o si stringevano le mani. Una visione che riempiva Cat di inquietudine. Non c'erano più bambini, al mondo.
'Se vi avvicinate vi taglio la gola. Un taglio netto, senza esitare. Non ve l'aspettate, sono in vantaggio. Ho un coltello, voi potreste non avere niente.'
Sapeva che non era vero, probabilmente nessuno osava più uscire di casa senza un'arma. O senza un arsenale nel portabagagli.
'Sono sopravvissuta finora. Da sola.' si disse, la porta della sala ragazzi ormai a pochi metri 'Vorrà pur dire qualcosa. Sono forte. Sono forte, cazzo. Perciò se osate avvicinarvi, se solo osate avvicinarvi...'
Fu questione di un attimo. Uno dei disegni si era staccato dalla parete un paio di giorni prima e lei non l'aveva ancora rimesso a posto. Odiava riordinare, cercava sempre di rimandare il momento delle pulizie. Anche perché, dopotutto, non era rimasto nessuno a criticare il suo caos.
Mise il piede sul disegno – un bambino cinese che gioca a palla con un bambino di colore – e scivolò in avanti, annaspando per qualche secondo, roteando le braccia in aria, nel tentativo disperato di restare in piedi, prima di cadere rovinosamente, sbattendo l'osso sacro sul pavimento.
Certa ormai di essere stata scoperta si lasciò sfuggire un 'Cazzo!' e cercò di rialzarsi il più in fretta possibile, prima che i nuovi arrivati la raggiungessero. Si rimise in piedi borbottando, massaggiandosi il sedere con la mano libera, cercando di rassicurarsi.
'Ok, stai calma, Cat. Calma. Hai un coltello. È tutto a posto. Un coltello è un'arma potente. Ci disossano le mucche. E tu hai un colt...'
Imprecò di nuovo, abbassando il braccio che stringeva Patronum. Non una, ben due pistole puntate dritte contro il suo naso.



Capitolo due
Cacciatrici

Buffy aveva passato la giornata nel bosco, a raccogliere funghi, castagne e qualunque cosa la terra potesse offrirle dopo un temporale. Si sentiva addosso un forte odore di terra umida e foglie morte. L'autunno era arrivato puntuale come ogni anno e il fatto di essere rimasta in vita abbastanza a lungo da poter vedere le foglie spazzate via dal vento, un po' la terrorizzava e un po' la stupiva. Nonostante l'istinto di sopravvivenza seguisse il suo naturale corso, costringendola a uno sforzo vigile e costante, l'idea di andare avanti così ancora per decenni l'atterriva. Quanto ancora sarebbe durata?
Era rientrata in casa con un paio di sacchi pieni, che erano prontamente finiti nel freezer in attesa di tempi peggiori. Aveva trafugato da tempo i freezer dei vicini, in modo da avere più spazio possibile in cui stipare le provviste. Pensava con timore al momento in cui l'elettricità si sarebbe interrotta.
Si era fatta una doccia veloce, aveva sbocconcellato un pezzo di pane – farina mista a segatura, l'aveva letto in un libro sull'occupazione nazista – e si era finalmente piazzata davanti al computer. Quella sera toccava a Cheshire Cat pubblicare una recensione. Non aveva detto a nessuno di che libro avrebbe parlato, ma Buffy sospettava che si trattasse di un classico, visto che le aveva salutate con un 'Mi auguro di risentirvi domani alla solita ora, mie dilette'. Non poteva dirsi una prova incontrovertibile, ma di certo stonava, paragonato al solito 'Io vado a letto, non fatevi ammazzare'.
Alle 19.00 la recensione di Cat non era stata ancora pubblicata. Buffy si era infastidita, ma aveva deciso di non farci troppo caso. Aveva aperto un file word già iniziato e aveva preso a scribacchiare, visto che il giorno dopo sarebbe stato il suo turno. Lei avrebbe parlato di Philip Pullman. Ci voleva, ogni tanto, una fuga dalla realtà. Era un peccato che non lo capisse anche Anita. Lei e il suo continuo parlare di survival horror, splatter, distopici le stavano tirando sceme, a lei e a Cat. Perfino i loro – rari – lettori avevano cominciato a lamentarsene. Un po' di leggerezza ogni tanto, che diamine.
Finito di correggere la sua recensione, Buffy tornò ad aggiornare la pagina del blog. Erano le 19.24 e ancora niente. L'home-page era ancora occupata dalla recensione di Anita – Battle Royale, tanto per distrarsi dal massacro quotidiano – e di Cat ancora nessuna traccia.
Buffy aveva incrociato le braccia al petto, fissando il monitor del computer. Era un mac nuovo di pacca, di quelli che costano una fortuna. Era forse l'oggetto più meraviglioso che fosse riuscita a trafugare dalle case abbandonate dei vicini. Grazie, vicino di casa amante della tecnologia.
Cominciava a temere per Cat. Per rassicurarsi l'un l'altra della propria sopravvivenza avevano preso a incontrarsi online con una certa frequenza e a pubblicare le proprie recensioni a intervalli regolari. Era un appuntamento cui tenevano, l'unico impegno che fosse loro rimasto. Buffy si mordicchiò le labbra. Non aveva mai incontrato Cat, ma le sarebbe spiaciuto saperla morta.
Un leggero tintinnio dalle casse l'avvertì della presenza di Anita su Skype. La contattò immediatamente.

Anita: Ehi.
Buffy: Ehi.
Anita: Credi sia morta? O solo scappata?
Buffy: Sai sempre trovare le parole giuste...
Anita: E' rimasta in città. È pericoloso, lì, c'è ancora troppa gente.

Buffy sospirò, le dita che esitavano, non sapendo dove posarsi sulla tastiera. Anita era una psicopatica brusca e tendente alla violenza, ma aveva ragione, più gente avevi intorno e più eri in pericolo. Era anche vero che nei luoghi isolati nessuno ti avrebbe sentita gridare o implorare aiuto, ma del resto difficilmente qualcuno ti avrebbe prestato soccorso comunque.
Probabilmente non si sarebbero mai incontrate. Se lo avessero saputo prima, forse si sarebbero sforzate di passare insieme almeno una giornata.

Anita: Ci sei? O ti stanno assalendo?
Buffy: Sono viva, grazie tante. Ma sono preoccupata per Cat. Non so come contattarla.
Anita: Possiamo solo aspettare. Magari le si è rotto il computer o è saltata la connessione dalle sue parti.
Buffy: Lo spero.

Rimasero in silenzio a cincischiare per un po'. Buffy continuò ad aggiornare la pagina ogni cinque minuti, poi finalmente si arrese. Salutò Anita e decise che era il caso di distrarsi. Fortunatamente i film da guardare non le mancavano. Grazie, vicino di casa cinefilo.



Capitolo tre
Giù

Aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe successo, nessun nascondiglio poteva durare in eterno. Eppure si ritrovò incapace di reagire. Le venne in mente l'immagine del suo quaderno per gli appunti, abbandonato accanto al computer. Ogni volta che si imbatteva in qualcosa che le pareva potesse tornarle utile, lo ricopiava diligentemente su quel quaderno. Era pieno di consigli, suggerimenti, nozioni bizzarre trovate chissà dove. C'era anche una lista di 'frasi a effetto', accuratamente suddivise a seconda dell'occasione. Ne aveva alcune per quando si fosse trovata braccata, altre per minacciare, un paio per dissimulare il timore della morte. Si era sempre crogiolata nell'idea di essere tra i pochi che si riscoprono spacconi davanti al pericolo, ma di fronte a quei due sconosciuti e alle loro pistole dovette arrendersi di fronte al proprio terrore, che le impediva di spiccicare parola.
  • Butta il coltello.
Il tizio le aveva parlato lentamente, con calma, come se stesse cercando di convincere un cane randagio ad avvicinarsi per poterlo sfamare. Certo, il suo tono le sarebbe suonato molto più rassicurante, se la sua maglietta non fosse stata intrisa di sangue secco.
Con gli occhi incatenati a quelli del ragazzo, mollò la presa su Patronum. Le formicolava la mano da quanto l'aveva tenuto stretto.
  • Brava. Ora calcialo verso di me.
Cat eseguì, premurandosi di lanciarlo abbastanza lontano da lui senza che sembrasse fatto apposta. Se proprio doveva morire, preferiva che fosse una pallottola a finirla.
  • Siediti.
Obbedì, senza aprire bocca. Lanciò un'occhiata alla ragazza, che non aveva ancora parlato. Si limitava a fissarla senza dire nulla, come se quel teatrino di morte e minacce le fosse già venuto a noia. Aveva i capelli lunghi, rossi e ricciuti e Cat si ritrovò a pensare con rimpianto alla sua bella chioma perduta.
  • Molto bene, ora ti spiego le regole. Sono molto semplici, ma fai attenzione perché non le ripeterò. Primo, non parlare se non per rispondere alle mie domande. Secondo, rispondi sinceramente, perché se scopro che hai mentito puoi dire addio alla tua faccia.
Cat annuì, lanciando un'occhiata colma di rimpianto alla sala ragazzi. Così vicina, così vicina...
  • Ci sono altri con te?
Scosse la testa.
  • Nessuno?
Ripeté il gesto.
  • Ti ricordi cosa succede se menti, vero?
  • Posso dire addio alla mia faccia.
  • Perfetto, vedo che ci intendiamo.
Il ragazzo abbassò l'arma, ma Cat notò che la tizia non sembrava minimamente intenzionata a fare lo stesso.
'Pensa positivo. Pensa positivo. Stai ancora respirando, sei ancora in possesso di tutti gli arti. Sono ottime basi di partenza. Pensa positivo.'
Ma ogni pensiero positivo terminava immancabilmente in una pozza di sangue e il rassicurante 'Se avessero voluto uccidermi l'avrebbero già fatto' veniva seguito da 'Mi uccideranno dopo aver scoperto dove tengo le provviste'.
  • Io sono Dante, lei è Morte. Immagino che non servano ulteriori minacce, giusto?
Cat non sapeva se scuotere la testa o annuire, quindi si limitò ad una scrollata di spalle. Lanciò un fugace sguardo di rimpianto a Patronum e riportò gli occhi sul ragazzo, intento a grattarsi un sopracciglio con la punta della pistola. Notò che gliene mancava un pezzo e si domandò quanta idiozia potesse celarsi in un unico cervello.
  • Ok, dicci di te. Come ti chiami?
  • Cat.
  • Cat cosa? Caterina? Cat Woman?
  • Cheshire Cat.
  • Ah. - Dante sorrise appena, rivolto verso Morte – Mi piace Carrol.
  • Mh. - fece Cat. Dubitava che i gusti seppure ottimi del ragazzo le avrebbero garantito la sopravvivenza.
  • Allora, adesso ci mostri dove tieni le provviste e ci racconti come hai fatto a sopravvivere finora. Poi vedremo cosa fare.
Con un sospiro, Cat si alzò in piedi e si spazzolò appena i pantaloni impolverati. Notò che Morte aveva rafforzato la presa sulla pistola quando si era mossa e si ripromise di essere più cauta nei movimenti. Quella tizia sembrava capace di farle esplodere la testa se si fosse azzardata a starnutire. Con un piccolo cenno di avvertimento, si sporse verso l'interruttore e accese le luci in tutta la biblioteca.
  • Primo piano, sezione saggistica. Ci sono degli armadietti in cui vengono tenuti documenti antichi, quelli più fragili, consultabili solo dopo aver fatto richiesta. È lì che tengo le provviste.
  • Andiamo a vedere, vuoi? Oggi non abbiamo ancora mangiato niente.
Cat si sforzò di dissimulare il fastidio che le dava quel finto tono amichevole. Non avrebbe mai pensato che una minaccia implicita potesse essere più irritante di un chiaro 'Ti sparo in testa'.
  • Come mai hai scelto una biblioteca, come rifugio? - domandò il tizio, mentre salivano le scale. Lui le camminava affianco, Morte li seguiva un paio di gradini più in basso, la pistola appena abbassata.
  • I distributori di merendine. All'inizio tutti si sono fiondati verso i supermercati, per via delle riserve di cibo. Nessuno ha pensato ai distributori degli uffici pubblici, ho avuto tutto il tempo di saccheggiarli.
  • Ah.
  • E poi qui non ci sono letti né televisione. È capitato che qualcuno venisse a dare un'occhiata, ma nessuno si è mai fermato per la notte.
  • Capisco.
'E poi ci sono i libri', aggiunse mentalmente Cat. Preferiva tenersi per sé quello che era stato in realtà l'unico motivo che l'aveva spinta a rifugiarsi nella biblioteca pubblica, oltre al fatto che quando era successo tutto il casino si trovava già nelle vicinanze. Soltanto in seguito aveva pensato ai vantaggi aggiuntivi che quella posizione avrebbe potuto portarle. Aveva trascorso i primi giorni chiusa a chiave nel bagno con una manciata di merendine – regolarmente acquistate al distributore – e una pila di libri. Era certa che sarebbe impazzita, se non fosse stato per quelli.
  • Da questa parte.
Li guidò in silenzio lungo il corridoio del secondo piano. Si morse le labbra, domandandosi se non fosse stata una scelta azzardata, quella di accendere le luci: ora era ovvio per chiunque lo guardasse da fuori che l'edificio fosse abitato.
Svoltarono un angolo e si ritrovarono nella zona saggistica. Cat aveva preso a frequentarla molto più spesso di quanto non avesse mai fatto nel 'prima'. Leggere tutto ciò che poteva tornarle utile per la sopravvivenza, da come riconoscere le piante medicinali a come fabbricare una bomba in casa, l'aveva rinfrancata parecchio, i primi tempi. Ora sapeva fare una ventina di nodi, distillare il veleno dalle piante – certo, il difficile era trovarle – e sapeva riconoscere le radici commestibili. Erano nozioni che difficilmente le sarebbero tornate utili, visto che era rimasta in città, eppure quando ci pensava si sentiva meglio, come se acquisendole avesse guadagnato dei punti sugli altri.
  • L'armadietto è chiuso a chiave. Ce l'ho in tasca, ora la prendo.
Morte le si avvicinò e Cat deglutì rumorosamente, non riuscendo a staccare gli occhi dal metallo scuro della pistola. Estrasse le chiavi dalla tasca dei jeans scuri e tese il braccio verso Dante. Se non le avessero sparato in quei pochi secondi, probabilmente l'avrebbero lasciata vivere. Spogliata del suo rifugio e delle sue provviste, ma viva. Fissando prima l'uno e poi l'altra, si chiese a chi dei due spettasse l'ultima parola.
  • Ben gentile.
Dante afferrò le chiavi e si fiondò sulla serratura senza attendere oltre. Cat si voltò verso Morte, che ancora non aveva abbassato la pistola.
Aprì la bocca un paio di volte, si leccò le labbra improvvisamente secche. Non sapeva se prepararsi per lo sparo o per la salvezza.
  • Non è rimasto molto, qui. Ci stai nascondendo una seconda dispensa?
  • No. È tutto lì. Non c'è altro.
  • Impossibile. Non basta neanche per una settimana.
Si trovò col viso di Dante frapposto tra lei e la pistola di Morte. Eppure era ben lungi dal sentirsene rassicurata. Le sopracciglia folte del ragazzo erano incurvate in una smorfia minacciosa, le labbra già sottili erano strette al punto che parevano scomparire all'interno della sua bocca. La stava studiando. Cat si sforzò di non mostrare alcun segno di nervosismo, poi si ricordò di come un'eccessiva dissimulazione potesse smascherare una bugia più di un tic nervoso. Le mancava guardare Lie to me.
  • Non c'è altro. Esco a cercare provviste nelle case abbandonate. Si trova sempre qualcosa, se si cerca bene.
Dante strizzò gli occhi fino a farsi tremare le palpebre. Cat concentrò la propria attenzione sul pezzo di sopracciglio mancante, poi sui suoi capelli. Erano belli, scuri, un po' più lunghi dei suoi, ma sporchi e spettinati. Polverosi. Da dove venivano quei due?
  • Va bene. Diciamo che ti credo.
Cat si lasciò sfuggire un lungo sospiro di sollievo. Si appoggiò con le mani sul tavolo alto e macchiato d'inchiostro sul quale giusto un paio di giorni prima aveva memorizzato l'aspetto di alcuni funghi velenosi.
  • Cristo... - sussurrò, passandosi una mano tremante tra i capelli – Allora posso considerarmi, come dire, viva?
  • Diciamo che puoi sederti e rilassarti mentre io e Morte ti priviamo dei tuoi ultimi averi. Morte, puoi anche piantarla, sai?
  • Finalmente – gemette Morte, con voce roca. Con un piccolo salto si sedette sul tavolo, a pochi centimetri dal volto teso di Cat – Stava per andarmi in cancrena il braccio. Chi cazzo ha deciso che le pistole devono essere così pesanti?
  • Chiunque abbia deciso che dovessero essere fatte di metallo e non di cartapesta, immagino. Saccottino o crostatina?
  • Saccottino. Dai, ragazzina, rilassati, sei viva. Prometto che non attenterò alla tua vita per almeno, diciamo... due ore. Ti basta?
  • Beh – biascicò Cat – Facciamo tre?
Morte ridacchiò, strappando l'involucro della merendina per ficcarsene metà in bocca. Cat provò l'impulso di sgridarla per tutte le briciole che stava spargendo sul pavimento. Erano pur sempre in una biblioteca.
  • Vedi... Cat, giusto? Vedi, Cat, io e Morte abbiamo scoperto che la vecchia teoria del 'poliziotto buono/poliziotto cattivo' funziona alla grande. Ma funziona ancora meglio nella versione 'poliziotto cattivo/poliziotto misterioso'. C'è chi mette in atto le proprie minacce e c'è chi non perde neanche tempo a minacciare prima di tagliarti via un orecchio. Capisci? - Dante strappò un pezzo di crostatina e lo deglutì quasi intero – Può tornarti utile in futuro. Tienilo a mente.
Cat pensò al suo blocchetto per gli appunti. Peccato l'avesse lasciato accanto al computer.
  • Voi come avete fatto a sopravvivere finora?
  • Mah. - fece lui, con un'alzata di spalle – Rubando provviste. Girovagando qua e là.
  • Facendo fuori chi si impiccia troppo. - aggiunse Morte, lanciando a Cat un sorriso sbarazzino.
  • La tua famiglia che fine ha fatto? - le chiese Dante, scartandosi una seconda merendina.
Cat rispose con un'alzata di spalle. Non li aveva più visti, dopo il casino.
  • Io ho visto solo mio nonno. - sospirò Morte – Povero stronzo.
  • Giù?
  • Giù.
La conversazione si spense e per un po' si sentì soltanto un furioso lavorio di mascelle ingorde. Considerando il silenzio in cui aveva vissuto negli ultimi mesi, Cat avrebbe potuto anche definirlo 'frastuono'.


Capitolo quattro
Chat e cipolle

Anita tagliava la cipolla a cubetti con metodica concentrazione, una mano immobile a tenerla ferma e l'altra rapidissima a tranciare. Ogni sera si preparava la cena con calma, senza fretta. Cercava ricette su Internet, pesava gli ingredienti, centellinava le spezie. Teneva il fuoco basso, lasciava sobollire, decantare e rapprendere. Seguiva le istruzioni alla lettera, e ogni sera mangiava meglio di come avesse mai mangiato nel 'prima'. Si fottesse il resto del mondo, i dannati hippie anti-caccia in primis. Certo, Anita nel 'prima' non poteva sapere che un giorno tutto quel rincorrere leprotti e caprioli le sarebbe tornato utile per sopravvivere, ma aveva sempre trovato detestabili quelli che si ostinavano a ripeterle con aria di grande superiorità che loro, oh no, giammai, loro non avrebbero mai ucciso un innocente fagiano.
Intanto, a quasi un anno dall'Apocalisse, lei era ancora in forma e pasciuta, mentre gli hippie che disturbavano sempre le sue battute di caccia erano probabilmente morti di fame nell'attesa che dai loro spogli appezzamenti di terra crescesse uno zucchino.
Abbassò il fuoco sotto la casseruola appena bagnata d'olio e vi versò dolcemente la cipolla a pezzi, sorridendo soddisfatta all'allegro sfrigolare della sua cena. Pezzi sanguinolenti di lepre attendevano il loro turno lì accanto.
Si sciacquò le mani e le asciugò sul grembiule da cucina. Tornò a chinarsi sul computer e aggiornò la pagina del blog che gestiva con due amiche, le uniche che ancora potevano usufruire di una connessione Internet. O più realisticamente, le uniche rimaste in vita. Si mordicchiò il labbro, tamburellando con le dita sul mouse. Ancora nulla, la recensione che aveva pubblicato il giorno prima dedicata a Battle Royale – per inciso, uno dei suoi libri preferiti – era ancora il post più recente.
Si allontanò dal computer, versò del vino bianco nella casseruola, annusò i vapori che ne risalivano in ampie, odorose volute. Tagliò la carne, la versò nella casseruola, la tappò col coperchio, tornò a lavarsi le mani e finalmente si sentì abbastanza calma per tornare a controllare l'home-page.
Da Cat ancora nulla.

Buffy: Ci sei?
Anita: Sì. Ancora niente.
Buffy: Cosa dovremmo fare?
Anita: Non ne ho idea.
Buffy: Sono preoccupata.
Anita: Sai in che zona abita?
Buffy: Mi confondo sempre tra Firenze e Siena...
Anita: Se ti sentisse un toscano, ti sputerebbe in faccia. Firenze, comunque. Intendevo la zona precisa.
Buffy: Allora non ne ho idea.
Anita: Beh, comunque sto cercando informazioni sul Survival.
Buffy: Non so se è il caso, lei sta nascosta, rischiamo di farla scoprire.
Anita: Basta prendere la cosa molto alla lontana.
Buffy: E come? Firenze non è mica un paesello di montagna, è inutile chiedere informazioni generiche.
Anita: Io cerco lo stesso. Sempre meglio che stare ad aspettare senza fare niente.
Buffy: Non è che abbiamo tante alternative...

Anita stava già formulando la risposta, quando si rese conto di quello che stava scrivendo. Cancellò l'ultima riga, si allontanò di qualche passo e fissò lo schermo con le braccia incrociate al petto, come se lo stesse sfidando. Era una pessima idea, quella che le era venuta in mente. La peggiore in assoluto. Eppure il pensiero di attendere inerme la conferma dell'avvenuta morte di Cat – una conferma che molto probabilmente non sarebbe mai avvenuta – le faceva fremere le vene dalla voglia di muoversi, di fare qualcosa prima che fosse troppo tardi. Abbassò le mani lungo i fianchi e, lentamente, ricominciò a scrivere la stessa risposta che aveva appena cancellato.

Anita: Potremmo andare a cercarla. A Firenze.
Buffy: …
Buffy: Scherzi, vero?
Anita: No. Non lo so.
Anita: Mi sa che sono seria.
Buffy: Anita, io e te siamo tra i pochissimi esseri umani tanto fortunati da potersi definire quasi al sicuro. Gettare via una simile botta di culo per andare a farsi ammazzare chissà dove...
Anita: Senti, io sto in Umbria, se parto adesso potrei essere lì in poche ore, forse potrei riuscire a portarla qui da me.
Buffy: Ma se non sai neanche dove cercarla...
Anita: Lo so, ma non mi va di starmi a tormentare su quando e come potrebbe essere morta senza fare nulla.
Buffy: Aspetta
Buffy: Sta bene!
Anita: Cosa?
Buffy: Aggiorna la pagina

Anita fece quanto le veniva detto, le mani che tremavano appena sulla tastiera, il gelo che l'aveva riempita fino a quel momento che cominciava già a sciogliersi.

''Scusate il ritardo. Sono viva e sto bene. Per motivi che non ho il tempo di spiegarvi probabilmente dovrò assentarmi per un po' di tempo. Ma sono viva.
Cat''

Anita: Tutto qui? Non spiega niente.
Buffy: Spiegherà più avanti con calma, per adesso accontentiamoci. Forse è stata costretta a spostarsi.
Anita: Lo spero.
Buffy: Adesso rilassati. E prepara una recensione per domani, non possiamo sapere quando Cat sarà di nuovo disponibile, è meglio se ci mettiamo un po' avanti col lavoro.
Anita: Wow.
Buffy: Che?
Anita: A volte mi chiedo chi di noi due sia più stronza.




Capitolo cinque
Bimbi sperduti

Dorothy avanzava velocemente, facendo schioccare l'asfalto bagnato sotto i suoi passi. Indossava delle scarpe di vernice rossa che le stavano un po' strette, facendole dolere il mignolo. Ansimava, il fiato che si manifestava in una nuvola umida appena usciva dalle sue labbra a forma di cuore, increspate come se stesse tenendo il broncio. I capelli erano acconciati in una bionda cascata di boccoli e un candido vestitino di cotone le si allargava addosso, falciato dal vento. Si strofinava ripetutamente le braccia, la pelle ghiacciata, ruvida dalla pelle d'oca.
Il buio di una Milano notturna la inghiottiva, gli alti palazzi incombevano su di lei da entrambi i lati, fissandola con finestre che sperava ardentemente fossero cieche.
Canticchiava tra sé e sé la sigla di un vecchio cartone animato che era solita guardare da piccola, con le gambe che sporgevano dal divano senza neanche avvicinarsi a toccare il pavimento. Quando non ricordava le parole si limitava a mugugnare la melodia, per poi riprendere a canticchiare alla strofa successiva.
  • Ehi.
Una voce ruvida, vecchia, seghettata. Quando voltò lo sguardo, Dorothy pensò che anche il viso non era messo meglio. Dimostrava una cinquantina d'anni e sotto un impermeabile aperto indossava due giacche di colore diverso, un maglione logoro e una camicia abbottonata fino al collo. Forse sotto celava ancora una mezza boutique.
  • Sei sola?
  • Sì.
Dorothy sbatté le palpebre, voltandosi verso l'uomo in un'aggraziata giravolta che le fece svolazzare la gonna attorno alle cosce. Gli si avvicinò di un paio di passi, fissando i propri occhi grandi e azzurri in quelli dell'uomo, messi in ombra da un paio di sopracciglia cespugliose.
  • I miei genitori sono ascesi – raccontò, pigolando – e mio fratello è scomparso, non riesco più a trovarlo. È alto più o meno così, ha i capelli come i miei, ma più corti... l'ha visto?
L'uomo non rispose. Estraendo una vecchia mannaia dalla tasca dell'impermeabile parve soffocare un gesto di stizza.
  • Signore, cosa...?
  • Nel vicolo. Muoviti.
Le indicò una piccola conca tra due palazzi, sulle cui mura potevano ancora vedersi le strisce di sangue lasciate da una qualche vecchia vittima. Dorothy fissò quelle macchie, riconoscendo la forma di una mano aperta. Rilassò le spalle, alzò il viso verso una finestra.
  • Ammazzatelo!
L'uomo-boutique le si accasciò ai piedi, senza avere neanche avuto il tempo di sentire lo sparo che l'aveva ucciso. Dorothy fissò con disprezzo il suo cadavere scomposto. Rilasciava un odore vecchio e rancido, come se il tizio avesse voluto mettersi avanti con la decomposizione già in vita.
  • Tutto bene? - le urlò Puc, dalla finestra, la canna del fucile appoggiata al davanzale mentre si sporgeva.
  • Certo, che domande.
  • Beh, uno chiede.
Da una stradina laterale uscì Sherlock, i capelli biondissimi legati dietro la nuca in un corto codino. Lanciò un'occhiata truce al cadavere dell'uomo e al liquido cerebrale che gli usciva dall'orecchio. Gli tirò uno sdegnoso calcio nello stomaco, allontanandolo di qualche centimetro.
  • Ma guarda, ho ritrovato il mio fratellino perduto – cinguettò Dorothy, usando la stessa voce acuta con cui si era rivolta all'uomo-boutique.
  • Non mi piace che tu faccia da esca. - borbottò il fratello, lo sguardo basso, rimettendo la sicura alla Colt.
  • Ne avevamo parlato.
  • Non ho mai accettato.
  • Lo so. - gli lanciò un piccolo sorriso, posandogli una mano sul braccio che teneva la pistola.
  • Non c'è bisogno di farlo.
  • Non ricominciamo. Ci pensate tu e Puc a coprirmi, no?
Puc uscì dal palazzo che aveva occupato fino a quel momento, il fucile ancora tiepido su una spalla e un sorriso soddisfatto sul viso lentigginoso.
  • So che è sbagliato trovarlo divertente, ma ho fatto centro con tale precisione che mi è venuto da urlare 'Strike!'.
  • Potremmo segnarlo sul cartellone segna-punti. - propose Dorothy, lieta dell'interruzione.
  • Non ce l'abbiamo, un segna-punti.
  • Però potremmo farne uno quando torniamo a casa. - sorrise Puc, entusiasta.
Dorothy sorrise nel sentirgli pronunciare la parola 'casa'.
  • Beh – fece, con un'alzata di spalle – Vediamo di pulire questo macello, va'.



Capitolo sesto
Always Coca-Cola

Sorseggiavano lentamente l'ultima lattina di coca-cola, attentamente suddivisa in parti uguali, versate in tre bicchieri di plastica. Dante si era tolto la maglietta per lavare via il sangue secco che la incrostava e ora si stringeva addosso un bucherellato maglione di lana. Morte aveva offerto a Cat l'uso del suo burro-cacao alla ciliegia con un sorriso d'orgoglio. Nessuno aveva pensato a fare scorta di burro-cacao e nel giro di un paio d'anni, Morte sarebbe rimasta l'unica con le labbra perfettamente idratate in tutto il mondo.
Cat aveva gentilmente declinato l'offerta.
  • Quindi – aveva sospirato, rigirandosi il bicchiere di carta tra le mani – Quali sono i vostri programmi? Vi fermate in biblioteca?
  • Beh – Dante si scambiò un'occhiata con Morte, che annuì impercettibilmente – In realtà siamo di passaggio. Vogliamo tentare di raggiungere una stazione del Survival Game.
  • Del Survival Game?
  • Aha. Conosci?
  • Ne ho sentito parlare, ma... voglio dire, non può essere vero.
  • Pare che lo sia, invece. - fece Morte, sporgendosi verso di lei con una strana scintilla nello sguardo – Se comunichi l'esistenza di un cecchino o di un pazzo in una determinata zona, loro mandano qualcuno a toglierlo di mezzo. Hanno centinaia di basi sparse in tutto il mondo. In Italia ce ne sono solo quattro, ma un paio sono abbastanza grandi e ben organizzate.
  • Ovviamente – l'interruppe Dante – non possiamo dirti dove si trovano. Per forza di cose sono estremamente prudenti, ci sono voluti mesi per ottenere un incontro con un loro selezionatore. E sono selezionatori piuttosto severi.
  • Mmh.
  • Non ci credi?
Morte si appoggiò allo schienale della sedia con tutto il suo peso, facendo stridere le gambe contro il pavimento. Braccia incrociate al petto, labbra – rosse – imbronciate e occhi stretti.
  • Credi che andremmo in giro come degli idioti se non fosse vero?
  • Beh – fece Cat, guardandosi intorno in cerca di una via di fuga – Ho sempre creduto che, ecco, che il Survival Game fosse una specie di... di storia, ecco. Un gioco di ruolo o qualcosa del genere.
  • Un gioco di ruolo! - esplose Morte.
  • In realtà non hai tutti i torti. Il sito era nato come un gioco di ruolo testuale post-apocalittico. Mi pare c'entrassero anche gli zombie. Però dopo il casino hanno iniziato a fare sul serio. Dopotutto un sito del genere era un buon modo per comunicare come fosse la situazione in determinate zone, o per incontrarsi e formare un gruppo. Poi beh, da cosa nasce cosa...
'Una comunità di nerdacchioni sfatti di D&D sono i nuovi salvatori dell'umanità', pensò Cat 'Siamo a posto.'. Con una fugace occhiata alla pistola di Morte, bene in vista sul tavolo, decide di astenersi dal fare ulteriori commenti.
  • Tu che hai intenzione di fare, invece? Vuoi rimanere qui? - le chiese Dante.
  • Mah. - sospirò Cat – Non lo so. Senza offesa, ma col casino che avete fatto arrivando dubito di poterlo considerare ancora un rifugio sicuro.
  • Allora vieni con noi?
  • Che?
Cat puntò gli occhi spalancati prima su Morte poi su Dante, poi di nuovo su Morte e quindi su Dante.
  • Dai, vieni. Tanto qui sei fregata, no? L'hai detto tu. - le disse Morte, dandole una piccola pacca sulla spalla.
  • Più siamo, meglio è. - aggiunse l'altro – Potremmo provare nuove versioni di 'poliziotto buono/poliziotto cattivo'. Tipo un 'poliziotto distratto'. O un 'poliziotto psicotico'.
  • Tu sei fissato con la storia del poliziotto. - sbuffò Morte.
  • Ammetterai che è piuttosto efficace.
  • Allora? Vieni? Però non possiamo dirti dove finché non l'avremo comunicato anche ai capoccia del Survival.
  • Mh. Magari ci penso.
  • Come vuoi. Noi ci riposiamo qualche ora e poi ripartiamo.
'Con tutte le mie provviste, grazie tante...'
  • Capito. Posso parlarne a un paio di amiche?
  • Non credo proprio.

Cat sospirò. Almeno le avevano lasciato scrivere un messaggio sul blog, prima di requisirle il computer.



Capitolo sette
I sogni son desideri

Ansimava, gemeva, si contorceva. I lacci che gli tenevano legate le mani erano stretti al punto che non riusciva più a sentirsele. Più cercava di urlare e più sentiva dolore, ma non riusciva a smettere. Sentire un vuoto incandescente dove prima aveva avuto la lingua gli faceva avvertire la coscienza come una condanna aggiuntiva. Calciava senza sosta il solido portone di legno della cantina in cui era stato rinchiuso, anche se l'idea di rivedere il suo aguzzino lo terrorizzava. Non quanto il buio in cui annegava, però.
  • Ti sei svegliato.
Era arrivato in silenzio, come scivolando sugli scalini. Aveva aperto la porta ed evitando i suoi calci gli si era inginocchiato di fronte. Il prigioniero strattonò ancora i lacci che gli immobilizzavano le braccia e cercò di concentrare tutto ciò che provava nel proprio sguardo, gli occhi che sporgevano dalle orbite come se stessero per saltare fuori.
  • Ascoltami, ora.
L'aguzzino aveva una voce fioca, calma, quasi dolce. Grossi occhiali dalla montatura spessa gli cadevano continuamente sul naso e lui era sempre a tirarli su puntando l'indice esattamente sul piccolo rettangolo di plastica tra le due lenti. I capelli erano corti e unticci e il prigioniero non riusciva a spiegarsi come quel tizio potesse ancora essere così grasso dopo quasi un anno dall'Apocalisse. Un'idea gli si era affacciata alla mente, ma aveva deciso di scartarla. Non perché non gli apparisse orrendamente probabile, ma perché il solo pensiero della sua lingua cucinata e impiattata rischiava di farlo vomitare.
  • Ti porterò in un punto preciso, in centro, vicino a San Babila. E tu dovrai cercare di sfuggirmi. Tutto chiaro?
Il prigioniero annuì, cessando il proprio muggito disperato.
Non s'illudeva di essere salvo, ma non sapeva cos'altro pensare.
L'aguzzino gli legò i piedi tra loro, gli passò una corda dietro le ginocchia e gliela fissò al busto, così da impedirgli ogni movimento. Lo trascinò come un sacco su per le scale e lo ficcò a forza nel bagagliaio di una vecchia Volvo. Il viaggio fu un buio tormento di lacrime e confuse preghiere. Aveva notato che, da quando non aveva più la lingua, non riusciva più a pensare chiaramente, i pensieri gli si affastellavano in testa senza più la griglia della sintassi o delle parole a ricongiungerli in una forma precisa. Non avrebbe più pronunciato verbo e il verbo pareva averlo definitivamente abbandonato.
La macchina si fermò bruscamente e, quando venne tirato fuori e rozzamente slegato – muggì dal dolore, quando osò muovere le braccia – vide che l'aguzzino aveva fatto esattamente quello che gli aveva detto, portandolo a San Babila. La fontana, prosciugata e tappezzata da graffi, scritte e schizzi di sangue, incombeva su di lui con la forza di un passato ormai morto.
Non capì subito di non essere solo. C'erano altre persone che vagavano come lui, sporche, lacere, mute. Gli occhi cerchiati, zoppicanti. Scappavano, alla vista dell'aguzzino.
  • Fuggi. Nasconditi. Vedrai, ci divertiremo.
L'aguzzino risalì in macchina e partì lasciandolo in mezzo a quella sparuta folla di derelitti. Era notte fonda, faceva freddo. L'ormai ex-prigioniero si strinse nelle proprie braccia magre, si guardò intorno, chiedendosi che senso potesse mai avere quello che aveva subito.
L'aguzzino canticchiava piano, in macchina, allungando una mano ad accarezzare il fedele fucile a canne mozze cui aveva amorevolmente allacciato la cintura di sicurezza. Si grattò il mento brufoloso, le labbra lievemente incurvate in un sorriso.
Posteggiò di fronte a una vecchia scuola comunale. La settimana prima l'aveva trovata impestata di sconosciuti e aveva dovuto abbatterli. Era riuscito a catturarne vivo solo uno, quello che aveva appena aggiunto al suo personale vivaio. Sgusciò dentro dall'entrata sul retro, controllò bene che non ci fosse nessuno ad attenderlo nel buio dietro gli angoli. Era deserta. I muri tinteggiati di sangue e punteggiati da fori di proiettile dovevano aver scoraggiato gli invasori esterni.
Si portò alla finestra preferita, quella da cui preferiva sparare e, con un sospiro di piacere, si apprestò a passare una piacevole nottata di caccia. Aveva riempito la zona delle sue creature, ora rimaneva solo da giocare. A mezzora dal suo arrivo, una donna con un logoro vestito che doveva essere stato rosa tanti anni prima sbucò incespicando dal fondo della strada. Barcollava, i tendini di un piede recisi. L'aguzzino ricordò il momento dell'incisione con fredda soddisfazione. Non per nulla, era stato tra i migliori studenti di medicina della Statale. Riaccomodò il fucile contro la sua spalla e si preparò a fare fuoco.
La donna arrancava. Era buffa, a vedersi. Camminava col piede sano, trascinandosi dietro quello inutilizzabile, gemendo ad ogni passo. La cavità vuota della sua bocca fece rabbrividire l'aguzzino.  Di gioia.
Attese che la donna arrivasse a pochi metri dalla finestra, prima di spararle in testa, poco sopra l'orecchio. La donna cadde in avanti, il volto sfracellato sull'asfalto.
L'aguzzino sorrise. Quando l'Apocalisse aveva cambiato il mondo, non aveva idea di come avrebbe fatto a sopravvivere. Si era rinchiuso in casa, terrorizzato, temendo di impazzire. Quando era tornato in sé aveva capito che il mondo era cambiato in suo favore e che finalmente, con un po' di giusto e duro lavoro, poteva perfino riuscire a realizzare il suo sogno, quello di sopravvivere all'invasione degli zombie.
Certo, non c'erano zombie, ma aveva fatto in modo di accontentarsi.
Accarezzò dolcemente il calcio del fucile, rimettendosi in posizione.
Mancava solo Milla Jovovich a rendere tutto perfetto.




Capitolo otto
McGranitt o McGonagall

Si erano lavati, asciugati e avevano deciso, in poche frasi bisbigliate, chi dovesse dormire prima e chi dopo. Cat aveva pensato di proporsi per fare un primo turno di guardia, prima di realizzare che era lei, quella da cui Morte e Dante intendevano guardarsi. Dopotutto l'avevano minacciata e derubata. Che ne sapevano che non li avrebbe affettati nel sonno?
Fortunatamente non le impedirono di andarsi a pescare qualche libro nel reparto narrativa, diviso tra il primo e il secondo piano. Visto che aveva adorato Orgoglio e Pregiudizio, aveva pensato di leggere qualcos'altro della Austen, eppure continuava a sfiorare il dorso dei suoi libri senza riuscire a decidersi. Buffy le aveva consigliato Emma, Anita preferiva Northanger Abbey.
Alla fine si allontanò dagli scaffali di letteratura inglese e andò a sbirciare altrove, tra i libri di genere. Si impregnò di inquietudine passeggiando in mezzo agli horror e si sentì più a suo agio, allungando una mano ad accarezzare Carrie di Stephen King.
Tornò nella saletta bibliotecari e vide che alla fine Dante era riuscito ad accaparrarsi per primo l'ammasso di gommapiuma coperto da un lenzuolo sgualcito che Cat aveva ormai preso a chiamare 'letto' senza troppa ironia. Morte stava seduta per terra accanto al ragazzo addormentato, la schiena appoggiata alla parete, un portatile acceso sulle ginocchia.
  • Cominciavo a pensare fossi scappata.
  • Mi ci è voluto un po' per scegliere.
Le si sedette accanto, sbirciando la pagina Internet che Morte stava scorrendo con tanto interesse. Sfondo giallo, caratteri neri e spessi, senza grazie. Le fece tornare in mente la locandina di Kill Bill. Il mondo non era più lo stesso, senza Tarantino.
  • Sto aspettando la risposta dal nostro contatto col Survival. - mormorò Morte, allungando una mano ad accarezzare distrattamente i capelli dell'amico, ancora umidi dopo il frettoloso lavaggio.
  • Mh. Credo che verrò con voi. Se mi accettano, dico. - disse Cat, stringendosi le ginocchia al petto – Onestamente non ho idea di cosa farò, quando arriverà l'inverno. Non lo sapevo neanche prima, però...
  • È impossibile fare progetti a lungo termine senza impazzire. - sussurrò Morte – Io e Dante abbiamo girovagato per mesi senza sapere che fare. Non riuscivamo neanche a pensare a quello che facevamo, arrivavamo in un posto, sparavamo per prendere del cibo e via così. Se non avessimo scoperto del Survival...
  • Spero che sia vero...
  • Deve esserlo. - replicò Morte, alzando un poco la voce – Altrimenti... non lo so. Non so cosa sarà di noi, se non fosse vero.
  • Non riesco a pensarci. Se inizio a farmi domande rischio di impazzire...
Morte le rispose con una piccola pacca sulla spalla e un sorriso tirato. Cat si domandò con un brivido se l'avrebbero lasciata in vita, se il Survival Game non l'avesse accettata per un incontro. Aveva recuperato Patronum, ma aveva deciso di lasciarlo vicino all'entrata della biblioteca. Un piccolo segno di fiducia, al quale sperava facesse seguito, almeno, la possibilità di continuare a respirare.
  • Sai – sussurrò, appoggiando il mento alle ginocchia – Non sono mai andata a cercare la mia famiglia. Per quello che ne so, potrebbero essere ancora da qualche parte. Vivi.
  • Spero di no. Per loro, dico. Non pensare male.
  • No, no. Lo spero anch'io.
Rimasero in silenzio per un po'. Dante respirava profondamente, strizzando le palpebre ogni tanto. Morte aggiornava la pagina del Survival ogni pochi istanti, in attesa di una risposta. Cat, con un lento sospirò, afferrò il primo libro della pila che si era portata dal piano di sotto. Stephen King, John A. Lindqvist, Dan Simmons. Aprì Pet Sematary, immerse il naso tra le sue pagine ingiallite e inspirò forte. Un intenso profumo di carta vecchia, polvere e misto orrore.
  • Che fai?
  • Niente. Annuso.
  • Annusi un libro?
  • Beh? Profuma.
  • È carta.
  • Sai che qualche anno fa avevano provato a distillare il profumo del libri? Pare che si avvicini molto alla vaniglia.
  • Oh beh – fece un'alzata di spalle - Sei tu quella che vive rinchiusa in una biblioteca.
Cat evitò di specificare che ogni tanto ne usciva, dalla biblioteca. Certo, il meno possibile, giusto quando le provviste erano ormai agli sgoccioli e si trattava di scegliere tra la possibilità di nutrirsi letteralmente di libri o andare in cerca di cibo.
  • Io sono corsa in un supermercato. Banale, eh?
Cat sorrise appena, riponendo Pet Sematary in cima alla pila.
  • Un po'.
  • In realtà non era la mia prima scelta. Erano appena finite le lezioni, ero tornata a casa a pranzare. A casa non c'era nessuno, mio nonno era in cortile. Annaffiava le piante. Poi c'è stato il boato e quella voce strana...
Cat annuì. Non riusciva a ricordare cosa avesse detto quella voce. Nessuno ci riusciva. Sapeva solo che la strada aveva iniziato a tremare, che il mondo stesso aveva cominciato a tremare e che perfino qualcosa dentro di lei aveva iniziato a smuoversi, a dibattersi, come qualcosa che volesse uscire da lei. Si era accasciata urlando, le mani premute sulle orecchie, i denti che sbattevano, la vista confusa. Accanto a lei un uomo era stato inghiottito da un cratere infuocato, una coppia era stata dolcemente traghettata verso l'alto da un fascio di luce. In quel momento non era riuscita a dare un senso a quanto aveva visto. Quando tutto era finito si era ritrovata gemente a terra, le ginocchia sbucciate e sanguinanti, i jeans stracciati. Si era sentita uggiolare come un cane ferito e si era trascinata nell'unico luogo in cui poteva sentirsi al sicuro. Temeva di essere l'unica persona rimasta in vita e per la strada non aveva trovato un solo cratere né un cadavere. Una tregua confusa che era durata soltanto i primi giorni.
  • Mio nonno, beh, te l'ho detto, è stato preso. Non ho idea di cosa sia successo ai miei genitori, ma voglio credere che siano ascesi.
  • È quello che speriamo tutti. - sussurrò Cat, un'immagine danzante di capelli biondi e guance paffute che le si affacciava alla mente.
  • Abitavo vicino alla mia sede universitaria, ero sola in casa. Sono corsa là, ma le porte erano già sbarrate, si erano come asserragliati. Sentivo delle urla. Non sono mai tornata a controllare.
  • Ovvio.
  • C'era un piccolo supermercato lì vicino. Non pensavo ancora alle riserve di cibo o alle armi, volevo solo trovare qualcuno. Accertarmi di non essere l'unica ad avere vissuto... beh, quello.
  • Capisco.
  • C'era Dante, anche se non si chiamava Dante. E una signora di mezz'età, con un tailleur rosa pallido. Credo fosse una professoressa. Dopo che sono arrivata, si è tagliata le vene con un coltello da cucina.
  • Oh.
  • Credo abbia fatto la scelta giusta. Non è facile adattarsi a questo mondo.
  • Già.
Seguì una lunga pausa, durante la quale Cat ripercorse quello che l'aveva convinta a restare in vita. Ogni tanto si sorprendeva ancora a fissare Patronum come fosse una scialuppa, un dolce antidoto per l'inferno che stava vivendo. Ma c'erano i libri, la biblioteca, un rifugio che fino ad allora era rimasto sicuro, nonostante tutto. E c'erano Buffy e Anita. Aveva considerato di andarsene, quando Isotta aveva smesso di aggiornare il blog. Un'altra che se n'era andata. Eppure era rimasta, neanche lei sapeva perché.
  • Quindi – cominciò, dopo essersi schiarita la voce – Conoscevi già Dante? Eravate amici?
  • No. - scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli rossissimi – Voglio dire, solo di vista. Io facevo anglistica, lui lettere antiche. Però sai, in quella situazione è stato facile diventare amici. Dopotutto non avevamo nessun altro.
  • Già.
  • E tu? Come sei arrivata qui?
La leggerezza con cui le pose la domanda stonò alle orecchie di Cat. Sentì le spalle afflosciarsi, mentre realizzava che tutte quelle confidenze le erano state fatte, molto probabilmente, allo scopo di spingerla a confidarsi a sua volta. Per avere qualcosa di più da poter raccontare ai tizi del Survival.
  • I libri. - rispose – Senza libri sarei impazzita. Mi sono rifugiata qui senza neanche pensarci. Si è rivelata una scelta azzeccata, dopotutto.
  • Mh. Forse.
  • Puoi scrivere che mentre ero qui ho avuto un sacco di tempo per studiare un bel po' di cose utili. Tipo sulle piante commestibili, quelle velenose, su come si preparano certi veleni. Cose così.
Morte non rispose, ma Cat la vide sospirare piano e portare entrambe le mani a ticchettare sulla tastiera.
  • E aggiungi che adoro Harry Potter. E che il mio personaggio preferito è la professoressa McGranitt. O McGonagall. Magari sono dei puristi.
  • Non credo sia esattamente rilevante, come informazione. - commentò Morte, alzando il sopracciglio.
  • Mah, non so. Il modo migliore che conosco per giudicare una persona sono le sue letture. Non si sa mai. - concluse, con un'alzata di spalle.
  • Come vuoi.
Aggiunse un paio di frasi al messaggio che stava mandando e premette 'invio'. Rimasero in silenzio ad attendere la risposta, una continuando ad aggiornare la pagina del Survival Blog e l'altra tamburellando piano con le dita sulla copertina di Pet Sematary. Una volta tanto, non se la sentiva proprio di leggere.



(mini)Capitolo nove
Settimana enigmistica

Alessandro gettò a terra quello che restava della sua ultima sigaretta. L'aveva fumata fino al filtro, consumandola finché il sapore in bocca non si era fatto improponibile. Schiacciò il mozzicone sotto la suola e si sedette sospirando sul cofano ancora tiepido dell'auto. Aveva messo in conto contrattempi di ogni tipo, dalle aggressioni a un guasto al motore a un possibile malessere di Cripple – il pastore tedesco che dormiva beatamente sul sedile posteriore – ed era partito in anticipo di diverse ore per evitare di mancare all'appuntamento. Quelli che riuscivano a ottenere un appuntamento con lui o con un altro rappresentante del Survival vivevano nel terrore di essere scartati all'ultimo. L'ultima volta gli si era forata una gomma e, arrivato sul luogo dell'appuntamento, si era trovato davanti una coppia di mezza età inginocchiata a terra, gemente, due disgraziati che si passavano la pistola come se scottasse. Alessandro li aveva fissati stranito per diversi secondi prima di rendersi conto che, se avesse tardato ancora di pochi minuti, gli sarebbe rimasto sulla coscienza un doppio suicidio.
Per quanto i compagni lo prendessero in giro, da quella volta non si era mai messo meno di tre sveglie e il minimo contrattempo lo faceva saltare come una molla.
Peccato che quel giorno fosse arrivato con tre ore e mezza di anticipo.
Tirò fuori una settimana enigmistica risalente a diversi mesi prima e cercò di ricordarsi quale fosse la capitale del Perù.


Capitolo dieci
Accettazione

Dopo aver saputo che Cat era ancora viva e dopo la breve conversazione con Anita, Buffy si era preparata una tisana e l'aveva sorseggiata davanti a una vecchia puntata di Friends, di cui non ricordava nulla a parte la sigla. Non aveva idea di come fosse iniziata né avrebbe saputo dire come fosse finita.
Quell'ultima frase di Anita le era rimasta conficcata nella mente e non voleva andarsene. Suppurava come una ferita infetta e il fastidio andava molto oltre l'irritazione.
'A volte mi chiedo chi di noi due sia più stronza.'
Anita che ammazzava e scuoiava le prede da prima dell'Apocalisse, Anita che un libro non era degno di essere letto al di sotto dei tre morti, Anita che ringhiava contro ogni segno di debolezza, che pareva vivere in funzione della legge del più forte.
Anita che sembrava davvero decisa ad andare a recuperare Cat rischiando la propria vita, mentre lei già l'aveva data per morta. Facendosene anche una ragione.
Buffy posò la tazza ancora fumante sul ripiano del computer. Se neanche Friends era riuscito a calmarla, non ci sarebbe riuscito nient'altro. L'unica cosa che poteva fare era sfiancarsi fino a cadere dalla stanchezza e sperare in un sonno senza incubi.
Si spostò nello scantinato umido che aveva trasformato in una palestra. Pesi, cyclette, attrezzi per gli addominali e per i pettorali. Tutto quello che era riuscita a trafugare dai vicini. Le mancavano diversi attrezzi per le gambe e sapeva che avrebbe potuto trovarli in un centro commerciale a mezzora di macchina, ma preferiva evitare di spostarsi quando non era necessario.
Salì sul tapis roulant, impostò una velocità alta e iniziò a correre. Pochi minuti dopo iniziò ad ansimare, poi cominciò a sentire l'umida carezza del sudore sulla pelle. Poi arrivò il bruciore alla gola, poi il dolore ai polpacci. Continuò a correre.
Pensava a com'era prima che si aprissero i crateri sotto i suoi genitori, a quanto spesso le era capitato di sperare di restare sola al mondo. Non aveva niente contro le persone, ma le riusciva stancante avere continuamente a che fare con loro. Era difficile trovarne che la capissero davvero, che non si limitassero a fingere di capire e condividere quello che diceva. Sapeva che non era colpa loro, che non tutti possono essere appassionati di filosofia e letteratura e non c'è nulla che obblighi qualcuno a sapere esattamente cosa muovesse i Pre-raffaeliti e l'avanguardia dadaista. Non era una colpa accontentarsi di sapere quel poco che bastava per vivere. Non c'era nulla di male a non ardere di fame e curiosità.
Buffy pensava a quanto fosse ingiusto che il mondo fosse finito realizzando una fantasia che accarezzava con ingordigia. Se l'era immaginato troppo spesso, di restare sola al mondo, per non sentire un peso sullo stomaco ogni volta che si fermava ad ascoltare il silenzio tutto attorno.
Eppure aveva sempre avuto la presunzione di considerarsi più umana di Anita. Se non altro, si diceva, io non ne traggo soddisfazione. Se non altro non irrido i morti, non mi ritengo migliore di loro perché non ce l'hanno fatta. Non immergo le mani nel sangue col sorriso, non cancello un omicidio con una scrollata di spalle. Non si era mai resa conto di come il pensiero di quanto Anita potesse spingersi lontano, la facesse sentire bene. A posto con se stessa, lontano dai suoi incubi.
- Va bene. - ansimò, spegnendo il tapis roulant.
Per poco non cadde, posando il piede sul pavimento. Ansimava, la maglia era chiazzata in più punti. Arrancò in casa, si lasciò ricadere sulla sedia davanti al computer.
Aprì la pagina del blog che divideva con Cat e Anita – e Isotta ed Elena, prima... - e scrisse una breve risposta sotto il brevissimo post di Cat. C'erano già parecchi commenti sollevati, una quindicina di follower che già temevano per la sorte della ragazza.

''Vengo a prenderti.''



Capitolo undici
Ramen

Era ancora buio, quando erano tornati alla base. Lestat doveva essersi nuovamente addormentato durante il turno di guardia, perché avevano dovuto suonare per una buona manciata di minuti, prima che il pesante cancello rinforzato venisse aperto. Erano stanchi, insonni, affamati. Eppure era bello uscire in missione e tornare portandosi dietro quel tiepido senso di soddisfazione. Avventurarsi fuori da una base sicura per andare ad ammazzare i cattivi faceva sentire utili.
Dorothy era corsa nella propria stanza a liberarsi dei vestiti da Lolita che aveva trafugato dalla casa ormai vuota di una vecchia amica cosplayer. Le scarpette ticchettanti erano incrostate di sangue sulla punta. Sarebbe stata dura toglierlo senza rovinarle.
Puc e Sherlock erano rimasti a chiacchierare nelle cucine vuote, rischiarate dalla fredda luce delle lampade alogene. Sui fornelli bolliva l'acqua per i ramen istantanei, sul tavolo giacevano i resti di una merendina già divorata.
- Chi va a Torino, domani?
Puc aveva parlato con tono leggero, spalmandosi un sorriso accomodante sul viso. Sherlock gli lanciò un'occhiataccia. Conosceva da troppo tempo le sue smorfie e le fossette sulle sue guance.
- Io sono stato fuori anche ieri. Voglio dormire, domani.
- Non c'è bisogno di partire troppo presto, basta partire nel primo pomeriggio. - flautò Puc, sbattendo le palpebre.
- Lo so. Confido che riuscirai a riposarti abbastanza.
- Eddai, Sherly, odio questo genere di cose. Andare lì, spiegare come si alzano le palizzate, cercare il filo spinato, poi le serre... mi conosci, non sono fatto per queste cose da leader.
- Un vero peccato che ti tocchi, già.
- Eddai, Sherly...
- E non chiamarmi Sherly!
- Prometto che non ti chiamerò Sherly per almeno due mesi, se vai tu domani.
- Prometto che se mi chiami di nuovo Sherly ti trancio un orecchio e lo butto ai maiali.
Puc sbuffò, incrociando le braccia al petto in una pessima pantomima di frustrazione.
- Antipatico.
Si alzò in piedi con un gesto fluido, come se ci fosse un esperto burattinaio a muoverlo dall'alto. Sherlock lo osservò per qualche secondo, per poi passarsi una mano sugli occhi.
Puc non aveva l'aria dell'assassino o del sopravvissuto. Né del leader, né dell'ingegnere, né di quello che riesce a salvarti da una brutta situazione. Alto e dinoccolato, le braccia sottili come rami spogli, aveva più l'aria dello scienziato che trova la cura per il morbillo. Prima dell'Apocalisse studiava informatica, non biologia, eppure Sherlock se lo immaginava sempre con un addosso un camice candido, gli occhi cerchiati di sonno mancato intenti a osservare una provetta.
Era stato Puc a chiedergli di giocare al Survival Game, tanto tempo prima. Sherlock non era tipo da giochi di ruolo, eppure un poco ci si era appassionato. Abbastanza da sapere dove andare, una volta che il mondo era andato a catafascio. Se non fosse stato per Puc...
- Potremmo andare insieme. - concesse, appoggiando il volto stanco sulla propria mano, già pentendosi per la propria offerta – Così ci sbrighiamo prima.
- Potremmo, sì. - concesse Puc, con un sorriso affabile – Certo, uno dovrà pure restare qui a...
- Puc. Non esagerare.
L'altro non rispose, ma una piccola risata raggiunse l'amico, che si lasciò andare a un piccolo sorriso.
- Non è ancora pronto, qui?
Dorothy li raggiunse al tavolo, i capelli ancora umidi per la doccia, indossando un largo pigiama di flanella.
- Ho fame.
- Sto impiattando adesso.
- 'Impiattando' – ripeté lei, storcendo il naso – Non si 'impiattano' i ramen, Puc. Si 'impiattano' cose che meritano di essere impiattate. Tipo i ravioli. O l'arrosto. O...
- Sto versando questo schifoso intruglio in tre orripilanti ciotole. - l'interruppe Puc.
- Così va meglio. - annuì lei – Abbiamo i termini giusti, usiamoli.
Cenarono in silenzio, ognuno perso nella propria ciotola e nei propri pensieri. Sentirono il canto di un gallo, mentre le prime luci dell'alba cominciavano a spuntare al di là delle finestre.
- Domani... cioè, oggi dovrebbe arrivare qualcuno? - chiese Dorothy.
- Dovrebbe. È andato Alessandro, ma non so per che ora sarà qui.
- Quanti? - chiese Puc.
- Dovevano essere in due, ma pare porteranno qualcun altro. Almeno, così ha detto Lestat.
- Mmh. - fece Dorothy, arrotolandosi una ciocca bagnata di capelli attorno all'indice – Non so quanto la cosa mi faccia piacere... Alessandro è da solo?
- Sì. Beh, a parte Cripple.
- Io non mi preoccuperei troppo. Ale sa badare a se stesso. - commentò Puc, mandando giù gli ultimi sorsi del brodo.
- Non mi preoccupo per lui – borbottò Dorothy – ma del suo giudizio. È troppo accomodante, farebbe entrare qualunque ributtante disgraziato pur di non doverlo mandare via.
- Beh – concesse Sherlock, con un sospiro – è un bravo ragazzo. In ogni caso, potremmo sempre sbatterli fuori noi se non dovessero, ecco... essere conformi.
- Mah.
- Miei ottimisti amici, credo che andrò a dormire. Ci aspetta una giornata pesante domani, Sherly.
- Non chiamarmi... oh, fottiti e basta.
- 'Vi' aspetta una giornata pesante? Cavolo, Sherly, impara a dire di no.
Sherlock lanciò un'occhiata colpevole alla sorella e si alzò in piedi. Tenere gli occhi aperti si stava facendo sempre più difficile. Salutò Dorothy e seguì l'amico fuori dal capannone-cucina, verso i dormitori.
Dorothy rimase alzata ancora per qualche minuto. Prese una merendina vicina alla data di scadenza e la sbocconcellò pensierosa, tamburellando con le dita sul tavolo. Si ripromise di farsi trovare pronta, il giorno dopo, per accogliere i nuovi arrivati.